Eugenio Garin e la filosofia come sapere storico
Data: Martedì, 21 ottobre 2014 ore 09:00:00 CEST Argomento: Redazione
Se vi è stato uno
studioso che ha attraversato in profondità con le sue
ricerche tutte le epoche della storia della filosofia italiana ed
europea e tutti gli autori maggiori e minori della letteratura
nazionale, questi si chiama Eugenio Garin (Rieti 9 maggio 1909 -
Firenze 29 dicembre 2004), le cui sistemazioni concettuali non
sono state mai banali e hanno sempre suscitato vasto interesse anche
sulle tematiche ritenute meno impegnative, come quelle che si trovano
nella produzione più scolastica del "Manuale di Storia della Filosofia"
(Sansoni 1963); della "Storia della filosofia italiana" (seconda ediz.
Einaudi 1966) o delle "Cronache di filosofia italiana"(Laterza 1955).
In Garin tutto il lavoro storiografico è stato fondamentale, perché
esso ha procurato strumenti, metodi, problemi e risposte a quesiti veri
e profondi non solo per la storia della filosofia, ma anche per la
storia della letteratura, dell'arte, della scienza e della cultura
politica. Di qui bisogna partire per leggere con efficacia la sua
intensa e appassionata fatica attorno al concetto della filosofia
e della storia della filosofia, dopo che Croce e Gentile vi si erano
applicati e avevano offerto i loro particolari contributi. Per tutto il
resto relativo alle opere, all'attività didattica e alla formazione
filosofica di Garin, si può attingere alla sua bella
autobiografia "Sessanta anni dopo" pubblicata dall'Editore Pacini
-Fazzi di Lucca nella rivista "Iride" n. 2 del 1989 e in appendice al
libro "La filosofia come sapere storico" nell'edizione Laterza del
1990.
Non è possibile intendere la fortunata "Filosofia come sapere storico"
pubblicata la prima volta nel 1959, se non la si riferisce alla vicenda
filosofica della storiografia da Hegel a Gentile a Croce ed a Gramsci.
All'inizio sta Giovanni Gentile. Nella famosa prolusione letta il 10
gennaio 1907 nella R. Università di Palermo su "Il concetto della
storia della filosofia", inserita poi con "Il circolo della filosofia e
della storia della filosofia" nel volume "La riforma della dialettica
hegeliana" pubblicato dall'editore Giuseppe Principato di Messina nel
1913, Gentile cerca di definire il concetto di filosofia e quello di
storia della filosofia: "Quale che sia il punto di vista da cui muove
lo storico e l'indirizzo filosofico a cui aderisce, egli non può
ricercare e non ricerca se non le soluzioni che sono state via via
escogitate di un medesimo problema, che per lui è il problema
essenziale della filosofia, da cui tutti gli altri più o meno
direttamente dipendono" (Principato 1913, p.111). La filosofia, per
Gentile, è quindi unità che si trasferisce nella sua storicità secondo
un circolo di ripetizione dell'uguale nell'orizzonte dello stesso suo
atto speculativo. Garin ne rimane affascinato,ma vi introduce profonde
novità, alla luce anche della metodologia crociana.
Benedetto Croce affronta, infatti, il medesimo problema con
diversa disposizione di spirito e nella parte quarta della sua "Logica
come scienza del concetto puro" (Bari 1909) afferma che la filosofia
non ha una storia apriori e quindi la sua è storia fondata su
molteplici dati di fatto aposteriori. E chiarisce : "Come l'arte, la
storia cerca la vera forma degli avvenimenti, quella pura e concreta
dei fatti reali [...] la storia si attacca a quelle manifestazioni del
reale e in esse si sprofonda. Le idee, che lo storico elabora, non sono
da lui introdotte nella storia, ma scoperte nella realtà stessa, della
quale quelle costituiscono l'essenza; e risultano dalla pienezza degli
avvenimenti, non già da un'aggiunta estrinseca, come nella così detta
storia filosofica o teologica" (terza ed. Laterza 1917, pp. 392-393).
La storia è per Croce una sintesi di pensiero e documentazione,
di concetto e fatto, esattamente come la filosofia, che non può fare a
meno della storia e che è giudizio storico. Per questo motivo viene
teorizzata l'identità di storia e filosofia nella struttura del
giudizio individuale, dato che il concetto puro è tale perché legato
alla ricchezza molteplice della realtà,dei fatti e dell'esperienza. La
filosofia è nella visione crociana il luogo teoretico di
trasformazione delle sparse membra storiche in verità "vere" mediante
il deciso intervento dell'intelletto.
Garin intercetta il dibattito metodologico sollevato dai due idealisti
e s'avvicina subito alla posizione di Benedetto Croce, perché
ritiene improbabile un pensiero autonomo, come invece Gentile aveva
ipotizzato. Il pensiero è storia per i diversi modi in cui l'uomo
esprime la sua spiritualità,i suoi sentimenti, le sue emozioni e,
insomma, la forza tutta umana fatta di carne e sangue, la cui
valenza concettuale altro non è che volontà unificante delle forme e
delle varie espressioni dello spirito. Non esiste razionalità al di
fuori delle vicende umane e non vi è teoresi che si collochi in una
dimensione sovrastorica.
La filosofia ha un'origine "impura", come affermava Croce, che
intendeva la purezza solo come capacità logica e potere di
ricostruzione dell'unità nella molteplicità degli eventi e dei problemi
che di volta in volta sorgono ed impegnano l'esistenza umana e le sue
forze. Perciò i filosofi, dice Garin, non spuntano come funghi, ma sono
il frutto della loro epoca, del loro popolo, della contingenza storica.
