Mario Luzi e la poetica del realismo metafisico. Una pagina poco nota di storia della letteratura italiana
Data: Giovedì, 12 febbraio 2015 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Mario Luzi e Salvatore RagonesiMario Luzi (Firenze, 20 ottobre 1914 - Firenze 28 febbraio 2005) venne più volte al Liceo Classico "Pellegrino Rossi" di Massa, nel quale aveva insegnato all'inizio della sua carriera professionale ed al quale era rimasto fortemente legato, come gli capitava del resto per i luoghi cari alla sua memoria formidabile. E non negava mai la sua presenza quando lo invitavamo a discutere di letteratura e della genesi e dello sviluppo della sua poesia o della natura della sua prassi letteraria, nei corsi di aggiornamento che si organizzavano per insegnanti delle scuole medie superiori. Ed egli proponeva la presenza di Carlo Bo, il grande critico letterario, Rettore dell'Università di Urbino e Autore dei famosi Otto studi del 1940, per aiutarlo ad approfondire e allargare le riflessioni sui vari aspetti della vita letteraria europea del Novecento.
Eravamo diventati amici con Mario Luzi, ed a Massa egli aveva tanti ammiratori e sostenitori che lo hanno circondato di affetto disinteressato anche quando non era ancora famoso e non aveva ottenuto la qualifica ufficiale di più accreditato poeta civile del secondo dopoguerra. La sua migliore qualità era, a parer mio, la capacità di ascolto e di dialogo, e la difesa generosa e disperata della cultura, della letteratura e della scuola dagli assalti sempre rinascenti della volgarità e dell'approssimazione filologica e scientifica.

A ripensare al lunghissimo viaggio di Luzi, dal precoce inizio de La barca del 1935 e di Avvento notturno del 1940, che segnano per sempre la dimensione della sua poeticità fondata sia sul mondo terreno che su quello ultraterreno in un aggregarsi profondo di stratificazioni storiche e metastoriche, si rimane stupiti della sua produttività e soprattutto dell'unità organica della sua creazione, dall'inizio alla fine. E qui non esiste più la pigra vulgata dell'ermetismo luziano da rigettare o da salvare apriori poiché si propone un itinerario attraversato da coerenza e concludenza; e ciò per la presenza prolungata e continua di una forte teoresi che sostiene tutta la prassi poetica luziana e la rende omogenea, costante e comprensibile a dispetto di chi la vorrebbe disomogenea, discontinua ed incomprensibile.
La coerenza di tutta la produzione luziana è frutto di un costante e profondo processo di sintesi tra la riflessione sui modi e nodi dell'esistenza umana e sulle forme della loro espressione, e sui contenuti religiosi, etici e metafisici della poesia e l'effettivo fare poetico che raccoglie le istanze della teoresi e le trasferisce e le trasforma nell'immaginario, nei simboli e nelle percezioni paradigmatiche. Tale sintesi, che è elaborazione artistica carica di metafore e analogie, di cui la più imponente è quella contenuta nel Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini pubblicato nel 1994 da Garzanti, tutto incentrato sul rapporto dialettico di immanenza e trascendenza, essere e divenire, finito e infinito, visibile e invisibile, fa registrare quel primo sentimento del continuo trapassare da una condizione esistenziale ad una dimensione ontologica, nella quale avviene quell'acquietarsi dell'esistere nell'immagine dell'eterno che si trovava già ne La barca e che si manifesta in posizione privilegiata, e quindi non incidentalmente, in tutte le opere maggiori: "Il tempo adduce e porta via le forme/il tempo ci dà vita e ci distrugge/ mentre immobile vigila l'essenza" (Villaggio da Quaderno Gotico del 1947).Qui s'impone il tema centrale della poetica luziana, che è l'apparizione sensibile delle cose e la loro immediata sparizione dall'orizzonte sensoriale dell'umano per essere trattenute più veracemente nella memoria e fatte rivivere più intensamente nell'intelligenza come essenza del reale. Il sentimento del tempo uno e molteplice poi sostanzia la poetica di Onore del vero che considero uno dei punti più alti ed esplicativi della produzione di Luzi proprio per il perfetto equilibrio tra pensiero estetico e concreto agire "poietico" realizzato in molte liriche della raccolta edita da Garzanti nel 1957.

