Le buone parole della scuola: equità
Data: Lunedì, 01 dicembre 2014 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Equità, Partecipazione ed Efficacia sono le finalità che possono rappresentare l'insieme delle intenzioni  con cui si è dato inizio a partire dagli anni '60 alle iniziative di riforma del sistema scolastico italiano. Ognuna di esse ha avuto un proprio percorso storico, che non sempre si è intrecciato con quello delle altre. Se fossero state tenute insieme  sia dai movimenti politici, sia dai governi che si sono succeduti altra avrebbe potuto essere la storia degli ultimi 40 anni della scuola italiana e soprattutto altra sarebbe la sua attuale condizione.

Equità. E' uno dei nodi più difficili da sciogliere nelle scelte di politica scolastica, perchè in genere si intende giocare la sfida dell'equità contro quella ricorrente dell'efficacia, come se non potesse essere garantito  quanto è necessario in termini di qualificazioni  elevate ed utili  alla società, consentendo a tutti pari opportunità di formazione, non lasciando nessuno indietro.

E' questo un problema che hanno fatto emergere la consapevolezza dell'importanza dell'istruzione nei processi di mobilità sociale e l'insofferenza verso tutte le forme di privilegio sociale, in qualche modo confermate dalla preclusione ad alcuni corsi di studio.

L'istruzione come bene comune è un principio di democrazia che si è fatto strada lentamente  nella società ed ha alimentato nei decenni precedenti  le lotte politiche tese a renderlo disponibile in una scuola aperta a  tutti. L'universalizzazione del diritto all'istruzione e all'educazione è un bisogno della società; è un bisogno di ogni singola persona.

Molti sono stati i modi per affrontare il problema dell'equità e della giustizia a scuola. La misura ricorrente e iniziale per fare della scuola un'istituzione giusta è quella di abbattere ogni forma di barriera al diritto di accesso ad ogni corso di studio. Non ci sono motivi per sostenerne le ragioni e anche per poterle camuffare. E contro la  proclamazione di questo diritto il fatto che si vengano a costituire indirizzi di studio che si distinguono non per le caratteristiche dei propri curricoli, ma secondo le classi sociali di appartenenza degli alunni che li frequentano. Lo sono anche e soprattutto  le  cosiddette forme di selezione "cognitiva" (la cui arbitrarietà dovrebbe  sempre essere denunciata) per accedere ai corsi a numero chiuso, perchè impediscono a molti giovani di potere dare corso alle proprie aspirazioni e perchè negano il  diritto di potersi confrontare con saperi ritenuti importanti per la loro vita. Oltre a questi ostacoli, ma anche se non ci fossero, le vere limitazioni al diritto allo studio e  quindi all'equità sono quelle di natura economica-sociale, che impediscono a molti giovani di scegliere o di prolungare la propria carriera scolastica. Basti guardare alle iscrizioni all'Università e ai licei, scuole nominalmente e per convenzione sociale più adatte per la carriere accademiche.

La riduzione degli aiuti economici (borse di studio,buoni libro) e la mancanza  di adeguati servizi (alloggi, mense, trasporti) consolidano questo permanente aspetto dell'iniquità del mondo della scuola e dell'istruzione.

Altro modo per rendere la scuola un'istituzione giusta è l'elevamento della scolarità dell'obbligo. C'è un periodo di formazione nella vita di ogni giovane che non può essere negato a nessuno e che necessariamente si dilata nel nostro tempo. L'innalzamento dell'obbligo scolastico è misura necessaria e adeguata alla società della conoscenza, che rischia di essere inefficace se non viene unita ad una lotta serrata e convinta alla dispersione e se non si dà corso ad un'ampia manutenzione dei curricoli e della didattica.

La permanenza più lunga dentro le aule non risolve da sola  il problema di una più estesa e qualificata formazione di tutti i giovani. La scolarizzazione di questo diritto/obbligo spesso è essa stessa causa di dispersione. L'assenza di un'offerta di formazione professionale articolata, ricca di contenuti, legata al territorio e al mondo del lavoro impedisce di ridimensionare il fenomeno della dispersione e di garantire ad alcuni strati della popolazione giovanile le risorse necessarie per inserirsi nel mondo del lavoro e per esercitare i diritti di cittadinanza.

L'obbligo scolastico è ancora un nodo da sciogliere  senza dogmatismi e con aderenza alle reali possibilità di renderlo operante nella sua portata e nelle sue finalità. E' un problema di prima grandezza che richiede il superamento di molte resistenze e di molti luoghi comuni.

Si è ritenuto per molto tempo,oggi un po’ meno, che il differimento più lontano possibile delle scelte definitive del tipo di studi fosse una misura per l'equità, che lo fossero i curricoli quanto più possibili unitari. Molte riforme e molti tentativi di riforma sono stati ispirati da questo convincimento e non solo in Italia. La differenzazione non è, però, in'invenzione del diavolo; trova spiegazione nella storia dello sviluppo delle istituzioni scolastiche e della società e può essere una soluzione adeguata per valorizzare la pluralità e la differenza dei talenti e delle vocazioni. Trova una sua forte legittimazione solo se ogni indirizzo  di studi viene adeguatamente valorizzato e se ogni indirizzo consente di potere proseguire, se ce ne sono le condizioni, il corso di studi; se da un indirizzo si possa transitare ad un altro senza particolari difficoltà e se ogni indirizzo è in grado di  assegnare a chi lo frequenta il bagaglio necessario per affrontare la navigazione della vita.

C'è un problema di cultura; c'è un problema  di orientamento e c'è un problema di stratificazione sociale, quest'ultimo  non sempre alla portata della scuola, che bisogna risolvere. Il rischio di avere indirizzi di studio, socialmente dedicati e frequentati, è dietro l'angolo e non sono solo i curricoli a determinarlo. C'è sempre un modo per inventarsi un segmento di istruzione che non è alla portata di tutti ed è buono per mantenere intatte le distanze sociali tra gli alunni.

I modi per affrontare il problema dell'equità non sono a costo zero né per l'amministrazione, né  per il mondo della scuola e dai tentativi messi in atto si vede quanta sensibilità ci sia e quanta volontà per trovare le migliori soluzioni. Sono di impedimento  a volte le regole stesse dell'organizzazione del lavoro e della carriera dell'insegnante, oltre che il tradizionalismo professionale al quale si finisce per aderire. Se non si assegnano gli insegnanti migliori e più esperti con adeguate incentivazioni e tutele alle scuole in zone di disagio sociale difficilmente si può parlare di lotta alla dispersione: i buoni e motivati insegnanti sono la prima E INDISPENSABILE DOTAZIONE TECNOLOGICA PER VINCERE LA BATTAGLIA DEL SUCCESSO SCOLASTICO E DELLE PARI OPPORTUNITA'.

C'è equità se nessuno resta indietro,se tutti escono dal sistema di istruzione e formazione con quel che serve per essere buoni cittadini e buoni lavoratori.

prof. Raimondo Giunta





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