La funzione docente
Data: Sabato, 31 gennaio 2015 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Con tutta evidenza per venire a capo dei problemi della scuola si rende necessario una ridefinizione della funzione docente che sia contestuale a quella del ruolo del sistema scolastico e formativo nella società: sono compiti che non attengono solo alla pedagogia, ma anche e soprattutto alle scelte di politica generale, che deve chiarire innanzitutto l’idea di società che si intende governare e sviluppare.
Le pratiche didattico-professionali e le loro innovazioni caratterizzano la funzione docente ma devono armonizzarsi per quanto è possibile con le scelte istituzionali e comunque non sono in grado di contrastarle se seguono altri percorsi.
L’insegnante è figura imprescindibile dei sistemi educativi ed è la chiave di volta del successo e dell’insuccesso delle riforme scolastiche. Non si possono avviare percorsi di innovazione a prescindere dal convincimento degli insegnanti .Quali che siano le finalità di un progetto di riforma, c’è sempre bisogno di un corpo docente, che abbia la competenza e la convinzione di portarle a compimento.
Il docente trasmette specifiche conoscenze e propone modelli di condotta, sia quando aderisce ai valori accettati e/o stabiliti istituzionalmente, sia quando esplicitamente dissente dalle norme e dai valori vigenti .La sua specificità professionale è quella di accumulare conoscenze e competenze e di doverle ricreare e sviluppare nella mente e nella coscienza degli alunni. questo tratto distintivo e prioritario deve legarsi nell’attuale fase della società a compiti di educazione.
L’insegnante non può essere solo uno specialista che insegna la sua disciplina, in grado di possedere e di dominare una certa area di conoscenze e di controllare tutti gli aspetti della comunicazione ad essa relativi. “Deve essere un professionista delle situazioni di apprendimento e delle interazioni educative”.(N.Bottani)
L’insegnante deve sapere non solo cosa insegna e come, ma anche chi sono i suoi allievi, di che cosa hanno bisogno, in che genere di ambiente e di famiglia vivono, in che genere di società crescono. Ha bisogno di cultura sociologica, politica e morale.
La cura degli alunni, l’attenzione ai loro problemi, l’accompagnamento nei loro processi di crescita, non sono azioni possibili “del” e “nel” rapporto educativo, ma atti dovuti. Senza di essi non si genera la formazione, non si genera la crescita umana.
Per molto tempo con superbia intellettuale questi aspetti della funzione docente sono stati giudicati inessenziali, non pertinenti come il possesso di tecniche didattiche e organizzative e del sapere specialistico. Si è espunto come superfluo il mondo delle relazioni umane e la dimensione affettiva e quella valoriale. Si è insistito con protervia nel tentativo di formalizzare un processo dinamico, complesso, ricco, emotivo, anche umorale come quello del rapporto educativo, con risultati non proprio lusinghieri.
Con l’ausilio della sola professionalità e dei saperi scolastici, anche quando sono illuminati da un forte senso del dovere,l’insegnamento nell’attuale condizione dei giovani rischia di essere sterile o di conseguire risultati molto modesti.