Nel Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini emergono o, meglio, riemergono i paesaggi dell'anima luziana, quelli strazianti della colorata campagna senese nella Val d'Orcia attorno a Pienza, in mezzo alle crete toscane, e "riemerge in lontane chiarità/dalle sue latebre azzurre/e grigie, si sveglia, /terra orciana". E mentre lo sguardo cade sul paesaggio registrato dalla sensibilità visiva e incamerato nella vastità e profondità della memoria, l'immaginazione a sua volta elabora altri paesaggi paradigmatici che vengono assunti quali modelli assoluti per rendere più profondo ed abissale il distacco e più acuta e malinconica la lontananza da quella terra piena di desideri inespressi e di fascino nascosto. E subito l'emozione si trasforma in ideazione, e la realtà viene svelata non solo emotivamente ma anche razionalmente. Scavando su quel terreno con gli strumenti emozionali e razionali si scopre la sorgente dell'intelligibile che è il vero reale, dopo aver esperito la storia e la cronaca e aver abbandonato il mondo terrestre, quello dell'apparenza, per accedere al mondo celeste, quello della realtà autentica. Qui Luzi cerca la parola adeguata per rappresentare il trasferimento dall'uno all'altro mondo: "Vola alta, parola, cresci in profondità" (in Per il battesimo dei nostri frammenti del 1985). Ma già nel Viaggio prende corpo e si dispiega in tutta la sua potenza e incisività una metafisica che supera la contingenza e sfugge all'immanenza storica e che si presenta come somma emergenza esistenziale capace di trovare rifugio e pace soltanto dentro il suo posto nell'assoluto.

Il Viaggio procede all'infinito, ma le tappe di stazionamento si rendono necessarie esteticamente e permettono l'avanzamento progressivo nella bellezza della natura e nella degustazione delle più piccole particelle di emozioni dell'esistere, mentre l'istanza superiore abbandona progressivamente l'abito sensoriale per andare oltre, nella sfera pura dell'Essere, di quell'essere che è come appare, giacché niente di ciò che è nascosto lo nasconde: "Nessuna /cattività di simbolo/lo tiene/o altra guaina lo presidia". La proposizione parmenidea della presenza immediata dell'Essere subisce però in Luzi una sostanziale e vistosa revisione per la quale l'essere è e diviene altro da sé, pur rimanendo se stesso e mantenendo tutta la sua essenza. Esso svolge dentro di sé tutta la sua potenzialità ontologica. Di qui, ancora, nasce la bellezza della qualità teoretica della poesia luziana del tutto estranea ai testi poetici ottocenteschi e novecenteschi, ad eccezione di Leopardi e Pascoli, Montale e Caproni. Anche se in Luzi sono più evidenti i segni filosofici appresi anzitutto dalla lettura "matta e disperatissima" dei testi leopardiani.

L 'elaborazione della poetica e l'esercizio professionale della critica praticata intensamente per una vita intera nelle aule dei licei e delle università non solo fanno di Luzi un critico degli autori presi in esame (da Leopardi a Mallarmé, da Pascoli a Campana, ecc.), ma anche lo mettono nella condizione di criticare se stesso, i suoi stessi testi, la qualità linguistica ed estetica dei propri atti "poietici". Non è facile, perciò, apprezzare la sua poesia, specie quando adotta misure pseudoprosastiche, se non si entra nell'attività critica dell'Autore, nel suo sistema intellettuale, nel suo mondo spirituale, nella sua polemica esplicita o implicita verso quei letterati assai lontani dalla letteratura. E se la poesia è opera di letteratura, il poeta non può non essere un vero letterato. Viene meno così l'idea di una ingenuità verginale e ispirata del poeta e si teorizza invece la necessità di una tensione intellettuale e filosofica di colui che intraprende l'azione "poietica". L'arte diventa un duro lavoro teoretico che si realizza concretamente nella sua saldatura con l'attività e l'attualità dell'immaginario, dei suoi prodotti e dei suoi possibili significati più o meno incisivi, più o meno pregnanti, ma sempre imbevuti di cultura e di filosofia. La loro verità piena è la vita dell'arte nella sua totalità, la consistenza estetica nella sua pienezza etica e metafisica.

In tale prospettiva, fatta di consapevolezza tecnico-linguistico-estetica, dev'essere possibile una diversa valutazione dell'opera luziana al di là dei luoghi comuni e delle facili etichettature scolasticistiche, per cogliere nell'opera artistica l'operazione estetica suggellata da una tensione teoretica fortissima e da uno studio "disperatissimo", nel quale non è secondario lo scavo teologico e l'approfondimento dell'ontologia classica e moderna rivisitata alla luce dei testi paolini, agostiniani e tomistici. Cosa che è percepibile particolarmente sia nel Viaggio che nella Passione commissionatagli dal Papa Giovanni Paolo II e rappresentata nel 1999 al Colosseo di Roma come Via Crucis.
Non c'è da meravigliarsi se egli accetta l'incarico, poiché l'arte è sempre di "circostanza" e quindi è come se venisse sempre "commissionata", e poi la Passione di Cristo è il tema centrale della filosofia e della teologia cristiana e rappresenta in Luzi il momento culminante e drammatico della dialettica tra finito e infinito, tra tempo ed eternità: "Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto/è bella e terribile la terra./Io ci sono nato quasi di nascosto,/ci sono cresciuto e fatto adulto/in un suo angolo quieto/tra gente povera, amabile e esecrabile./mi sono affezionato alle sue strade;/mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti;/le vigne, perfino i deserti[...] Congedarmi mi dà angoscia più del giusto./Sono stato troppo uomo tra gli uomini oppure troppo poco?/Il terrestre l'ho fatto troppo mio o l'ho rifuggito?/La nostalgia di te è stata continua e forte,/tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna[...]Sono sulla terra per fare la tua volontà/eppure talvolta l'ho discussa./Sii indulgente con la mia debolezza, te ne prego./Quando saremo in cielo ricongiunti nella Trinità/sarà stata una prova grande/ed essa non si perde nella memoria dell'eternità". Il ritmo semplice e semiprosastico vuole esprimere in modo incisivo la durezza del terrestre e la tenace memoria dell'umano all'interno dell'eternità e del divino. Questa è la potenza della poesia di Mario Luzi, questa è la sua ontologia e questa la sua estetica realistica.

