Verticalismo: l’essere, la libertà e il potere
Data: Venerdì, 16 gennaio 2015 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Galleria Verticalista (via S. M. Mazzarello12, Catania), esposizione d'arte: "Verticalismo: l'essere, la libertà e il potere". Dal 17 al 31 gennaio. Artisti: Filippo Liardo, Rosario calì, Rosario Platania, Guglielmo Pepe, Salvatore Barbagallo, Benito D'Accampo, Giovanni Compagnino, Salvatore Spatola, Anastasia Guardo, Katia Caruso, Antonio Timpanaro, Antonino Battistini, Cris Minoldi, Salvatore Commercio.

L'idea di un Universo eterno "campo di possibilità" inevitabilmente genera nell' uomo "verticale" il pensiero forte di essere la verticale: l'espressione e il valore più alti della "via del possibile", la più singolare possibilità del cosmo per "sapere" di se stesso. Grazie all'io: alla sua capacità di interpretare, indagare la natura. Inoltre, la consapevolezza di essere figlio di una storia del mondo "creativo" lo fa assurgere a pieno titolo a "libertà", "creatività"... l'unica "verità" vera. (Dico con Kant: "L'uomo deve essere considerato come un fine, mai come un mezzo". Non è mai, in nessun caso, un vuoto a perdere, uno scarto...).

L'estensione di questa evidenza (libertà-creatività-verità, un' "unica" voce che sta per "campo di possibilità") fornisce quest' uomo di nuovi strumenti culturali potenti. Lo rende vestale e responsabile dei multiaspetti della natura (poetica assoluta), attento critico e guardiano del suo io come del suo divenire di possibilità che investe tanto nella società e nella vita quanto nell' habitat in cui si svolge. Quest'uomo, oggi, senza scartare chi fa solo esercizio di sé e meno che mai chi è impossibilitato a essere, si fa carico di fare scoppiare le contraddizioni tra il modello ideale di "società di possibilità" (di qui, per noi, la necessità di "armarci" di un movimento artistico-culturale e sociale: il Verticalismo) e le odierne società: da quelle gestite dalle dittature votate a rendere "impossibile" l'essere (non più consentanee alle nuove sfide che attengono alle emergenze socio-politiche e ambientali planetarie), a quelle cosiddette democratiche in cui molto spesso taluni poteri forti (dai grandi capitali, alle grandi organizzazioni...) ampliano le proprie redini soprattutto attraverso le necessità del "sud" della società.

Chi "non ha" possibilità "non è". Non è libero di operare delle scelte né di autodeterminarsi. Dipende in toto da chi detiene le redini. Ed è facile preda di chi gestisce illusioni. [don Corsaro: "Alla base delle "invenzioni" dei verticalisti resta il mutamento delle strutture economico-sociali"].

Come già ho avuto modo di dire: "La società, nella sua interezza, sembra esistere solo nei (e sottoforma di) tabulati delle istituzioni". Jean-Jacques Rousseau: "L'uomo è nato libero, ma in ogni luogo egli è in catene. Anche chi si crede padrone degli altri non cessa tuttavia di essere più schiavo di loro".

"(...) Dato che nell' attuale società ancora non posso, appartengo interamente al "potere", il quale forte della sua verità (l'ideologia, il bastone-piffero, pesi, misure e libro mastro) mi considera "determinato", "bloccato", per certi aspetti "cosa morta". Il mio "cadavere" fa la gioia dei suoi fotografi della morte, i quali producono decine e decine di identici fotogrammi (e mi catalogano), mi toccano, mi annusano e mi succhiano la sostanza di ciò che potrei essere. Quando potrò nessuno sarà in grado di scattare due identiche fotografie del mio "io". (Mi auguro di non dover mai ricorrere, e questo vale per tutti gli "io", al pensiero di Cristiano Federico Hebbel: "Eppure vano è ogni sforzo per salire in alto. Non c'è pensiero che spezzi dall' alto il cerchio che mi stringe. Allora rabbrividendo mi sento solo come nessuno mai, e quello che io sono saluta con tristezza quello ch'io potrei essere").

