Il bisogno di una casa comune
Data: Mercoledì, 20 maggio 2015 ore 02:30:00 CEST Argomento: Redazione
Non si parla più di
secessione, nè di devolution; la Lega si sta trasformando in un partito
nazionale xenofobo e antieuropeo con qualche successo e con non poche
contraddizioni. Se nessuno parla di federalismo e di altre divertenti
ipotesi di riformulazione dell'organizzazione statuale, questo non vuol
dire che i pericoli di disintegrazione dello Stato Unitario non
esistano più. Le divisioni si formano e si aggravano sul piano del
reddito e delle opportunità di lavoro, nel momento storico in cui
l'impossibilità di interventi pubblici e la crisi dello Stato Sociale
impediscono di mettere in atto politiche di perequazione
territoriale e sociale.
Non è di buon auspicio, tra l'altro, che il personale politico
preposto all'amministrazione degli Enti locali e delle Regioni, o
che si candida per amministrarli, sia quanto di peggio si possa
immaginare. Purtroppo sta venendo meno la funzione federativa e
unitaria dei partiti, dei sindacati e delle istituzioni della
società civile.
Occorre ripensare seriamente che cosa oggi possa tornare ad unire la
società, che cosa serva per creare coesione e prossimità nella nazione,
che cosa possa mettere insieme unità statuale, democrazia, sviluppo e
pari opportunità.
I miti fondanti dell'Unità nazionale non sono stati capaci di creare
una solida coscienza nazionale ;si paga ancora oggi il fatto che
l'unità nazionale sia stata il risultato storico di una scelta di
tipo giacobino, minoritaria. Le leggende e la mitologia delle geste
risorgimentali relative alla ristrettissima minoranza, che sul
campo si è battuta per fare dell'Italia una nazione unita, non sono
riuscite a creare un ethos collettivo, l'identità tra Stato e Nazione.
L'avversione del mondo cattolico all'impegno per creare uno Stato
Unitario,ne hanno indebolito la costruzione, nè sul breve il
connubio progressismo-anticlericalismo era fatto per estendere il
consenso; anzi è stato dopo i primi tempi la condizione che
avrebbe condotto l'Italia a scelte e ad esiti di stampo autoritario,
per la tenace resistenza opposta all'estensione del diritto di voto e
per l'avversione ai soggetti politici di nuova formazione.
I partiti di massa di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento si
sono dovuti costituire contro la classe politica
risorgimentale e a difesa delle classi sociali escluse dal
processo unitario e dai benefici, che ne potevano derivare.
Si dice che la prima guerra mondiale abbia creato quel sentimento
nazionale che mancava; tutto ciò sarà avvenuto forse negli artifizi
retorici della propaganda e nella storiografia di regime,ma non certo
nelle trincee, dove nessuno si premurava di spiegare il senso della
guerra, anche se si pretendeva che i poveri fanti con il fucile puntato
alle loro spalle pagassero per intero il prezzo di sangue loro
richiesto.
Il Fascismo, travisando e forzando il significato del Risorgimento, ha
fatto del sentimento di appartenenza nazionale la base di sostegno ad
una politica imperialistica, alla quale ha legato le sorti e gli
interessi delle vecchie classi dirigenti, di quelle emergenti e di
alcune frange dei ceti popolari. Più che amor di patria, la solita
minestra nazionalistica, che ha avvelenato l'Europa intera e la
nazione. Dalle macerie della sconfitta della seconda guerra mondiale si
poteva e si doveva partire per un'altra stagione di coesione
nazionale.
La Resistenza al nazifascismo è stata proposta come Secondo
Risorgimento e come storia e mito fondanti dello Stato Unitario
repubblicano e democratico; credo che non abbia fatto molta strada,
perchè quasi subito la guerra fredda ha creato le condizioni di
esclusione dall'area democratica dei comunisti e dei socialisti, anche
se protagonisti di quella lotta. Nella costruzione dello Stato Unitario
democratico ha contato di più l'anticomunismo che l'antifascismo.
Tangentopoli ha fatto tabula rasa delle radici antifasciste e
democratiche della Costituzione e ha reso retorica la ricorrenza del 25
Aprile, polverizzando il credito popolare intorno alla Repubblica, nata
dalla Resistenza.
Nei nostri giorni, dopo vent'anni persi a parlare di Seconda
Repubblica, si è arrivati ad un altro passaggio della storia della
nazione. Con affanno,concitazione e improvvisazione. Non mi pare che si
sia imparato molto dagli errori degli ultimi tempi e ancor di
meno dagli insegnamenti degli anni e dello spirito della Costituente.
Invece di chiamare tutte le forze disponibili alla responsabilità di un
impegno comune per la salvaguardia del patrimonio spendibile della
nostra storia unitaria, con proterva spavalderia si sono cercati tutti
i pretesti per dividere ciò che è possibile e giusto unire,con
l'intenzione di fare cosa nuova con un progetto di
ridimensionamento democratico, palesemente oligarchico nelle
intenzioni e nelle procedure, delle istituzioni statuali.
Ancora una volta la semplificazione, la scorciatoia e la
prevaricazione, invece dello sforzo comune, del dialogo, della fatica
di interpretare la complessità. Non credo che la manomissione delle
istituzioni e della Costituzione, a colpi di maggioranza e con l'uso di
tutti gli espedienti per cancellare la riflessione e il confronto
parlamentari, possa garantire la durata e la tenuta sociale e
politica di cui ha bisogno una nazione, uscita stremata da un inutile
ventennio di transizione politica e istituzionale.
Non tutto è ancora perduto,ma è necessario liberarsi di tutte le
incrostazioni ,di tutte le diffidenze,di tutti i pregiudizi, di tutti i
luoghi comuni, ai quali ci siamo affezionati,che non consentono di
guardarci e di ascoltarci.
Bisogna riconoscere con umiltà che, al di fuori del nostro
coltivato orticello di convinzioni, sono molte e diverse le
esperienze positive che vanno valorizzate per prefigurare un progetto
di società alternativo a quello che si sta con inaudita superficialità
realizzando.
Bisogna farla finita con tutte le forme di antagonismo, che nascondono
col chiasso e le esagerazioni, la natura vera dei problemi, che bisogna
affrontare. Bisogna misurarsi razionalmente e con coraggio con le
innovazioni, ma senza disprezzo del passato; saper conservare le
esperienze fatte, ma senza farne pretesti di identità comode e
paurose.
Abbiamo bisogno di una casa comune, in cui nessuno deve sentirsi
sopportato e in cui ognuno abbia il diritto di parola e di scelta:
abbiamo bisogno ancora e soprattutto di democrazia.
prof. Raimondo Giunta
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