Mario Gori, il poeta niscemese del 'Garofano rosso'
Data: Domenica, 25 gennaio 2015 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Mario GoriTempo fa con amici, non ricordo più se per diletto o pietà, son giunto sin nel lontano e sperduto cimitero di Niscemi, e su una tomba, schiva e solitaria, lessi un'epigrafe: "Di noi non resteranno che parole", e un nome: Mario Gori, nato a Niscemi il 16 settembre 1926 - morto a Catania il 5 dicembre 1970. Mario Gori, per l'anagrafe Mario Di Pasquale, figlio di Salvatore e Maria Arca, è stato un importante poeta, scrittore e intellettuale siciliano. Sin da giovinetto si è nutrito di letture e poesie, addirittura alcuni suoi professori sostennero che all'esame di maturità classica avesse svolto il tema di italiano in versi. Dopo aver terminate le scuole elementari e conseguita la maturità nel celebre Liceo Classico "Secusio" di Caltagirone a pieni voti, nel 1945 si iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Catania prima e in quella di Pisa dopo, ma non frequentò le lezioni perché si dedicò esclusivamente alla poesia e all'attività letteraria.

Nel 1944 pubblicò a Caltagirone il volumetto "Germogli", una raccolta di 39 poesie, apprezzata da amici e professori che racchiude il meglio dei primi tentativi lirici del giovane studente. Nel 1946 fu promotore a Catania, insieme ad altri amici e scrittori, del movimento letterario siciliano denominato "Trinacrismo", per il rinnovamento della poesia dialettale. La sua attività letteraria continuò a Pisa dove creò nel 1954 il centro culturale "La Soffitta". Fu il fondatore e il direttore di molte riviste letterarie, La Soffitta, Il Banditore, Sud, Sciara. Partecipò a molti convegni e incontri culturali in Sicilia e nel resto d'Italia. Alcune delle sue liriche sono state tradotte in cecoslovacco, greco, castigliano, tedesco, inglese, jugoslavo e spagnolo.

Nel 1955 pubblicò un volumetto di poesie in lingua siciliana intitolato "Ogni Jornu ca passa", in cui rievoca ricordi e speranze della lontana infanzia, trasfigurando quegli anni in mito, in un'età delle meraviglie e dell'innocenza perduta. Poi è la volta de, "I ragazzi di Butera", una raccolta di 24 novelle dove descrive molteplici personaggi della realtà contadina niscemese, e dove impartisce una "lezione" di notevole valore pedagogico, degna di essere studiata da educatori e insegnanti.

Nel 1957 dà alle stampe un librettino di poesie in lingua italiana dal nome significativo, "Un garofano rosso", che raccoglie la produzione più prestigiosa e più conosciuta del poeta. "È la Sicilia dell'immobile fame dei poveri: fave cotte, cicoria amara e cardi senza pane; dei morti di lupara nei calanchi su cui volano i corvi e piange la "civetta tirafiato"; degli emigranti che partono col "sacco derelitto", dopo avere svenduto case, sedie, cuore; del ragazzo della zolfara che "mastica silenzio e pane nero"; dei catoi dove "tossiscono bestie e fanciulli" e le madri sono "coniglie nere sepolte dai lutti". La Sicilia delle ossa "trapanate" dalla tramontana e "stoccate da annate di zappa", dei "cenci derelitti" appresso ad aratri millenari, dei morti di terza classe dentro "quattro tavole rozze" senza onore di necrologi per la loro "storia superflua" pari a quella altrettanto "anonima e silenziosa" dei paesi isolani "rassegnati alle ingiurie della vita" con le strade di fango dove è "un dolore antico ad ogni porta, un lutto in ogni madre". Il poeta niscemese incarna l'eterna aspirazione ad una vita più umana e più dignitosa, i suoi versi sono il simbolo stesso della terra di Sicilia.

Di Mario Gori rimarranno, veramente, "soltanto parole", che segnano la traccia del suo passaggio in questo "terribile e meraviglioso" mondo, e che danno un senso alla vita. E la sua Niscemi, per ricordarlo ai posteri, gli ha dedicato la via principale e la biblioteca comunale.

Angelo Battiato
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