La realtà delle cose impone di ridimensionare lo spazio di certi atteggiamenti scientistici e di ricomporre ad unità, dopo averne voluto la più radicale distinzione, educazione e istruzione.
In un ruolo professionale così complesso come quello del docente si deve rischiare di persona con intensità e passione. Se così non fosse la figura del docente perderebbe necessariamente considerazione sociale e significato. Non aver cura dell’alunno rende vano l’intero impianto organizzativo delle prestazioni professionali.
Troppo spesso è la disciplina, la prescrizione curriculare a dirigere il comportamento del docente e non la persona dell’alunno .Nella scuola si è avuto quasi fastidio ad usare il lessico pedagogico, che rinvia a temi etici e che propone il compito della dedizione e della responsabilità educativa del docente. Si è coltivato in alternativa il modello di un professionismo a ventiquattro carati: nelle regole, nelle procedure, nella comunicazione, nei rapporti umani, nell’organizzazione dell’attività didattica.
Questo modello ideologico della professionalità docente ha accompagnato gli insegnanti nel passaggio dalla scuola di elite a quella di massa. E’ sembrata essere la loro emancipazione dalla cultura della vocazione, della missione con cui tradizionalmente si definivano i compiti dell’insegnamento. In questo modo invece la scuola si è fatto sfuggire di mano il controllo del mondo su cui dovrebbe lavorare.
Se anche il sapere, la disciplina scolastica fossero le uniche ragioni che spiegano e fondano il rapporto docente-alunno, lo scopo della educazione non è quello di sottomettere la natura indocile dell’alunno al sapere, ma quello di fare diventare “sapiente” l’alunno indocile .Gli insegnanti non sono sacerdoti del sapere, ma guida e aiuto dei giovani, sia nei processi di apprendimento, sia nei processi di crescita umana.
Il ragionamento fin qui sviluppato cerca di dimostrare la fondatezza e la necessità di unificare nell’insegnamento la funzione conoscitiva e la funzione educativa che sono proprie del sistema scolastico-formativo. Come si debba declinare questo paradigma professionale viene stabilito dai principi fondamentali in cui si riconosce una società e dalle indicazioni che vengono date dalle autorità di volta in volta legittimate a richiedere precise prestazioni professionali.
La libertà di cui deve godere l’insegnante nell’esercizio delle proprie funzioni non può, infatti, sconfinare nella libera determinazione dei contenuti di una disciplina e delle finalità dell’insegnamento.
Piero Romei nelle sue ultime riflessioni sulla scuola, riportate nel 1° Numero del 2007 della rivista “Autonomia e dirigenza”, organo dell’ANP, affermava: “La definizione del bravo insegnante(…) non ha senso in sé, ma in relazione a come è fatta e come funziona la scuola nella quale è chiamato a svolgere un ruolo non generico, ma mirato; fornendo prestazioni nelle quali l’auto consistenza legata alle inevitabili, e vitali, scelte didattiche e formative personali si coniughi con la capacità di essere funzionale alla strategia d’azione collettiva complessivamente perseguita dalla scuola stessa come realtà organizzativa e istituzionale unitaria”.

Funzione docente e apparato scolastico
Ai vincoli ineludibili delle regole e delle finalità istituzionali, che configurano l’aspetto pubblicistico dell’insegnamento, si aggiungono quelli non prescritti, ma reali ed efficaci dell’organizzazione che regola le modalità delle prestazioni professionali del docente .L’organizzazione del lavoro scolastico (orari, norme contrattuali, disposizioni didattiche etc.) finisce sempre per vincere sulle migliori intenzioni e su tutti i propositi di innovazione e di creatività dei docenti. La sottolineatura del peso dell’organizzazione sulla qualità del lavoro dei docenti scaturisce dalla convinzione che il rinnovamento del sistema scolastico non può prescindere dal profondo riassetto dei dispositivi (contrattuali e gestionali) che determinano le condizioni materiali di lavoro dentro ogni singolo istituto.
Il paradosso di Bottani secondo cui bisognerebbe cambiare la scuola e non i docenti, va preso per quello che vuole essere: non la rinuncia ad un nuovo tipo di insegnante, ma un efficace avvertimento a considerare con la dovuta attenzione l’incidenza dell’organizzazione del servizio scolastico sulla qualità delle prestazioni professionali e su tutti i buoni propositi di rinnovamento dell’insegnamento. Serve anche a ricordare che non c’è miglioramento dello status del docente, che da solo sia capace di correggere il dissesto delle scuole delle periferie dei grandi centri urbani e dei centri rurali e montani e ad innalzare il profitto degli studenti non privilegiati. Il rinnovato ruolo dei docenti, ammesso che ci si voglia seriamente impegnare in questa sfida, non può assolvere i compiti di chi ha la responsabilità generale della politica scolastica nazionale e dare risposte alle esigenze e alle richieste della società di pari opportunità e di innalzamento del livello generale della preparazione culturale e professionale delle nuove generazioni.
Forse l’attuale organizzazione del sistema scolastico non sa che farsene di insegnanti di grandi qualità: ma questi sono necessari per combattere la dispersione, per limitare il disagio della condizione giovanile; per dare “senso” e prospettiva all’insegnamento e all’apprendimento. I problemi, che con forza si impongono all’attenzione della società e della scuola in particolare, richiedono il ripristino della centralità dell’insegnante, della figura dell’insegnante nei processi di crescita delle nuove generazioni.
Il paradosso di N. Bottani può essere rovesciato e ci si deve chiedere allora se una buona organizzazione del lavoro scolastico è in grado da sola di assicurare un buona scuola e una buona formazione.
La valorizzazione della funzione docente è uno dei pilastri di una politica che intende affrontare la crisi della scuola; ma non basta. Deve essere accompagnata da una battaglia culturale di difesa dei valori culturali della scuola, dei saperi scolastici e da una profonda e condivisa riscrittura dei compiti della scuola, che le consenta di dare risposte efficaci alle trasformazioni del mondo del lavoro e della società.

prof. Raimondo Giunta





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