L’attualismo personalista di Enrica Carpita. L’allieva prediletta di Giovanni Gentile ne revisiona il pensiero
Data: Lunedì, 23 febbraio 2015 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Dalla semplice biografia alla storia della filosofia: questo è il percorso che mi propongo di compiere riflettendo sulla figura di Enrica Carpita, l'allieva prediletta di Giovanni Gentile a Pisa, che dimostra sempre affetto e gratitudine verso il suo Maestro, ma che ne revisiona il pensiero. Per la costruzione di questo percorso non ho potuto attingere ad inesistenti studi precedenti e pertanto ho utilizzato solo documenti di prima mano rintracciati nell'archivio storico del Liceo Classico "Pellegrino Rossi" e nella Biblioteca Civica "Stefano Giampaoli" di Massa. Avverto inoltre che lo scritto non ha un carattere municipalistico e corporativo, in quanto il personaggio in esame e la prospettiva critica assunta rivestono un valore non-localistico e, a parer mio, rientrano a pieno titolo nella tematica della filosofia italiana.

Credeva di dover morire povera e abbandonata, ricca soltanto di acciacchi, dopo aver condotto un'esistenza spavaldamente al servizio della filosofia e della scuola: "Quando, come me, si è arrivati in prossimità del traguardo finale, si sente il bisogno di volgersi a considerare il cammino percorso e di chiedersi se la vita che abbiamo vissuto valga solo per il numero degli anni che rappresenta. Dirò subito che, se dovessi fare il bilancio della mia vita di donna, esso apparirebbe senz'altro fallimentare, infatti muoio zitella, con le tasche semivuote, ricca soltanto di acciacchi e sola al mondo; il quadro non è certo dei più rosei" (Enrica Carpita, "Consuntivo", manoscritto inedito conservato nell'archivio storico del Liceo Classico "Pellegrino Rossi" di Massa).

Nessuno meglio della stessa Carpita avrebbe potuto tracciare un profilo tanto colorito quanto spietato sotto l'aspetto strettamente sentimentale e privato,se pur mitigato subito dopo da un forte e orgoglioso accenno ad un'intima gratificazione professionale che allarga il respiro vitale della sua grintosa personalità e rende la vita degna di essere stata vissuta esattamente nei termini in cui essa si è svolta: "Ma, oltre la vita, che forse non ho saputo vivere,ve ne è un'altra che, prevalentemente per merito dei miei scolari, ha assunto colore, valore e significato"(ibidem). Ed è di questa che la Carpita parla nel suo straordinario testamento spirituale che chiama molto prosaicamente "Consuntivo" e che si trova gelosamente custodito nel suo fascicolo personale sistemato nell'archivio storico del Liceo Classico "Pellegrino Rossi" di Massa, il Liceo in cui avevano insegnato Giovanni Pascoli, Manara Valgimigli, Balbino Giuliano, Mario Luzi, ecc. (v. Salvatore Ragonesi, "Balbino Giuliano e Manara Valgimigli a Massa", in "Le Apuane", anno XXVI, novembre 2006, pp.83-98).

