Natalità
Data: Mercoledì, 24 dicembre 2014 ore 07:30:00 CET
Argomento: Redazione


Ho detto alla mia anima: resta in silenzio, e attendi senza speranza
perché la speranza sarebbe speranza mal riposta: aspetta senza amore
perché l’amore sarebbe mal riposto; resta la fede
ma la fede e l’amore e la speranza sono tutte nell’attesa.
Attendi senza pensiero, perché tu non sei pronta al pensiero:
così l’oscurità sarà luce, e la quiete danza.
Brusío di rapidi ruscelli, e lampi d’inverno.
Il timo selvatico non visto, e la fragola di bosco,
le risa nel giardino, eco di un’estasi
non perduta, ma che richiede, protesa all’agonia
della morte e della nascita.

Quattro Quartetti, T. Eliot.


Da oltre duemila anni sul finire dell’anno si onora una rinascita. E una rinascita è una morte presunta. Un rituale di rivitalizzazione della più potente morte, la morte non è dolore, la morte è assenza, è oblio. E dall’oblio è possibile la rinascita dimenticando la nascita, la forza vitale pregna di promesse lanciate al mondo, la fine riapre la propria origine  destinandosi a  nuova responsabilità: chiede e pretende risposte da dare al tempo. “La responsabilità è la responsabilità di ciò che trascorre e si consuma. Senza il senso del tempo e della responsabilità storica non c’è responsabilità.”

La nascita urla speranza; che è già persa per il solo fatto di invocarla, di collocarla nell’ipotesi dei tempi futuri.
La natalità è una forza sovversiva, temeraria, inestinguibile, talmente potente da non necessitare alcun riconoscimento, giunge al compimento  prendendo in carico, donando.
Natalità non Natale, affermazione di responsabilità nel tempo, non rituale celebrativo sacramentale dell’attimo.
Potenza non potere. Potenza che recrimina potere. Potere che per auto sostenersi, esclude, divide, frantuma, nega.
Emancipare la potenza creativa e responsabile della “parte femmina” del mondo, della società contemporanea rappresenta l’insperata risorsa e contemporaneamente la minaccia assoluta al potere.

Le lotte operaie degli ultimi due secoli sono state “lotte femminili” per metafora. Le lotte operaie hanno avuto il carattere proprio del combattimento dei corpi sociali esclusi. Gli operai significavano lavori e non diritti: erano centrali nella costituzione della ricchezza, ma erano privi di rappresentanza. L’emancipazione operaia ha rappresentato l’emancipazione della parte donna della società, del suo lato oscuro e senza nome. Il terreno di scontro necessariamente quello del diritto di visibilità, di esistenza autonoma, e di rappresentanza, quello di una acquisizione evidente non subalterna e riconosciuta degli spazi di decisione e di poteri. Perché questa battaglia fosse vincente doveva essere necessariamente complessiva.
Il terreno di scontro oltre che complessivo è divenuto universale. E le battaglie sanguinano, necessariamente, e urlano.

Quelle urla le abbiamo sentite in tutte le sofferenze, nelle stragi, nei genocidi, nella giustizia tradita, negli sgozzamenti, nella famiglia assassina, persino nel dolore preteso strappato alla morte. Ma l’umanità sa sempre dare il meglio di sé, anche nel peggio: l’umanità contemporanea non percepisce più nemmeno quel grido. Il dolore non è più scandalo, lo si tacita rendendolo spiegabile o improbabile, lo “sociologizziamo”, lo “psicologizziamo”, o ancor peggio lo “spettacolarizziamo”.
Il Natale d’obbligo ci riporta bambini, bambini in attesa di favole e di doni, abbiamo nostalgia di quei momenti caldi d’attesa, ogni anno ci ritagliamo un attimo alla fine, un attimo sospeso, sperando, sempre, di rinascere, da soli. Natalità è nascita collettiva, nascita urlata e conquistata da doglie e spinte e fatica e levatrice infaticabile, a braccia scoperte, è “la femmina del mondo”.

Buona natalità 2014!

Francesca Cannavò





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