Lettera aperta ai Dirigenti delle scuole
Data: Martedì, 24 febbraio 2015 ore 08:30:00 CET Argomento: Comunicati
Caro collega,
è in atto una vera e propria campagna volta ad emarginare la dirigenza
scolastica dal quadro delle altre dirigenze delle amministrazioni
pubbliche, o addirittura ad eliminarla del tutto. I segnali sono
molteplici:
- l’esplicita esclusione della dirigenza scolastica dal “ruolo unico
della dirigenza statale” di cui al testo del DdL 1577 in discussione al
Senato;
- la proposta di legge, inizialmente “di iniziativa popolare” ed ora
fatta propria da un certo numero di parlamentari sia della Camera che
del Senato, con cui – fra l’altro – si chiede l’abrogazione della norma
“fondante” della dirigenza scolastica, cioè l’art. 25 del DLgs. 30
marzo 2001 n. 165;
- l’appoggio pubblico che il maggior sindacato del comparto scuola – la
FLC CGIL – ha recentemente manifestato alla proposta di legge in
questione, attraverso l’adesione del suo segretario generale, Domenico
Pantaleo (il quale ha poi parzialmente preso le distanze: ma l’adesione
resta e costituisce fatto politicamente rilevante);
- l’iniziativa di due dei firmatari della proposta di legge in
questione di scrivere a tutte le istituzioni scolastiche della
Repubblica per chiedere la diffusione fra il personale e le famiglie
del testo della proposta stessa e l’apertura di un pubblico dibattito
in merito, con esplicito riferimento ad una pretesa “par condicio”
rispetto al documento governativo sulla Buona scuola.
Né meno insidiose sono le proposte – molte volte formulate nelle
recenti assemblee dei dirigenti da parte delle diverse organizzazioni
sindacali – per una riscrittura del profilo professionale. In tali
proposte si fa spesso riferimento ad una “ricentratura” del ruolo sulla
missione educativa, lasciando ad altri i compiti gestionali ed
organizzativi, visti tout court come sinonimo delle molteplici molestie
amministrative e dei soffocanti carichi burocratici di cui la funzione
è stata caricata negli ultimi anni. Un dirigente cui fossero sottratte
le prerogative gestionali ed organizzative cesserebbe per ciò stesso di
essere un dirigente, per diventare una sorta di coordinatore didattico,
un primus inter pares fra i docenti.
Questo moltiplicarsi di iniziative anti-dirigenza scolastica si
colloca, ironicamente, alla vigilia della emanazione dei provvedimenti
sulla Buona Scuola, che richiederebbero invece – esplicitamente – un
potenziamento del ruolo. E’ lo sforzo, da parte di quel variegato mondo
politico e sindacale che non ha mai in realtà accettato l’autonomia e
la dirigenza per tornare indietro, “prima che sia troppo tardi”. Non è
un caso se la stessa proposta di legge che intende cancellare l’art. 25
vuole riportare la scuola agli ordinamenti degli anni Settanta e non
cita neppure una volta, nei suoi quasi trenta articoli, la parola
“autonomia”.
Le argomentazioni – da quelle più dirette e radicali a quelle più
morbide e striscianti – vanno tutte nella stessa direzione: via dalla
scuola ogni potere organizzativo e spazio all’autodeterminazione dei
singoli operatori. Esse riposano su una serie di leggende
metropolitane, a cominciare da quella per cui un milione di addetti,
cui viene conferita la massima libertà individuale di
autodeterminazione, potrebbero dar vita ad un sistema nazionale di
istruzione per spontanea adesione a valori che si suppongono condivisi.
Una favola, o un incubo, che solo chi conosce realmente come funzioni
la scuola può misurare appieno.
Ma c’è un’altra leggenda che va sfatata con decisione, tanto maggiore
quanto più forte è il suo potere seduttivo: quella secondo cui la
complicazione burocratica e la molestia amministrativa siano la
conseguenza diretta e naturale della condizione dirigente. Si tratta di
un assunto contrario a logica e ad evidenza: basta guardarsi attorno,
alle altre dirigenze pubbliche, per rendersene conto. E’ vero il
contrario: i carichi burocratici e la persecuzione amministrativa sono
un mezzo per impedire al dirigente di fare il dirigente, per
trasformarlo in un travet schiacciato dagli adempimenti e privo della
libertà intellettuale e del tempo per svolgere a pieno la propria
funzione naturale: che è quello di organizzare, intorno ad un progetto
comune ed al servizio della comunità, il lavoro di chi fa parte della
stessa unità organizzativa.