Enrica Carpita, nata a Livorno il 10 novembre 1893, muore circondata dai suoi allievi nella sua casa di Massa in Viale Stazione il 7 giugno 1982, e discute fino all'ultimo momento sui temi più scottanti della vita e della filosofia, come Socrate in punto di morte secondo la rappresentazione del "Fedone" platonico, e non viene dimenticata, se è vero che è stata più volte ricordata e che a lei è stata dedicata un'intensa giornata di studi e intestata inoltre una borsa di studio per premiare i giovani liceali più sensibili alla riflessione filosofica: "Il Liceo Classico "Pellegrino Rossi" commemora ancora una volta, sabato 15 dicembre alle ore 11, la figura di Enrica Carpita, personalità di rilievo nella cultura e nella scuola massese e nazionale. E lo fa non solo con l'attribuzione di una borsa di studio a due allievi meritevoli, ma anche con una giornata di riflessione dedicata alla filosofia idealistica" (in Salvatore Ragonesi, "La borsa di studio Enrica Carpita", su "La Nazione", cronaca di Massa, del 6 dicembre 1990). Ricordo la commozione provata dai suoi ex allievi nel ritrovarsi tutti al Liceo "Rossi" per commemorare la loro cara insegnante, della quale io stesso ho dovuto tentare, in qualità di preside di quell'Istituto che l'aveva avuta come docente, una prima ricostruzione complessiva della personalità e del pensiero, ricostruzione che con forti tagli e talune necessarie modifiche costituisce il presente contributo. Ma l'idea di dover ricordare degnamente la professoressa Carpita, l'allieva prediletta di Giovanni Gentile, non ci mancò e venne in effetti realizzata attraverso varie iniziative, compresa quella di istituire in un'aula del medesimo Liceo l'Emeroteca a lei intitolata perché contenente le riviste, i quaderni di appunti, i libri ed i vari documenti da lei donati alla Scuola poco prima della sua scomparsa.
La storia locale può avere un senso se è collegabile ad una vicenda superiore, se da essa si sprigiona un canale di comunicazione che oltrepassi i confini municipali ed immetta nella tematica generale, là dove le questioni hanno risalto e valenza decisamente storiografica. Diversamente non vale la pena affaticarsi tanto per riesumare o esaltare le patrie memorie non meritevoli di approfondimenti critici e di trasferimenti su territori ben più vasti ed aperti. Questo mi pare il senso di una giusta rievocazione della personalità intellettuale e filosofica di Enrica Carpita, la cui memoria non si può disperdere per il solo fatto che non fosse una cittadina "apuana" in senso stretto, essendo nata a Livorno e avendo raggiunto Massa sui trent'anni per circostanze professionali abbastanza fortuite,e cioè per evitare di rimanere emarginata a Lucera in provincia di Foggia, troppo lontana dalla propria città e dalla propria famiglia: "Questa volta il vento propizio fu la lettera di una mia cara amica e collega livornese, nella quale mi si avvertiva che al Liceo di Massa erasi resa scoperta la cattedra di filosofia [...] fui assegnata al Liceo di Massa. Ora le cose anche dal punto di vista domestico cambiavano assai, essendo Massa abbastanza vicina a Livorno, non era il caso che la famiglia composta di tre sole persone si dividesse, io avrei potuto andare sola e tornare a casa a fare una visitina anche ogni settimana, se lo avessi voluto. E questo per me era un gran passo: mettevo finalmente il piede fuori dal nido per un volo in piena autonomia [...] Ricordo ora e non senza rimorso vivissimo come alla mia partenza da Livorno per la nuova sede io avvertissi di contrapporre senza volerlo alla espressione addolorata e smarrita di mia madre una mal celata espressione di compiacimento se non di gioia, la gioia di chi sente di iniziare la propria vita, a trent'anni, ed era la prima volta che avrei dormito sola fuori di casa!" (Consuntivo, cit. p.16).

La Carpita vive profondamente la vita sua e della sua epoca e si nutre attivamente di un pensiero che le prende tutta l'anima e la risveglia a quel senso vigile dei valori e della filosofia in cui fa consistere la sua missione. Ella ha la fortuna di imbattersi nell'Ateneo pisano in un personaggio che non abbandonerà mai e che rappresenta in quel tempo di aspri conflitti culturali la dura reazione al positivismo e la rinascita dell'idealismo, assieme all'amico Benedetto Croce. Il personaggio è Giovanni Gentile, che a Pisa ritrova la sua seconda casa, dopo quella di Castelvetrano in provincia di Trapani, succedendo nella cattedra di filosofia teoretica al suo maestro Donato Jaja e divenendo a sua volta Maestro ascoltato e stimato di un gruppo valoroso di allievi, tra i quali appunto si colloca Enrica Carpita, la prima donna laureata in filosofia teoretica nell'Università di Pisa.
L'idealismo attualistico di Gentile contribuisce potentemente alla formazione filosofica della Carpita, che del pensatore siciliano frequenta le lezioni, i seminari e le conferenze e legge con sincera passione e forte emozione la "Teoria generale dello spirito come atto puro", un libro decisivo che si articola nelle trenta lezioni pisane dell'anno accademico 1915-1916 e che lei inonda di annotazioni dalla prima all'ultima pagina, un libro che l'Autore pubblica per rendere "più accurato" lo studio e "più matura e attenta la meditazione degli studenti", poiché "la materia, astrusa per se stessa e nelle sue parti più difficili e delicate non riscontrabili in nessun libro,richiede certamente uno studio più accurato e una più matura e attenta meditazione che non si possa fare sui soliti appunti, troppo spesso lacunosi, incerti, inesatti"(G. Gentile, "Avvertenza" alla "Teoria generale dello spirito come atto puro", Mariotti, Pisa 1916).

