Il discorso di Pietro Calamandrei del 1950 sembra scritto apposta per il DDL sulla 'Buona scuola'
Data: Lunedì, 11 maggio 2015 ore 03:00:00 CEST Argomento: Redazione
Le
parole dei grandi uomini sono sempre attuali ...
Il discorso di Pietro Calamandrei del 1950 sembra scritto apposta per
il DDL sulla "buona scuola"
Giuseppe Motta
Discorso di Piero Calamandrei, 11
febbraio 1950
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso
dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), Roma 11
febbraio 1950
[Pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova
scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5]
Cari colleghi,
Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle
elementari alle università […]. Siamo qui riuniti in questo convegno
che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola?
Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo?
Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può
venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola
laica. Ed è anche un po’ vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto
qui, c’è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve
immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire,
poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che
in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola
laica come se ci fosse, dopo l’art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre.
Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella
Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in
funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché
questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà […].
La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua
posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che
formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la
nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella
che si intitola “l’ordinamento dello Stato”, sono descritti quegli
organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli
organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le
vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando
vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a
tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei
deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura:
ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la
scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la
concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo
costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola
corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione
di creare il sangue […].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere
quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la
formazione della classe dirigente. La formazione della classe
dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè
che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al
vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe
dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle
officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti,
professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la
creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta
ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine.
No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere
aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi
migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni
categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi
elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente,
transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a
ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori
qualità personali al progresso della società […].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di
avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo
soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio
universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso
politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può
aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da
tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione,
sia pure con una formula meno immaginosa. È l’art. 34, in cui è detto:
“La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi
di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Questo è l’articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna
rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo.
Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi
potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola
elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della
classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della
scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com’è costruito questo
strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto,
scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto
la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare
della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è
il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella
dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto
mettere l’accento su quel comma dell’art. 33 della Costituzione che
dice così: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed
istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Dunque, per
questo comma […] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una
funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei
suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione
di realizzazione […].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto
lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti
vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli
ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti
dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti
coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La
scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime
per ospitare tutti. Questo è scritto nell’art. 33 della Costituzione.
La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un
carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né
cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l’espressione di un
altro articolo della Costituzione: dell’art. 3: “Tutti i cittadini
hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione
politica, di condizioni personali e sociali”. E l’art. 151: “Tutti i
cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive
in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla
legge”. Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di
Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per
le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni […].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora
soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora
soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che
forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi,
di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con
lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di
tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un
altro articolo della Costituzione, nell’articolo 30, di istruire e di
educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data
alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro
gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio
corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze
politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben
conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di
coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di
varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che
lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola
privata, in altre parole, non è creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di
una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi,
perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un
pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che
sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di
scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private
corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione.
Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si
può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la
scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si
stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in
modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che
eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle
scuole pubbliche non c’erano, si senta stimolato a far meglio, a
rendere, se mi sia permessa l’espressione, “più ottime” le proprie
scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non
motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve
sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve
riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere
una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della
scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella
scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di
partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo
aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti
qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo
abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano
scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato
diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma
per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per
arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di
setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe
polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono
pericolosissime. Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un
partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente
vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non
vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i
manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare
le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di
Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza;
in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata.
Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi
teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad
impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole
private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di
quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste
scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a
consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono
migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come
ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che
saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole
pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami
sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola
privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non
potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di
partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle
sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna
discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i
cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: (1) ve
l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in
malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2)
Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non
controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non
hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano
burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il
punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest’ultimo è il
metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l’operazione
[…]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo.
Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i
credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi
partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola
religione, di una sola setta, di un solo partito […].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la
Costituente, a prevenirlo nell’art. 33 della Costituzione fu messa
questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole
ed istituti di educazione senza onere per lo Stato”. Come sapete questa
formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da
compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche […].
Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe
permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi
chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono
ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per
sapere come può violare la legge figurando di osservarla […]. E venuta
così fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare
scolastico.
Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti
Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al
massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna
escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però
aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola
privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha
già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa
che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre
deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino
che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da
questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un
suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un
sussidio, un assegno […].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice
la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che
uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole
mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla
scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si
potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere
giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno
diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma
l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire.
Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai
giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli
un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! […]. Dunque questo
giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie
di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un
modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i
figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e
neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa
rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito […].
Poi, nella riforma, c’è la questione della parità. L’art. 33 della
Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: “La legge,
nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la
parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento
equipollente a quello delle scuole statali” […]. Parità, sì, ma bisogna
ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo Stato,
lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della
scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma
dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme
generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare
rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i
programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna
insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che
è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato
favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola
pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la
scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento
ufficiale alla bestialità […].
Però questa riforma mi dà l’impressione di quelle figure che erano di
moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi,
stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante
altre belle cose e poi sotto c’era scritto: trovate il cacciatore.
Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore
con il fucile spianato. Anche nella riforma c’è il cacciatore con il
fucile spianato. È la scuola privata che si vuole trasformare in scuola
privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre
astronomiche di miliardi, avverrà nell’avvenire lontano, ma la scuola
privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola
privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola
totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di
partito.
E poi c’è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del
disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo,
più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente
tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee
della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la
serietà, la precisione, l’onestà, la puntualità. Queste idee semplici.
Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una
scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone
oneste e leali. Si va diffondendo l’idea che tutto questo è superato,
che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un
partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria,
forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la
morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo
è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei
preti che ci spaventa, perché cento anni fa c’erano scuole di preti in
cui si sapeva insegnare il latino e l’italiano e da cui uscirono uomini
come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti,
gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini
che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole
antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella
sostanza cioè profittatori del regime.
E c’è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non
bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto
giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media
italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso,
uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre
università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza
che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e
maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una
maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è
qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche
nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che
hanno dato il sangue per la libertà d’Italia. Pensiamo a questi ragazzi
nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non
disperiamo dell’avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici,
continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della
coscienza morale.
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