Dipendenti fannulloni, ancora troppa discrezionalità nei licenziamenti
Data: Venerdì, 02 gennaio 2015 ore 09:45:06 CET Argomento: Rassegna stampa
Il sasso nello
stagno lo ha gettato Matteo Renzi che, alla conferenza stampa di fine
anno, ha posto il tema del licenziamento dei fannulloni per “scarso
rendimento”. Una fattispecie, in realtà, già prevista nel pubblico
impiego dalla legge Brunetta, ma rimasta finora sulla carta. Nel
privato il tema è rimasto sullo sfondo nel primo decreto attuativo del
«Jobs act» che ha varato le nuove norme sui licenziamenti applicabili
ai neo-assunti con contratto a tutele crescenti (nelle ultime ore è
saltata infatti la disposizione che includeva lo scarso rendimento
nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento).
Quella dello “scarso rendimento” è materia delicata e resta uno dei
nodi da affrontare. Nella Pa la fattispecie è stata normata dal Dlgs
150 del 2009 che ha, di fatto, fissato le procedure per consentire il
licenziamento disciplinare di un travet quando ricorrono due
presupposti, sottolinea Sandro Mainardi, professore di diritto del
Lavoro all’università di Bologna: «Che lo scarso rendimento sia
riferibile a un arco temporale non inferiore al biennio; e che sia
rilevato nell’ambito delle procedure di valutazione del personale». Si
tratta, tuttavia, di “paletti” che ne hanno frenato l’applicazione: «È
sufficiente una valutazione sommaria o un errore nella scelta di un
criterio - aggiunge Mainardi - per rendere aggredibile il
licenziamento» (che se dichiarato illegittimo può portare alla
reintegra del dipendente, visto che nella Pa si applica ancora
l’articolo 18 ante legge Fornero).
Ecco perché il Governo intende ora intervenire utilizzando il Ddl Madia
sulla riorganizzazione della Pa attualmente all’esame della commissione
Affari costituzionali del Senato. Lo strumento è l’articolo 13 del Ddl
che, però, nel definire i criteri da seguire per l’emanazione dei
decreti delegati non fa alcun riferimento ai licenziamenti. Per questo
Scelta civica ha chiesto che vengano riaperti i termini, già scaduti,
per presentare emendamenti in Senato al Ddl Madia nell’ottica, spiega
il giuslavorista Pietro Ichino «di affrontare il tema
dell’aggiustamento degli organici e rendere effettivo l’esercizio del
potere disciplinare».
Da quanto si apprende i tecnici del Governo stanno pensando di
intervenire sulla governance interna delle amministrazioni per evitare
possibili abusi e personalizzazioni da parte dei dirigenti (nel
licenziare i dipendenti) valorizzando procedure e strumenti che
garantiscano imparzialità nelle decisioni.
Anche nel privato il tema è piuttosto complesso. Fino ad oggi, dice
Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma,
«lo scarso rendimento è stato prevalentemente ricondotto al
licenziamento disciplinare, come effetto derivante dall’inadempimento
del dipendente che per colpa dovuta a negligenza o imperizia produce
meno o produce male o in tempi troppo lunghi». Le imprese, per
licenziare, devono fare una contestazione disciplinare specificando in
modo dettagliato le condotte del lavoratore (che evidenziano, appunto,
errori di esecuzione o ritardi), contestando, quindi, non lo scarso
rendimento in sé, ma i comportamenti che lo determinano. A ciò si
aggiunge la valutazione discrezionale del giudice.
Giorgio Pogliotti
e Claudio Tucci
Ilsole24ore.com
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