
Lamberto Borghi e la pedagogia come disciplina filosofica
Data: Martedì, 02 dicembre 2014 ore 07:30:00 CET Argomento: Redazione
Lamberto Borghi
appartiene a quel gruppo di validissimi pedagogisti con immensa cultura
generale, come Ernesto Codignola, Giovanni Maria Bertin, Aldo
Visalberghi, Raffaele Laporta, Margherita Fasolo, Francesco De
Bartolomeis, Giuseppe Flores d'Arcais, Luigi Stefanini, ecc., che
rappresentano in Italia l'ultima frontiera della pedagogia come
disciplina filosofica. Dopo la loro dismissione professionale vi è il
vuoto, che frantuma e polverizza la scienza pedagogica, spezzandone in
modo forse irreversibile le connessioni interdisciplinari che un tempo
tenevano unite attorno ad un nucleo concettuale le varie istanze
dell'educazionale. La scomparsa dei grandi Maestri è in realtà una
grave perdita, di cui si dovrà discutere un giorno in sede
storiografica, ed i loro eredi come Franco Cambi e Franco
Frabboni ne devono prendere atto, e constatarne il decesso ad opera
delle neo-scienze dell'educazione prive di teoreticità o dotate
di una debolissima ed assai oscura vena speculativa. E questo
accade perché si è voluta staccare violentemente la pedagogia
dalla filosofia e non si è più tenuto conto né della riflessione di
Sergio Hessen nei suoi "Fondamenti della Pedagogia come filosofia
applicata", né di quella molto più suggestiva sviluppata in Italia da
Giovanni Gentile nel suo "Sommario di pedagogia come scienza
filosofica", in cui la filosofia viene applicata "di pieno
diritto" al problema pedagogico: "In tutti i tempi la filosofia si è
trovata ad avere nel suo seno il problema dell'educazione. Il quale si
presenta sempre sotto due aspetti che danno luogo a due forme
principali della pedagogia; ma così l'uno come l'altro aspetto
rientrano di pieno diritto nel dominio della speculazione filosofica"
(G. Gentile, "Sommario di pedagogia generale", primo vol., Laterza
1913, p.117).
Nato a Livorno il 9 gennaio 1907, laureato in Filosofia nel 1929
nell'Università di Pisa con una tesi su Erasmo da Rotterdam, assai
promettente per i futuri esiti non violenti e le prospettive di
realizzazione di un organico coordinamento filosofico-pedagogico, e
docente di ruolo nei licei, Lamberto Borghi è costretto dalle leggi
fasciste "per la difesa della razza" del 1938, in qualità di ebreo, a
trasferirsi negli Stati Uniti, dove ha modo di conoscere personalmente
Gaetano Salvemini, Lionello Venturi, Nicola Chiaromonte, Ernst
Cassirer, George De Santillana, Jerome Bruner, John Dewey, ecc.,
e cioè il meglio dell'intellettualità antifascista e del pensiero
critico applicato ai vari campi della ricerca. Egli ha modo di accedere
ai nuovi studi di scienze sociali nell'Università di Yale e quindi di
approfondire i suoi interessi per il pragmatismo filosofico e
pedagogico americano che gli consentiranno poi, tornato in Italia nel
1948, di ottenere la libera docenza in pedagogia e l'insegnamento di
questa disciplina prima per incarico nell'Università di Pisa e poi come
ordinario nelle Università di Palermo,Torino e Firenze. Qui, dal 1955
al 1982, tiene la cattedra di pedagogia che era stata di Ernesto
Codignola, il neoidealista gentiliano costruttore della Scuola-Città
"Pestalozzi" di Firenze e direttore-fondatore della preziosissima
rivista "Scuola e Città". La morte lo coglie nella sua casa a Firenze,
in Borgo S. Jacopo, il 13 dicembre 2000.
