Lettera al Ministro Giannini e al Sottosegretario Faraone da prof.ssa Boscolo
Data: Sabato, 21 febbraio 2015 ore 08:30:00 CET Argomento: Opinioni
Gentilissimi
Ministro Giannini e Sottosegretario Faraone,
da quando sono stata inserita, dalla Varkey Foundation, nella lista dei
50 “migliori” insegnanti al mondo molte sono state le lettere e
telefonate di genitori che, vista la mia temporanea “celebrità”, mi
chiedono di rappresentarli e di far arrivare a Voi e all’opinione
pubblica il loro disagio e il loro dolore. Me lo chiedono come un mio
dovere morale.
Sono un’insegnante di sostegno ed è chiaro quindi che sto parlando di
genitori di ragazzi con disabilità.
Questa mattina l’ultima telefonata: un pianto. Mi sono quindi decisa a
scrivere.
Nella mia carriera scolastica sono stata fortunata. I miei 17 anni come
docente alle dipendenze dello stato, 11 dei quali nel ruolo di
insegnante di sostegno, sono stati segnati da collaborazioni e
incontri positivi. Ho avuto sempre dirigenti scolastici che mi hanno
sostenuto e colleghi aperti al dialogo. So però di essere una
“privilegiata”. Sono invece ben consapevole che la parola “Inclusione”
in molte scuole è un involucro vuoto e, da quando mi occupo, presso
l’università di Padova, di formazione dei futuri docenti curricolari e
di sostegno, posso toccar con mano, attraverso la testimonianza dei
miei studenti/docenti, le anomalie di una scuola che dell’inclusione ne
ha fatto, solo a parole, una bandiera di qualità.
Al di là delle poche risorse, quello che fa più male è l’indifferenza,
l’isolamento (la classe differenziale è stata sostituita dall’aula di
sostegno), l’inadeguatezza professionale di troppi docenti che
considerano lo studente con disabilità “un corpo estraneo” rispetto
alla classe, un “soggetto” la cui istruzione spetta al docente di
sostegno e all’eventuale operatore sanitario, certamente non a loro.
Poi c’è la sufficienza con cui vengono trattati i ragazzi con
disabilità ai quali, in alcune realtà, sembra venga fatto un grosso
favore “accoglierli” e così i genitori entrano a scuola in punta di
piedi, chiedendo il permesso. Si accontentano, di un orario ridotto:
massimo 9 ore di sostegno, alle superiori, su 32 ore di scuola a cui si
sommano eventualmente quelle 4/5 ore degli operatori socio sanitari. Se
poi manca il docente di sostegno o l’operatore sono subito pronti
a portare via i loro figli o a tenerli a casa perché non vogliono
essere di peso a nessuno e, d’altra parte, non vogliono che i loro
figli facciano da tappezzeria in una scuola che non è in grado,
per diverse ragioni, di “accoglierli” dignitosamente (l’inclusione è
altra cosa). Questi genitori, piccoli-grandi eroi, che dedicano la loro
vita ai propri figli con l’angoscia nel cuore al pensiero del giorno in
cui per loro non ci saranno più.
Sembra poi che la qualità dell’apprendimento per i ragazzi con
disabilità non sia una questione prioritaria tanto……… e dietro a quel
“tanto…….” si nascondono tutta la superficialità, e menefreghismo che
hanno caratterizzato il processo di integrazione prima e di inclusione
poi di questi ragazzi nelle classi normali a partire da quel lontano
1977 (L.517). Come giustificare, altrimenti, la mancata formazione dei
docenti di classe che dovevano, allora, e dovrebbero, ora, insieme
all’insegnante di sostegno, realizzare, attraverso una didattica
efficace, l’inclusione degli studenti “speciali”? Nella scuola si sa
che non esiste un obbligo alla formazione/aggiornamento del personale
docente in servizio. Tutto viene lasciato all’iniziativa personale e
così la qualità dell’istruzione, nel nostro paese, si presenta a
macchie di leopardo e i ragazzi si giocano al lotto la partita della
vita e del loro futuro.
Succede quindi che tutta la normativa, che pone il sistema scolastico
italiano all’avanguardia nel mondo in tema di Inclusione, rimanga
lettera morta, una bella teoria ma la realtà è altra cosa.
Questo sistema schizofrenico all’italiana trova la sua massima
espressione, in fatto di inclusione scolastica, nella figura
dell’insegnante di “sostegno”.
In origine, con la L.517/77, l’integrazione a favore degli alunni
“portatori di handicaps” (art.2) doveva essere attuata attraverso la
prestazione di “insegnanti
specializzati”. Tale delicato compito, infatti, doveva
essere affidato a personale di ruolo con preparazione specifica e
formazione quindi superiore rispetto ai colleghi curricolari. I corsi
di specializzazione, anche se sono cambiati, in durata e contenuti, nel
tempo, non sono mai stati una passeggiata. Attualmente i bandi
Universitari prevedono un anno accademico di studio con un costo per lo
studente di ca. 3000 € . Chi può frequentare i corsi, previa dura
selezione su base regionale, sono docenti già abilitati nella propria
disciplina.
Nel corso degli anni, però, si è abbandonata la definizione di “docente
specializzato” a favore dell’insignificante “docente di sostegno”, puro
caso?
Lei sa benissimo, sig. Ministro, quanto importanti siano le parole, il
loro potere di formare le idee, di definire la realtà e di riempire di
significati complessi atti e pensieri. C’è una bella differenza
nella pratica e sostanza tra le definizioni “docente specializzato” e
“docente di sostegno”. Quest’ultima, in effetti, svuota di
significati importanti la professione stessa promuovendo atteggiamenti
e pensieri che la sviliscono, la impoveriscono, la deformano,
intaccando la stessa dignità del “significante” e di coloro di cui
questi si occupa. Ecco allora l’insegnante di sostegno diventare tale
anche per l’organizzazione scolastica nel momento in cui viene tolto
dalla classe e dal ragazzo di cui si occupa per fare supplenza altrove.