L'afflato dell'attualismo gentiliano, riversato in numerosi saggi storiografici, filosofici e pedagogici di grande successo, conquista la giovane Carpita e la trasporta per sempre nell'alta regione della filosofia, là dove semplicemente si può vivere e morire per un'idea. Con gli strumenti culturali acquisiti, ella può vincere la cattedra in seguito al concorso nazionale di filosofia del 1922, può confrontarsi con gli spiriti magni dell'idealismo italiano (Ernesto Codignola, Mario Casotti, Manara Valgimigli, Giuseppe Lombardo-Radice, Balbino Giuliano, Guido Calogero, Guido De Ruggiero, Giuseppe Saitta, Armando Carlini, Ugo Spirito, Luigi Volpicelli, Vito Fazio-Allmayer, ecc.), può pubblicare i suoi lavori per la Vallecchi di Firenze e cominciare con molti studiosi uno scambio fittissimo in cui fa valere la sua appassionata militanza idealistica. La filosofia - dirà più tardi - non può non essere idealismo, in quanto "tutto lo sviluppo del pensiero filosofico attraverso i secoli ci apparisce un progressivo approfondimento della coscienza di questo carattere inevitabilmente idealistico della filosofia" (E. Carpita, "La filosofia dell'arte di G. Gentile", Sansoni, Firenze 1944, p.4). La sua prima adesione attualistica avviene certamente ad opera della brillante e suggestiva "Prolusione" pisana di Gentile su "L'esperienza pura e la realtà storica" del 14 novembre 1914 e più ancora, come si è visto, grazie alla "Teoria generale dello spirito come atto puro", un libro che segna in larga parte il suo destino filosofico in virtù di una serie di incisive e ben formulate esposizioni dei concetti: "Il punto di vista trascendentale è quello che si coglie nella realtà del nostro pensiero in quanto il pensiero si considera non come atto compiuto, ma, per così dire, come atto in atto, atto che non si può assolutamente trascendere, in quanto è la nostra stessa soggettività, cioè noi stessi, atto che non si può mai e in nessun modo oggettivare. Il punto di vista, perciò, nuovo, a cui conviene collocarsi, è questo dell'attualità dell'Io" (G. Gentile, "Teoria generale dello spirito come atto puro", cit. pp.6-7).

Per comprendere il pensiero della giovane Carpita occorre, dunque, rifarsi alla sua prima adesione all'attualismo di Gentile e intendere l'interpretazione che di questa dottrina ella fornisce attraverso le fitte annotazioni che ricoprono le pagine delle varie pubblicazioni del filosofo siciliano, dal "Sommario di pedagogia come scienza filosofica" a "La riforma della dialettica hegeliana", dalla "Teoria generale dello spirito come atto puro" alla "Filosofia di Marx" e al "Sistema di logica come teoria del conoscere", un'opera, quest'ultima, ritenuta il capolavoro filosofico del Maestro siciliano ed alla quale la Carpita collabora attivamente, come testimonia lo stesso Gentile: "Pubblico anche quest'anno la parte sostanziale delle mie lezioni di filosofia per appagare un desiderio degli scolari; e son grato alla brava signorina Enrica Carpita,che mi ha agevolato il lavoro con i suoi diligentissimi appunti" (G, Gentile, "Prefazione" al "Sistema di logica come teoria del conoscere", I, Spoerri Editore, Pisa 1917). Le molteplici annotazioni carpitiane ai testi gentiliani conducono inevitabilmente ad accentuare l'urgenza trascendentale nella giovane intellettuale, che identifica subito filosofia e vita e che interpreta l'atto puro di Gentile come pensiero in atto, principio dinamico di attività e processo dialettico dello spirito: "Soluzione della difficoltà. Lo spirito è svolgimento, rapporto di unità e molteplicità. Modo concreto di concepire tale rapporto. Il concetto dialettico dello spirito non esclude anzi include la molteplicità". Non vi è la realtà da una parte e lo spirito dall'altra, non il conoscere da una parte e il fare dall'altra, non l'unità da una parte e la molteplicità dall'altra, ma una sola realtà che sia lo stesso spirito nel suo processo dialettico ed un conoscere che sia lo stesso fare:questo è il concetto della filosofia e della vita che ha maturato la giovane Carpita. Tutta la realtà, ella afferma, è spirito, e questa è l'intima ragione della nostra vita e del fervore della nostra azione, come della fede nel valore assoluto della verità dei nostri pensieri e della consapevolezza della coincidenza assoluta della filosofia e della storia della filosofia.