Il nostro "io" e il "potere" sono in conflitto continuato. Noi, in un piatto della bilancia, che chiediamo ad alta voce di poter vivere in un "campo di possibilità", per poter essere "campo di possibilità", il "potere", nell'altro, armato della sua verità che ci pressa: "Pensate, dunque esistete: siete veri: vi ho: dovete" (di hegeliana memoria). Incredibile, ma sono proprio questi i termini! Per chi detiene lo scettro è questo il tipo di amore che nutre per il popolo (che ingenuamente continua a credere di avere edificato la vera democrazia, caratterizzata dalla piena libertà). Ci ama alla stessa stregua di come "gli impresari di pompe funebri amano i sorpassatori", così recita un monito americano rivolto agli automobilisti: 'undertakers love overtakers'. (A volte si ha la sensazione di ricevere, in quanto persone, un vero sputo in faccia, non meno intenso di quello che ricevette Oscar Wilde da uno sconosciuto, alla stazione già vestito da galeotto pronto per il carcere di Reading: "Questo è proprio Oscar Wilde" e gli sputa in faccia).

Non meravigliamoci, poi, se a vista d'occhio si accresce una moltitudine di disabilitati a essere seme dell'impossibilità della società reale e dell'impossibilità del mondo. ["Fino a quando, o Catilina, tu abuserai della nostra tolleranza? Quanto a lungo ancora codesto tuo furore si farà gioco di noi? Fino a qual limite si spingerà codesta tua disfrenata audacia?" (Cicerone)].

Fra le nostre priorità c'è sempre stata l'opposizione al potere per il potere, fine a se stesso, ad usum Delphini. Pura patologia! "Chi lo possiede ragiona in termini di apparati verticistici (che non vuol dire verticalistici), centralizzati" (don A. Corsaro). Sarà un giorno davvero speciale, da incorniciare, quando sentiremo un uomo di "potere", sfrenato nell'abuso, dire con Lev Tolstoj: "Io muoio di vergogna, io sono colpevole, io merito disprezzo. (...) Io non ho fatto neppure la millesima parte di quello che è necessario, e me ne vergogno...".

Per un cambiamento vero e radicale "(...) è necessario che in primis i governi si attestino su un progetto di costruzione di una civiltà in cui ciascun io possa assurgere a "campo di possibilità". Solo in questo modo si potrà operare un reale cambiamento: dalla società in progress di "impossibilità" a una società capace di svilupparsi lungo "la Via del Possibile".

Detto così sembra ben poca cosa: facile a farsi: alla portata dei "signori dei palazzi". Anzi, a sentir loro vi lavorano da sempre, è la loro scommessa, la loro poetica. In realtà le difficoltà sono enormi e consistono semplicemente nel fatto che tale realizzazione è "giusta" e finirebbe per essere "fruibile" da tutti. Ne deducono (e di qui la fobia e l'impossibilità di cui sopra) che sicuramente porterebbe a un crollo delle (loro) "azioni" in termini di potere (ovviamente), per usare un' espressione borsistica. (In fondo il "potere" non è talora una "borsa" tal altra un "mercato generale"?). E miseramente si irrigidiscono davanti all'istanza di apertura al "possibile" che oltre a essere "giusta" è estremamente "necessaria" se consideriamo le tante emergenze nazionali (non meno che planetarie) a cui bisogna subito far fronte pena l'implosione della società".

Diciamolo senza temperamenti: qual è il vero nocciolo della metastasi? Poiché il "potere" non è nell'aria che respiriamo, e non è cosa viva pertanto non si autoreplica, è da ricercare nel dna della politica, nella sua "letteratura". "(...) La preoccupazione di tutte le espressioni politiche restano quelle da un lato di ottenere, conservare o rinsaldare il potere, dall'altro di alimentare in modo barbaro le proprie radici o osannare le proprie ceneri: in un sistema cosiddetto democratico, il centro-destra attraverso la media e l'alta borghesia, il centro-sinistra attraverso le masse operaie e la piccola borghesia; in un regime di dittatura attraverso la forza, la paura (e, in qualche caso, la miseria, l'ignoranza, la morte).