Il sostegno poi si è dimostrato utilissimo, nel corso degli anni, come
ammortizzatore sociale della scuola. Tolta la parola “specializzato” il
gioco è diventato semplice: chiunque poteva insegnare ai ragazzini con
disabilità (tanto….), docenti alle prime armi, quelli perdenti posto
senza alcuna preparazione. Siamo arrivati di recente poi, nella scuola
secondaria di secondo grado, alla soppressione delle aree di
specializzazione (scientifica, umanistica, tecnica, motoria) per
favorire non certo l’apprendimento dei ragazzi con disabilità i quali
hanno diritto ad avere un “sostegno” competente, come giustamente
sostenuto nella sentenza n.245 del 26 gennaio 2001 del Consiglio di
Stato, ma solo per facilitare la mobilità dei docenti.
Sig. Sottosegretario, mi rivolgo ora soprattutto a Lei che si sta
impegnando nella riforma del sostegno. Apprendo con piacere che
finalmente si considera prioritaria la formazione di tutto il personale
in servizio. Ci sono, però, alcune Sue affermazioni che mi lasciano un
po’ perplessa.
Prima di tutto la sua intenzione di tornare a un modello
d’interpretazione della disabilità prettamente medico, basato sul
concetto di disabilità inteso come divergenza rispetto ad una normalità
fisica. Un modello che porta alla discriminazione, ormai rifiutato
anche dall’ OMS, attraverso l’adozione dell’ICF e soprattutto dalla
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (2006). Sarebbe un
tragico ritorno al passato. Fuori luogo quindi la Sua volontà di voler
basare la formazione del futuro docente specializzato su nozioni
eziologiche, che non servono a nulla, poiché non esiste in pratica un
solo individuo simile ad un altro e questo vale anche per i ragazzi con
disabilità il cui “funzionamento”, come per tutti, dipende da molti
fattori non solo dallo stato fisico. La disabilità non è la persona, un
ragazzo con sindrome di down o autistica non è la sindrome stessa. Ho
avuto molti ragazzi con sindrome down o autistici e tutti completamente
diversi. Quello che invece serve è una maggiore dimestichezza con i
diversi metodi e approcci di insegnamento (utilissimi con tutti gli
studenti), inclusi strumenti e modalità di comunicazione per
determinate tipologia di disabilità. D’altra parte noi siamo docenti,
la scuola non è un ospedale né un centro diurno come qualcuno vorrebbe
diventasse con l’insegnante specializzato trasformato in una specie di
balia con l’unico compito di contenere la persona con disabilità. Noi
siamo professionisti dell’apprendimento/insegnamento e tali
dobbiamo rimanere, senza confonderci con altre figure che già
intervengono, con ruolo diverso e non solo a scuola, nel Progetto di
Vita dei ragazzi con disabilità (operatori socio sanitari, operatori
per le disabilità sensoriali, ecc….).
Mi preoccupa poi la Sua intenzione di voler separare la carriera del
docente specializzato da quella dei docenti curricolari, insistendo,
ancora una volta, sul concetto della diversità e quindi della
discriminazione andando in senso opposto rispetto all’inclusione.
Perché?
Sembra che a qualcuno dia fastidio il fatto che alcuni docenti
specializzati, dopo i cinque anni di ruolo su sostegno, possano passare
ad insegnare la loro disciplina per la quale sono in possesso di
regolare abilitazione, e allora? Dove sta il problema? Queste persone -
super formate - rimangono sempre all’interno della scuola e Dio solo sa
quanto bisogno c’è di personale formato tra i docenti curricolari. So
che Lei ha in animo la formazione di tutti, ma mi consenta di aver
qualche dubbio sulla sua realizzazione. E’ dal 1977 che aspettiamo la
formazione dei docenti curricolari in tema di disabilità e nulla s’è
fatto, stessa storia per quanto riguarda i DSA e per tutti gli altri
BES, compresi i ragazzi con un quadro intellettivo limite, ai quali si
è tolto l’insegnante di sostegno insieme alla certificazione
(forse per ragioni di spesa?). Nulla si è fatto, tanto che, nel formare
le classi, è prassi comune mettere il ragazzino con DSA o altro BES in
classe con un compagno certificato in modo che ci sia il docente
specializzato, l’unico formato, che li possa seguire. Magari ci fossero
tanti docenti specializzati pronti ad insegnare la loro materia, ci
sarebbero sicuramente più chance per l’inclusione. I ragazzi con
disabilità potrebbero stare a scuola anche in assenza del docente
di sostegno, sicuramente non farebbero da tappezzeria e non sarebbero
condannati all’isolamento perché “diversi”, sottoposti a mobbing
continuo nel silenzio e indifferenza di molti. La scuola, al
contrario, si troverebbe con insegnanti formati e a costo zero,
un jolly competente, una risorsa preziosa da poter “sfruttare” nella
doppia veste di docente curricolare e di sostegno in previsione anche
di un possibile organico funzionale. La scuola non ha bisogno di nuove
figure dall’identità non ben definita, la cui utilità lascia il tempo
che trova.
Non occorre rivoluzionare il sistema, alcuni spunti di riflessione ve
li ho forniti. Soprattutto bisogna partire dai ragazzi, dai loro
bisogni e diritti. Allora chiudete gli occhi immaginate di vederli e
per un istante pensate che siano i vostri figli o nipoti, vedrete che
la soluzione giusta arriverà.
Prof.ssa Specializzata
Daniela Boscolo
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