Non bisogna meravigliarsi se l'attualismo carpitiano inclina poi verso lo spiritualismo francese con un recupero assai originale dell'azionismo di Blondel. Il passaggio dall'attualismo all'azionismo sembra abbastanza naturale e coerente, anche se esso esige che si oltrepassi l'umanesimo attivistico e idealistico e si recuperi il concetto di persona "soggetta" alla Verità trascendente e aperta a quell'Essere di cui costituisce un modo ed una possibilità. Si tratta di un richiamo all'autenticità della situazione umana che si esplica con la forza dell'azione e con l'adesione ad una entità-verità che pre-esiste e che si cerca in un orizzonte di trascendenza. Questa operazione storiografica inizia precocemente e ha un evidente ed autentico significato personalista, ad integrazione, correzione ed inveramento dell'attualismo. "Educazione e religione in Maurice Blondel" è il titolo del saggio che la Carpita pubblica nel 1920 per la Vallecchi e nella cui "Prefazione" si avverte subito che "non può non riuscire interessante esaminare in qual modo un pensatore francese ancora vivente, Maurice Blondel, colla sua opera intitolata "L'action" e con altri scritti minori (per mole, non per valore!), insieme ad una filosofia profondamente originale, ci faccia intravedere una nuova dottrina dell'educazione che ha molta affinità con la nostra"(E. Carpita, "Educazione e religione in Maurice Blondel", Vallecchi, Firenze 1920,p.7). E non è solo affinità pedagogica, poiché emerge qui il bisogno metafisico di "una nuova concezione dell'attività spirituale, capace di risolvere l'opposizione fra pensiero ed azione, attività teoretica e attività pratica" (ibidem). In altri termini, tra l'attualismo e il pensiero blondeliano la Carpita scopre un profondo legame fondato sul medesimo principio della piena coincidenza del pensiero e dell'azione e individua l'impossibilità di stabilire una teoresi senza una contestuale attività pratica: "Non si può non agire, l'azione sopravvive anche alla sua negazione, il suicidio stesso è un'azione. Ma, se noi pensiamo bene, in quanto viviamo, noi risolviamo il problema, noi rispondiamo al perché, che a volta a volta è un nuovo perché, conseguiamo la meta, che a volta a volta è una nuova meta; nella vita dunque il problema, nella vita, senza che noi ne siamo consapevoli, la soluzione. L'azione è dunque perpetua soluzione del problema della vita nella quale sono impegnati non solo il nostro intelletto, ma il nostro cuore, il nostro corpo, il nostro io" (ibidem, p.11).

Filosofare significa quindi per Enrica Carpita non solo pensare, ma anche essere e agire, cioè far agire l'Essere che è in noi il primo fondamento e il promotore di vita. Nell'intreccio di tutti i suoi fattori costitutivi, la creatura umana realizza nell'azione pienamente se stessa, cessa di concepirsi come un dato ed un fatto e si coglie come processo sommamente dinamico, instauratore e produttore di realtà. L'affinità profonda con l'idealismo dell'atto è abbastanza evidente e la filosofa livornese la mette in risalto e studia le nuove potenzialità dello spiritualismo blondeliano in relazione al grande apporto che possono offrire all'attualismo. La sua indagine si sviluppa pertanto in questa linea di collegamento tra posizioni "affini", nelle quali il compito della filosofia consiste nel garantire la coincidenza dell'essere e del fare, del sentire e del pensare, per procedere in tutte le varie direzioni ontologiche e psicologiche, teoretiche e pratiche. Ma, nel corso della ricerca di riferimenti, i risultati fuoriescono dalla dimensione attualistica e investono, come si può facilmente evincere, altre possibilità e profondità ontologiche.
La riforma blondeliana del filosofare conferma e rafforza a prima vista la riforma idealistica di Gentile e ne determina il valore ineguagliabile con l'obbligo di non potersi più sottrarre all'atto spirituale: "Noi dobbiamo, per così dire, metterci in cammino senza presupposto alcuno all'infuori di questo:la nostra interna inquietudine, il dissidio che, agendo, sentiamo sorgere in noi fra il peso della necessità,da cui ci sentiamo incalzati,ed il bisogno di libertà,rivelato da questa nostra stessa coscienza della costrizione che ci opprime. Noi saremo quindi indotti a volger lo sguardo intorno dal bisogno di comporre questo nostro interno dissidio; questo sarà il movente, che ci farà rivolgere alla natura,al mondo,a Dio;non si tratterà mai di una semplice fredda curiosità intellettuale,bensì di un problema di vita:non esiste problema di conoscenza che non sia anche e soprattutto problema morale" (ibidem,p.15). Per convincersi della verità incontestabile di una tale concezione dell'esperienza, bisogna allora superare un certo modo di fare filosofia, e la stessa logica aristotelica, che è logica del fatto anziché dell'atto e del fare. Vi è una sola scienza, dice la Carpita, e questa è la scienza del soggetto, cioè la scienza dell'azione: "La vera scienza del soggetto non può essere che una scienza dell'azione e, appunto perché tale, essa non può certamente servirsi del metodo delle scienze positive" (ibidem, p.19). Il soggetto, a sua volta, non ha parti, non è frantumabile e decomponibile, esso è tutto nell'atto suo, in ogni atto suo e perciò va studiato nel suo realizzarsi vivente, nel suo farsi in atto, con la logica interna al suo stesso farsi. Ma il soggetto, nel suo atto, si ritrova alla fine come "persona" e non si riduce al semplice atto astratto di Giovanni Gentile. Questo è il punto di approdo carpitiano che revisiona ed integra l'attualismo in chiave personalista.