Come dire che, di volta in volta, a seconda di chi gestisce i poteri dello Stato ci saranno milioni di persone con l'io stand-by, congelato. La società reale è costretta a vivere dimezzata, nell' impossibilità di divenire.

Di qui la necessità di un "nodo" o un "occhio" o un "osservatorio"... interdisciplinare flessibile, aperto, (sovra)nazionale, di intellettuali, scienziati, artisti, rappresentanti di associazioni e cittadini comuni, che punti sull'"essere" e la "natura" cuore dell'umanità.

(...) Dobbiamo convincerci noi cittadini per primi, che dobbiamo nettamente cambiare i termini di concepire la politica, di fare politica, di guardare alla politica". Tutto questo è il seme minimo se davvero vogliamo costruire la società agognata, la "(...) civiltà dove il noi diventa la garanzia dell'io perché è un noi di io realizzati attraverso il recupero della loro genesi (...) dove ciascuno, finalmente, potrà dire: "posso, dunque sono".

[(...) Oggi, davanti a una natura per moltissimi aspetti esplorata e decifrata, possiamo affermare che l'uomo è parte integrante di un processo di possibilità. Se vogliamo, la "singolarità" di un movimento di possibilità. Ne consegue che togliere possibilità all' uomo significa sottrargli una parte di essere, di "libertà". In altri termini, io non sono abilitato a decidere di essere (o non essere) dato che non sono. E non sono perché non ho le possibilità atte a rendere "intero" il mio essere. Amenoché non finga di essere, illudendomi (escamotage da autolesionista) di superare il "potere", quel "potere" che ha requisito la società reale e con questa le possibilità del mio "io", del mio essere"].

La fattoria degli animali di George Orwell (1945) è più che mai attuale. La storia in sintesi la ricordo a me stesso: "Gli animali di una Fattoria padronale non potendone più della tirannia dell'uomo, si coalizzano e lottano per creare una società di pura uguaglianza. L'operazione riesce. Ben presto l'insegna 'Fattoria padronale' diventa 'Fattoria degli animali'. E sul muro del granaio vengono scritti i principi dell'animalismo, la legge, in Sette Comandamenti.

Ma, di lì a poco accade l'inevitabile. I maiali, più intelligenti, assumono il comando e lentamente cominciano a imitare gli uomini, a comportarsi come gli uomini, se non peggio. I Sette Comandamenti vengono sostituiti da un unico comandamento: "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri". E pensano bene di rimettere la vecchia insegna: 'Fattoria padronale'".

Sì, in certo qual senso la storia si ripete: ieri con i governi totalitari, oggi con i governi di partiti.

La libertà (chiusa) non basta. Fichte: "Bisogna continuamente farsi liberi". John Fitzgerald Kennedy: "Il mondo democratico è pronto a pagare qualsiasi prezzo, sostenere qualsiasi onere, affrontare qualsiasi prova, appoggiare qualsiasi amico, opporsi a qualsiasi nemico per assicurare la sopravvivenza e il trionfo della libertà". Ma dice anche: "Se una società non può aiutare i molti che sono poveri, non dovrebbe salvare i pochi che sono ricchi". Ludovico Geymonat: "La libertà non è uno status che si possa raggiungere una volta per sempre oppure che, una volta conseguito, richiede solo di essere difeso. Al contrario, esso richiede di essere permanentemente ampliato, approfondito, discusso. L'unico modo di difenderlo è quello di sottoporlo a continue critiche; è quello di potenziare la sua creatività".

In pieno terzo millennio stiamo ancora vivendo una strana "democrazia" non pienamente realizzata, forse interrotta, forse irrealizzabile... Sicuramente da rifondare! Ma che sia un "campo di possibilità", per una "società di possibilità": la Via del Possibile".

Salvatore Commercio
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