Amico di Guido Calogero e Aldo Capitini già dagli anni pisani, Borghi
rimane vicino al loro antifascismo ed al loro liberalsocialismo ed
elabora un laicismo non privo di valori autenticamente religiosi,
e non dimentica la grande lezione libertaria della "Critica della
Ragione Pratica" e della "Metafisica dei costumi" di Emanuele
Kant che fa dei princìpi di libertà e di autonomia
dell'uomo come persona "trascendentale" i cardini della dignità umana e
di ogni teoria pedagogica (o politica) che voglia assumere un carattere
di razionalità e universalità. Di qui, avvicinando la filosofia alla
pedagogia nei termini moderatamente neoidealistici, egli fa di questa,
come dice Sergio Hessen, una "filosofia applicata", magari senza
proclamarlo solennemente, ma certo senza deviazioni
positivistiche e inopportune cadute pseudo-scientifiche: "Noi parliamo
di educazione morale,scientifica (ovvero teorica), artistica,
giuridica, religiosa, economica. Ma ciò significa che, nonostante il
suo collegamento con i dati della psicologia e della fisiologia, essa
non è altro, in sostanza, che una filosofia applicata [...] Perciò ad
ogni disciplina filosofica corrisponde una sezione speciale della
pedagogia sotto forma di parte applicata: alla logica la teoria della
istruzione scientifica...all'etica la teoria della formazione morale e
così di seguito"(Sergio Hessen, "Fondamenti della Pedagogia come
Filosofia applicata", seconda edizione, Sandron, Palermo 1942, p.20).
Che è in effetti un modo di aggregare e unificare, senza disperderle e
spezzettarle, le varie scienze dell'educazione, e non solo di
sottometterle ad un unico centro propulsore e ad un unico motore
di ricerca logico-critica.
Il Borghi non respinge la parte sana del positivismo, ma solo quello
fanaticamente metafisico,e testardamente dogmatico e perciò
accetta quello di Aristide Gabelli perché può servire ancora
nell'esercizio laico che tende ad accogliere le buone riflessioni, e
per considerazioni più immediatamente didattiche, quelle che
riguardano l'apprendimento degli uomini, il loro imparare per
intuizione, il loro avvertire le nozioni con animo perturbato e
commosso, cioè con un alto coefficiente percettivo ed emozionale :
"Intuire è dunque esperire, e la forma più semplice e comune di
intuizione è l'intuizione diretta naturale, ossia il contatto che
l'uomo ha con le cose che lo circondano, con l'ambiente in cui
vive. Per mezzo di questa intuizione naturale l'uomo da solo conosce le
cose e si forma un'esperienza. Ora,la scuola promuoverà lo stesso tipo
di esperienza mediante l'intuizione diretta artificiale che allargherà
le cognizioni del discente"(L. Borghi, "Il positivismo",in "I classici
della pedagogia italiana", a cura di E. Lama e L. Volpicelli, La
Nuova Italia 1958, p.28).
Il pragmatismo pedagogico di Borghi ha una speciale connotazione
storicistica ed una larga base filosofica, alimentata da una
perfetta conoscenza dei classici della filosofia, specie di quella
moderna, e dalla completa padronanza della migliore letteratura
libertaria mondiale, da Tolstoj a Kropotkin, da Proudhon a Bakunin, da
Reclus a Francisco Ferrer, da Wilhelm Reich a Rogers, da Camus ad
Adorno ed agli altri filosofi francofortesi, e muove da una
precisa visione teoretica dell'educazione come processo attivo e
progressivo capace di far emergere tutte le risorse speciali
dell'autosviluppo e dell'anticondizionamento tanto nella formazione
intellettuale che in quella morale e civile. Questo pragmatismo
proviene più concretamente da una severa critica all'idealismo
gentiliano, là dove esso annulla l'individuale nell'universale: "La
concezione dell'universale come universale-individuale o universale
concreto non si è dimostrata negli idealisti italiani capace di salvare
l'individuale. La sintesi dei due momenti non si è realmente effettuata
e il vecchio universale riappare vittorioso, come già nell'idea
hegeliana, nella sua astrattezza. Ed è per questo che l'attivismo
pedagogico o il movimento delle scuole nuove non ha avuto in Italia una
effettiva comprensione né un sostegno valido per opera della filosofia
dell'educazione elaborata dall'idealismo e dalla riforma della scuola
che sotto i suoi auspici si è effettuata"(L. Borghi, "Scuola e città",
La Nuova Italia, Firenze 1952, p.208).
