Il disagio degli insegnanti
Data: Mercoledì, 28 gennaio 2015 ore 07:45:00 CET Argomento: Redazione
La crisi del
sistema scolastico ha provocato profonde ferite alla considerazione
sociale dell'insegnante e del suo ruolo.
Essi sono da molti anni al centro di un complesso e a volte
contraddittorio dibattito politico e culturale. Accanto ad esso si sono
sviluppate nel tempo la percezione diffusa, tra i docenti, di una
propria marginalità sociale e la convinzione di un'assegnazione
esorbitante di responsabilità, priva di sostegni e di garanzie.
Nel passaggio da una scuola d'élite, alla quale l'insegnante era
contiguo dal punto di vista sociale e culturale, ad una scuola di massa
di fatto si è modificato il suo ruolo pubblico ma non si sono
modificati la sua consapevolezza e il suo approccio al compito da
svolgere.
Lo smarrimento causato da questa transizione non si è ancora risolto in
uno sbocco chiaramente definito di responsabilità e di comportamenti
professionali, anche per la sua interminabile ed estenuante durata.
Anzi questo stato soggettivo di sofferenza, pubblicamente e più volte
individuato da serie ricerche sociologiche , in alcuni casi si è
accompagnato a processi di dequalificazione professionale ed è stato
aggravato dalle inquietudini originate dall'emergere di nuove figure di
intellettuali e di professionisti socialmente più apprezzati, e dalla
lenta e continua erosione della propria posizione economica.
Nella scuola dell'autonomia, inoltre, la valorizzazione del ruolo del
dirigente scolastico e i tentativi di scomposizione della funzione del
docente con l'introduzione delle figure di staff hanno fatto esplodere
reazioni risentite e aggressive di rifiuto (cfr.concorsone) nei
confronti di ogni innovazione di sistema e l'insoddisfazione della
propria condizione professionale. Con l'autonomia gli insegnanti non
sono andati al timone della scuola (cfr. N. Bottani, Bologna 2002).
I cambiamenti degli ultimi anni sono stati vissuti dagli insegnanti più
anziani, spesso, come una grave ferita alla "parità" celebrata nei
decreti delegati dei primi anni 70, come un declassamento .
L'introduzione della R.S.U. in ogni singolo istituto non ha risolto la
grande questione della "dignità" e dello "status" del docente nella
scuola e nella società; in alcuni casi anzi ha irrobustito il
sentimento di estraneità alla proprie responsabilità pubbliche ed
ha alimentato conflitti interni ad ogni sede scolastica, privi di
significato.
L'esplosione della crisi e del disagio sociale degli insegnanti è da
collegare alla proletarizzazione delle loro condizioni di vita, e allo
stravolgimento delle aspettative di status e di considerazione sociale,
causate dal combinato disposto di costanti politiche sindacali
egualitaristiche e di politiche governative di riduzione della
spesa scolastica.
Questi fenomeni vengono registrati nella coscienza di parte
considerevole della categoria con inquietudine e talvolta rancore.
Tra l'altro gli insegnanti, come categoria, nelle proprie
rivendicazioni hanno avuto molte incertezze che dipendono dal fatto che
come gruppo sociale non hanno unitariamente e ragionevolmente
interpretato le trasformazioni che hanno investito il proprio ruolo e
la propria immagine sociale.
L'ideologia dell'autonomia professionale verso cui si orientano,
quasi per compensazione discrete porzioni della categoria oscilla
dall'esaltazione della specificità della professione (con i tratti di
incommensurabilità del proprio lavoro, enfasi sulla funzione etc) alle
richieste di privilegi corporativi e rappresenta comunque un
impedimento a razionalizzare la propria posizione nella società. La
soluzione al problema del disagio degli insegnanti non può essere
trovata nella rincorsa nostalgica di presunti antichi privilegi, anche
se nelle loro contrastanti richieste di considerazione e di
valorizzazione, nella loro ricerca di valori da ceto medio va
riconosciuta un'esigenza che deve essere presa in considerazione e che
può tornare utile all'intero sistema scolastico.
Il problema non è solo di natura economica , anche se il bisogno di un
esercizio altamente professionale dell'insegnamento richiede dei costi
sociali.
La questione del "prestigio" e dell'"autorevolezza" del docente,
che emerge imperiosamente nelle aspettative della categoria, non si può
relegare nell'ambito dei problemi di psicologia sociale, come si
trattasse di un caso di falsa o cattiva coscienza collettiva.
Nel tempo si è visto che è un problema serio, la cui soluzione richiede
un riordino generale del reclutamento dei docenti, del rapporto di
lavoro, una battaglia culturale di grande respiro a sostegno del
lavoro dei docenti, una modifica profonda del regime disciplinare
interno delle scuole, un controllo rigoroso del lavoro scolastico.
La contrattualizzazione di tutte le operazioni interne alla scuola e la
sindacabilità di tutte le scelte dell'insegnante, (che si continua a
proporre sconsideratamente e a magnificare)a prescindere dagli
aspetti squisitamente tecnici, hanno tolto autonomia e dignità al
lavoro dei docenti. Hanno ingenerato l'insicurezza che porta alla
remissività e alla condiscendenza nei confronti degli "utenti" o
all'aggressività nei confronti di ogni controparte e in alcuni casi
all'abdicazione alle proprie responsabilità.
Occorre ripristinare per quanto possibile quel poco o quel tanto di
funzione pubblica della scuola, che serva a riportare l'insegnamento
tra i compiti istituzionali di uno stato da difendere, per
disancorarla dalla collocazione tra i semplici servizi sociali. La
scuola e gli insegnanti dovrebbero essere uno degli aspetti tra i
più civili e umani del volto delle istituzioni pubbliche presso le
nuove generazioni.
Finora disagio e attaccamento ai propri doveri, rifiuto e adesione ai
valori del sistema scuola sono stati i termini entro i quali si sono
definiti, con tendenza al peggioramento gli atteggiamenti pubblici
degli insegnanti. Bisogna rompere questa logica. Sarebbe un grave
errore provocare o rafforzare con scelte sbagliate atteggiamenti
e posizioni antistituzionali dell'insegnante.
Gli atteggiamenti "non collaborativi" o peggio ancora di rifiuto
servono a confermare solo gli aspetti peggiori del sistema scuola
(selettività, abbandono degli alunni di estrazione popolare; diffusione
di comportamenti rinunciatari; degrado dell'insegnamento).
Non sarà facile uscire dal "disagio": duraturi e radicati sono la
disillusione e lo scoraggiamento degli insegnanti.
La mancanza di turn - over, la stazionarietà generazionale del
corpo docente, con prevalenza di individui anziani, la friabilità
di tutte le ipotesi di innovazione, che hanno frantumato le
residue riserve di entusiasmo e di energie, hanno consolidato una
cultura del disincanto che si potrà rimuovere con molta
fatica.
Ci vuole una grande scommessa pubblica sulla scuola e sulla
valorizzazione del docente per
cominciare un'altra volta a sperare che le riforme piccole o grandi che
siano, possano mettere radici, consolidarsi e dare frutto.
L'insegnante deve poter svolgere il proprio mestiere senza imbarazzo e
senza umiliazioni.
prof. Raimondo Giunta
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