La logica del fare blondeliano potrebbe accostarsi, sia pure impropriamente, alla logica dell'atto gentiliano, quella che la Carpita ha potuto apprendere direttamente dalla viva voce del Maestro nelle sue lezioni pisane da lei annotate tanto fedelmente con la sua capacità stenografica da farne un documento importante di attenta trascrizione delle lezioni di Gentile. E questa logica è, secondo Gentile, il vero isultato della riforma della dialettica hegeliana già realizzata nella raccolta di interventi filosofici del 1913 e alla quale egli era infine pervenuto riallacciandosi agli studi critici di Bertrando Spaventa e all'interpretazione della logica del concreto come un perenne divenire dialettico risolutore dell'identità dell'essere nella sua eterna processualità. Ma ciò non basta, giacché questa logica muove da un principio immanentistico, mentre quella carpitiana richiede un principio motore trascendente, in cui il Creatore rimane "distinto" dalla "creatura". La Carpita teme in effetti nell'idealismo gentiliano la boria del superuomo, che si accompagna pericolosamente all'idea di una creatura-creatrice e di una vita sottoposta alla dialettica della ragione-ragionante più che a quella della volontà-volente.

In realtà, Gentile è rimasto un allievo fedele di Hegel, nonostante la revisione della sua dialettica, e quindi in lui la ragione, in ultima istanza, esercita un dominio assoluto. Con Blondel s'immette invece nell'attualismo un forte senso dell'Essere e della Volontà non trasferibili totalmente nel divenire della storicità. Le verità logiche si collegano così all'Essere, e la Ragione non ha più l'arrogante potenza hegeliana. Questo è il passaggio determinante che la Carpita ha voluto compiere per definire il concetto di persona umana fatta di cuore, sangue, volontà, cervello e pensiero, ma anche di contingenza e forti limitazioni e subordinazioni. Non è un caso che ella traduca per la Sansoni ed introduca nella nostra cultura filosofica lo studio più diligente e meno approssimativo di un autore come Boutroux, il grande teorico moderno del principio di contingenza e di creazione (vedi E. Carpita, "Introduzione" a E.Boutroux, "Dell'idea di legge naturale nella scienza e nella filosofia contemporanea", a cura di E. Carpita, Sansoni, Firenze 1963).E ne discuta a varie riprese le opere e ne proponga la lettura ai suoi allievi e realizzi un commento critico (che è rimasto inedito tra le sue carte) per la didattica liceale. Ella è tra coloro (e sono davvero pochi) che in Italia si sono occupati con sistematicità di questo filosofo e del suo spiritualismo, strettamente intrecciandolo con il precedente studio su Blondel e Bergson e con il suo sempre risorgente e aggiornato attualismo, e con la sua visione critica della scienza ed il potente rifiuto dello scientismo; e dimostrando fedeltà assoluta all'inestinguibile e cara memoria di Giovanni Gentile, barbaramente ucciso a Firenze nell'aprile del 1944, al quale dedica una bella e commossa rilettura dell'idealismo attuale ne "La filosofia dell'arte di Giovanni Gentile" pubblicata dalla Casa Editrice Sansoni proprio nel 1944: "L'estetica gentiliana è la risposta a chi ancora accusi l'idealismo attuale di soggettivismo, di solipsismo, di tendenza a fare svanire la realtà massiccia del mondo nelle nebulosità astratte del pensiero logico. Il pensiero è svelatore, non divoratore della realtà" (ivi, p.216).

prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com





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