In questa concezione di un poetare tutto proiettato verso la sintesi di teoresi e prassi artistica, Luzi ha voluto teorizzare una dottrina dell'estremo realismo fedele alla vita, al mondo, alla storia, ma più ancora alla "metastoria", a quella dimensione per la quale non è più sufficiente il linguaggio ingenuo, banale ed involuto ed è invece necessario un nuovo linguaggio ultracomprensivo ed ultraesplicativo della sfuggente profondità dell'Essere e delle tante interrogazioni sul senso del non-essere. Lo infastidiva, infatti, l'incapacità di entrare nelle viscere della realtà per cogliere con un linguaggio meno banale e più efficace il senso delle cose, la loro logica interna e la loro pregnanza assoluta. A tale incapacità egli rispose brillantemente, una volta per tutte, con il saggio poco noto Tutto in questione del 1965, in cui polemizzava vivacemente con Pier Paolo Pasolini, responsabile, a parer suo, di aver proposto posizioni falsamente realistiche "frettolosamente dedotte per vie e scorciatoie esterne da ideologie dogmatiche". E vi contrappose un realismo inedito "che prese corpo nell'Onore del vero che allora stava appunto scrivendo e che avrebbe dovuto rispondere al bisogno autentico di una più forte, robusta e rinnovata inerenza alla realtà. Questa risposta era data "in un tempo contraddistinto da filosofie non affermative, ma se mai inquiete e frustranti, e anche da certe irreversibili esplorazioni della psiche che hanno travolto il limite in cui era per i realisti circoscritto il concetto di realtà (per non parlare della condizione reale dell'uomo nei suoi complessi, difficoltosi rapporti con quello che viene definito il mondo della storia) [...] Il tema del realismo era stato male introdotto, teorizzato in fretta; ma il suo significato era e rimane sostanziale per la vita dell'arte; è anzi il suo stesso elemento" (Mario Luzi, Tutto in questione, Vallecchi Editore, Firenze 1965, pp.10-11).

La storia della filosofia si incaricherà successivamente di dimostrare la falsità del realismo positivista e immanentista, e la sua inaccettabile parzialità o cecità incentrata sulle proposizioni formulate dallo scientismo ottocentesco, con tutto il carico della sua bassa gnoseologia dell'antimetafisica di marca materialistica, deterministica e dogmatica, come quelle che concepivano ingenuamente l'arte un semplice rispecchiamento della realtà, ma che non affrontavano la questione fondamentale di cosa è in ultima analisi la realtà che l'arte avrebbe dovuto rappresentare. Perciò, concludeva Luzi in Tutto in questione, "la proposta o, per meglio dire, l'ipotesi del realismo non ha resistito". E non poteva resistere nemmeno grazie ai suoi epigoni novecenteschi, perché quel realismo mancava di profondità ed era assai limitato nei suoi strumenti analitici e conoscitivi che non andavano al di là di sensazioni, percezioni e strumentazioni varie destituite di vera capacità gnoseologica in quanto impotenti a rappresentare l'Essere totale in una direzione dialettica, dinamica e non banalmente realistica. E non falsamente e ottimisticamente progressiva! La dialettica dell'uno e dei molti, la rappresentazione dell'intero e dell'interno delle cose, e non solo della loro esterna parzialità, costituiscono la qualità preminente di un realismo ontologico capace di dare conto della superficie e dell'interno, della materia e dello spirito, del come e del perché, nella sintesi possibile e necessaria di essere e divenire. Questo intreccio dialettico si deve chiaramente esplicitare nella poetica come luogo di vera poeticità e di concreta possibilità di prassi poetica, poiché non vi può essere arte senza consapevolezza teoretica. Le ragioni autentiche dell'arte moderna d'avanguardia stanno perciò dalla parte di Luzi e non appartengono ai sostenitori del primato dell'ispirazione o della rappresentazione parziale del reale. L'arte è dunque una seria interpretazione globale del reale.

prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com





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