Borghi sa accogliere opportunamente di Giovanni Gentile e
del suo attualismo gli elementi positivi e funzionali al suo
pragmatismo pedagogico: "Resta però nell'attualismo idealistico
l'accentuazione della conoscenza come una produzione continua, un fare
incessante, una prassi originaria, lo stesso concetto di essa che il
Gentile aveva messo in luce a proposito dell'Hegel. Se pertanto il
conoscere si atteggia perpetuamente come un fare, lo sviluppo del
fanciullo nella conoscenza non potrà essere più scisso dall'attività
pratica, dal comportamento di esperienze sociali e vitali come parte
del programma scolastico. Questa conseguenza non trasse il Gentile
medesimo" (ibidem). Egli comprende bene che l'attualismo gentiliano non
ha nulla in comune con il fascismo, che esso era stato concepito molto
tempo prima che Mussolini arrivasse al potere e gettasse le basi
concrete del regime dittatoriale; e ritiene che il pragmatismo
pedagogico, qual è quello da lui concepito e praticato,possa essere
alimentato da una concezione dinamica come quella attualistica che
concentra nella prassi ogni attività umana. Concezione che non è molto
distante dalla marxiana filosofia della praxis, di cui peraltro Gentile
era stato in Italia uno dei primi interpreti, divulgatori e
traduttori,alla fine dell'Ottocento.
La valorizzazione dell'attività e della libertà quali dimensioni
della soggettività umana e il far tesoro di esperienze
filosofiche e culturali varie maturano con l'assimilazione dei momenti
più alti della storia della filosofia dal pragmatismo americano, di cui
Borghi è forse il più attento studioso e divulgatore, al marximo
italiano, dall'idealismo tedesco e italiano allo spiritualismo
francese. Perciò il suo attivismo già all'inizio degli anni Cinquanta
del Novecento trova il suo fondamento (vedi "Il fondamento
dell'educazione attiva",Firenze 1952) e rivela la sua dimensione
fortemente socializzante e democratica, con spunti gentiliani,
deweyani e marxiani ben dosati e puntualmente espressi e innestati nel
tronco della sua visione. Certo, per lui, l'obiettivo principale rimane
l'uomo nella sua concretezza e pienezza di funzioni, l'uomo con la sua
libertà come proprietà personale interiore ed elemento
costitutivo della persona. Questa consiste poi nella possibilità
di essere autentica, ora ed in qualsiasi momento, e si esprime
concretamente nella robusta dimensione intellettuale e morale
alimentata, coltivata ed educata nell'arena dell'educazione. Da
qui discende per logica conseguenza che uno dei luoghi decisivi
dell'educazione e dello sviluppo della libertà e della persona
sia, appunto, la scuola.
La filosofia eclettica che Borghi elabora e diffonde in Italia lo
porta a concepire la possibilità dell'educazione solo in senso
libertario, perché soltanto la libertà può connotare l'umanità e
radicare l'individuo nel mondo degli uomini, come afferma il filosofo
Franco Lombardi nel suo poderoso saggio pubblicato con lo stesso
titolo, "Il Mondo degli Uomini" (Le Monnier, Firenze 1935),
quando la sua dimensione ontologica viene liberata totalmente
attraverso l'educazione. Se la libertà non fosse una conquista, tutta
l'educazione sarebbe un'operazione inutile, ed inutili sarebbero i
maestri ed ogni teoria della formazione. E altrettanto inutile sarebbe
l'educazione se essa fosse una sorta di totale autoapprendimento, che
si mette in moto da sé, per sola forza intrinseca. In questa ipotesi
non vi sarebbe conquista progressiva di intelligenza e di moralità, o
di emancipazione, giacché tutto si svolgerebbe immediatamente per
folgorazione improvvisa e autonoma, né vi sarebbe possibilità di
rifiuto dell'autoritarismo o necessità di seguire prassi libertarie, e
la scuola sarebbe un luogo pieno di attraenti inutilità. Questo
ci insegna Rousseau pur teorizzando l'autoeducazione di
Emilio. Ma sappiamo che così non è, e che anche in "Emilio"
l'autoeducazione non vive da sola, poiché pure l'eteroeducazione svolge
il suo ruolo decisivo..
Ricordando il Maestro livornese, viene in mente quel suo configurare la
pedagogia come una ricerca filosofica permanente sulla condizione
umana, giacché l'esistenza dell'uomo non riproduce meccanicamente se
stessa ed ha bisogno di acquisire progressivamente nuovi strumenti
conoscitivi ed intellettuali. Insomma,"l'educazione è sempre creazione
di nuovi prodotti e mai riproduzione dell'esistente", e l'attività
educativa non è mai una semplice operazione di trasmissione, e
l'apprendimento è in ultima analisi un processo assai faticoso e non
già, semplicemente, un divertimento come possono immaginare i seguaci
di un superficiale attivismo teorizzatore e realizzatore della vita
come gioco. Per questo motivo Borghi ritiene che in nessun momento il
docente può rinunciare ad assumere una posizione di centralità
socratica per realizzare l'obiettivo di far autoritrovare ed
autoricercare al suo giovane allievo la propria verità. L'anarchismo
borghiano assume per questa via una connotazione più morbida ed un
riferimento più puntuale a quella filosofia kantiana che tende alla
difesa incondizionata dell'uomo. Questo è però un kantismo bene
interpretato ed egregiamente costruito.