Le funzioni delle amministrazioni sono, da sempre: di indirizzo e
controllo, di organizzazione e gestione, di supporto e servizio. In un
sistema bene ordinato ed in tutte le amministrazioni che funzionano, le
prime appartengono al vertice politico (il Ministero), le seconde ai
dirigenti delle unità operative, le terze agli uffici periferici
dell’amministrazione.
Solo nella scuola il Ministero non esercita i poteri che sarebbero suoi
propri (e la mancanza di un indirizzo e soprattutto di un controllo non
è l’ultima causa dello sfascio attuale), mentre pretende di esercitare
quelli di organizzazione e gestione, e scarica sui dirigenti delle
scuole quelli di servizio. Non è questo il modo corretto di intendere
la distribuzione delle responsabilità. Il Ministero deve tornare a fare
il suo, posto che sappia ancora come si fa. Gli uffici periferici (UAT)
si occupino delle questioni burocratiche e dei servizi di supporto
(legali, previdenziali, contenzioso, anticorruzione e quant’altro); e
ai dirigenti delle scuole si lasci quello che è il loro compito e cioè
la gestione e l’organizzazione delle risorse umane e professionali sul
campo.
Caro collega, è importante che ciascuno di noi comprenda che ci si
trova ad un bivio: o si riprende l’iniziativa e l’orgoglio
professionale, respingendo le sirene di una impossibile
de-responsabilizzazione, o saremo costretti ad intraprendere il cammino
della ritirata. Dobbiamo dire alto e forte che non sono le
responsabilità che ci fanno paura, ma che rifiutiamo di considerare
responsabilità quelle che non sono altro che adempimenti di servizio,
che spetterebbero ad altri e vengono scaricati su di noi: non solo per
alleggerire chi dovrebbe occuparsene, ma per soffocare il nostro tempo
e per impedirci di esercitare il nostro ruolo. Dirigenza e
complicazione burocratica non sono sinonimi, sono in antitesi fra loro.
La battaglia per il ruolo unico della dirigenza non è diversa da quella
per la dirigenza tout court e da quella per l’equiparazione
retributiva a tutta la dirigenza pubblica: sono facce diverse di una
stessa medaglia. Come facce diverse di un’altra medaglia sono la
proposta di legge di iniziativa popolare, il tentativo di riscrivere il
profilo professionale e l’esclusione dal ruolo unico. Si tratta di
capire quali sono le implicazioni di questi due scenari, che sono
alternativi fra loro: e di scegliere il proprio campo.
Anp ha fatto la propria scelta e da sempre: non ha motivo di cambiare.
Altri – che per un tempo hanno fatto finta di percorrere la stessa
strada – cercano oggi di promuovere scelte diverse, che portano, in un
modo o nel’altro, alla negazione dell’autonomia delle scuole e della
dirigenza piena di esse. C’è chi lo fa in modo aperto e dichiarato e
chi lo fa indirettamente e senza scoprirsi. Ma una qualità fondamentale
per i dirigenti è comprendere ed interpretare gli scenari che si
agitano intorno a loro, cercando di condizionarli.
Se sei già un nostro iscritto, ti chiediamo di confermare con un
rafforzato impegno personale le ragioni della nostra battaglia
culturale e politica per la dirigenza fra gli altri dirigenti. Se non
lo sei ancora, questo è il momento per riconsiderare le tue scelte e
per comprendere dove sta l’interesse della scuola ed il tuo interesse
professionale.
La vittoria è ancora possibile, come lo è stata quindici anni fa, se
avremo visione chiara ed unità di intenti. Chi ci vuole divisi e deboli
non lavora per noi, ma contro di noi: occorre comprenderlo e
contrastarlo.
Ti saluto e ti invito ad unirti a noi fin da queste settimane decisive
per il futuro della buona scuola e di tutta la categoria.
Giorgio Rembado - Presidente Anp
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