Borghi,come dicevo, ha tra l'altro il merito di aver fatto
conoscere in Italia il pensiero di Dewey e di altri importanti filosofi
e pedagogisti americani, e di non aver mai dimenticato la lezione di
Gaetano Salvemini e di Carlo Cattaneo sul federalismo inteso nella
forma autenticamente libertaria dell'autogoverno individuale e
dell'autodifesa dalla sopraffazione autoritaria e burocratica. Non è un
caso se all'inizio della sua attività saggistica si trova quel grande e
vero capolavoro storiografico che è "Educazione e autorità nell'Italia
moderna" edito da La Nuova Italia nel 1951 e pensato durante il
soggiorno forzato negli Stati Uniti per dimostrare la stretta
connessione tra percorso educativo autoritario e sbocchi politici di
tipo totalitario. Che è pure l'argomento sul quale si concentrano gli
intellettuali antifascisti di lingua tedesca nell'emigrazione americana
raccolti negli anni Trenta attorno ai francofortesi Horkheimer, Adorno,
Fromm e Marcuse. Per quest'ultimo,ad esempio, le prevaricazioni
educative si intrecciano con le prevaricazioni sociali e politiche e
creano un terribile connubio: "L'autorità, come potere sul
riconoscimento volontario, sulla volontaria subordinazione alla volontà
e all'intelligenza di colui che detiene l'autorità, è una proprietà che
determinate persone hanno per natura[...] Il suo presupposto è
l'appartenenza di colui che possiede l'autorità ad un dato popolo,ad
una certa razza: l'autorità si fonda su una genuina affinità fra il
capo e i suoi seguaci"(Herbert Marcuse, "L'autorità e la famiglia",
trad. italiana di Anna Marietti Solmi, Einaudi 1970, p. 123). E
Horkheimer e Adorno ripetono che la pericolosa debolezza dei
singoli prepara il terreno alla "capitolazione nella massa dei
seguaci", anche se l'identificazione con la figura strapotente del capo
"offre all'individuo un surrogato psicologico per quel che gli manca
nella realtà" ( Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, "Lezioni di
sociologia", trad. it. di Alessandro Mazzone, Einaudi 1966,
p.96).
Non è possibile,infine,ignorare le sollecitazioni filosofiche e
religiose che Borghi con grande apertura mentale, e senza nutrire alcun
pregiudizio, assume dal personalismo francese di Mounier e Maritain e
da quello italiano di Giuseppe Flores d'Arcais, Mario Casotti, Aldo
Agazzi e Luigi Stefanini, del quale egli non manca di apprezzare
l'ontologia personalistica propria del Cristianesimo e la teorizzazione
della pedagogia come scienza filosofica. La sua idea pedagogica più
pertinente, espressa in una molteplicità di saggi pubblicati via via su
"Scuola e Città", consente di collocare il rapporto educativo nella
concretezza dell'ambiente storico e nel contesto dell'influenza
esercitata dal "vero" Maestro, che è colui che dall'interno riesce a
dettare alla coscienza regole profonde e condivise
dell'apprendere e dell'agire. Non bisogna stupirsi quindi se nei
confronti del pensiero personalista di Stefanini, che detiene con
merito la doppia qualifica di filosofo e di pedagogista, egli così si
esprime: "L'esigenza fondamentale della pedagogia contemporanea era
giustamente scorta da Luigi Stefanini nel riconoscimento e nella
valorizzazione del principio della libertà come capacità dell'alunno di
svilupparsi secondo le esigenze della sua stessa natura"(L.
Borghi, "Aspetti e problemi della pedagogia contemporanea in Italia",
in "La Filosofia Contemporanea in Italia", SFI, Roma 1958,
p.467). E tali esigenze possono condurre verso la legittimazione della
fede e dell'esperienza religiosa. Ma il libertarismo borghiano non si
preoccupa se sfiora il fatto religioso, poiché riconosce
all'individuo anche la libertà della meditazione religiosa e della
metafisica disalienante. L'importante è che il principio motore sia la
libertà autentica del soggetto o il processo della sua autentica
disalienazione.
prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com
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