E molte sono le idee di un'epoca, e molte le filosofie, e assurda è la
posizione di chi vuol tagliare con la sua purezza teorica la
possibilità della storia: "Quella che veramente è assurda, è la
posizione di chi taglia con la sua teoria la possibilità di una storia
e va poi costruendo storie fantastiche e deformanti, irridendo il
lavoro reale dello storico. Per chi intende la filosofia come un certo
lavoro teorico puro, tutto esaurito nell'ambito di puri sistemi logici,
derivanti l'uno dall'altro, tutto quello che è campo dello storico,
tutto quello che è storico, o storicizzabile, non può non cadere fuori
dalla filosofia. Con lo storico che cerca di svelare le radici
terrestri delle idee il filosofo di questo tipo non può non sentirsi in
radicale contrasto[...] Né si comprende perché tanti filosofi amino
violentare la storia (la seria, modesta storia, che ha a che fare con
l'umano, col mondano, col mutevole) impegnandosi in quella strana cosa
che è la sollecitazione dei testi per attribuire ai grandi morti le
loro piccole - o grandi - idee. A costoro e a quanti come costoro
infastidiscono con accuse di filologismo, culturalismo, erudizione e
così via chi affronta umilmente in archivi e biblioteche la
responsabilità dell'indagine faticosa, vien fatto di ripetere con
l'immagine cara al vecchio filosofo: visto che tra l'ottuso profeta e
l'onesto somaro abbiamo scelto la compagnia del secondo, lasciateci
almeno lavorare in pace!" (Eugenio Garin,"Osservazioni preliminari a
una storia della filosofia", in "La filosofia come sapere storico",
Laterza 1990, pp.85-86).
Ho voluto servirmi della lunga citazione per riprendere esattamente il
pensiero di Garin sulla storicità della filosofia, senza perdere la
possibilità di gustare le battute ironiche e l'eleganza dello stile. La
concezione gariniana della filosofia come sapere storico, assai vicina
alla visione crociana e ad essa intimamente legata, sia pure con le
necessarie differenze ed integrazioni, si sviluppa attraverso l'idea
che i problemi della filosofia non solo non si sottopongono ad
una rigida gerarchia, ma non sono nemmeno di numero ben definito. Essi,
come diceva Croce, sono inesauribili perché nascono sempre nuovi,
diversi e individualizzati, dal fondo della storia, che offre la
materia ai singoli pensatori delle varie epoche: "Così travagliandosi
nel profondo e seguendo le necessità logiche dei problemi che si
proponeva, la filosofia dello spirito ha - dai Greci antichi a noi -
elaborato quelle teorie che si dicono di logica, di etica, di politica,
di economia, di estetica, e quante altre siano nelle loro innumeri
specificazioni e particolarizzazioni, con le quali gli uomini tutti,
spesso inconsapevoli degli strumenti che maneggiano e della fatica che
è costato il costruirli, interpretano la vita che vivono e si orientano
nella loro azione, rivolta all'avvenire. Tutti i veri filosofi,
in quel che hanno avuto di veramente filosofico, e non già nelle
escogitazioni metafisiche che hanno foggiate o ricevute o lasciate
sussistere nei loro detti, sono stati autori e accrescitori di questo
patrimonio mentale [...] E questa è la propria ed effettiva storia
della
filosofia nella quale niente va perduto e di cui vediamo la catena
stendersi fino a noi per ricevere nuovi anelli" (B.Croce, "Il concetto
della filosofia come storicismo assoluto", in "Filosofia, Poesia,
Storia", Edizione Speciale per la Biblioteca Treccani,2006,pp.17-18).
Dalle considerazioni di Croce discende, dunque, l'elaborazione
gariniana del concetto di filosofia come pluralità di saperi
riuniti nella sintesi filosofica e si sviluppa l'idea della piena
identità di filosofia e storiografia nella riconquistata consapevolezza
dell'unica natura delle due forme di sapere e nella sostanziale
omogeneità degli strumenti conoscitivi e dei problemi che insorgono.
Così lo storico che ricostruisce e interpreta la realtà ed il filosofo
che si appropria della realtà con il pensiero critico, altro non sono
che due figure e due modi costitutivi dello stesso bisogno di
unificazione, ricostruzione e interpretazione dei dati di fatto.
Questo bisogno di unità, plasmata da criticità e storicità, non esclude
che il mondo storico, se fortemente pensato, abbia un senso più
alto ed un orizzonte più largo nel suo dispiegarsi di epoca in
epoca e di civiltà in civiltà. E include pure il pensiero
dell'ontologico, del teologico e del metafisico, e le categorie della
continuità che connette e della discontinuità che diversifica. Perciò,
Medioevo e Rinascimento sono mondi contigui e continui, pur nella
diversità di taluni eventi e di taluni pensieri che li rendono
diversi e che li differenziano e li identificano al tempo stesso
(cfr.di E. Garin,"Medioevo e Rinascimento", Laterza 1954).
La tematica dei complessi rapporti tra Medioevo e Rinascimento, che
tanti dibattiti ha subìto e provocato, viene ripensata e ripresa
dal filosofo fiorentino successivamente nella sua autobiografia:
"Lontanissimo, anzi profondamente avverso alla tesi cara al Cristeller
di un umanesimo del Rinascimento come fatto sostanzialmente
grammaticale, di un Rinascimento speculativamente continuatore del
Medioevo, e come tale in verità inconsistente, ho cercato al contrario
di individuarne la peculiarità proprio nel nesso profondo dei suoi
molteplici aspetti, e soprattutto nella concezione della vita,
dell'uomo e della sua attività; nell'arte come nella politica, nello
sviluppo delle tecniche come nel contributo al risveglio scientifico.
Qui, appunto, le complesse radici della civiltà moderna, senza negare i
profondi legami con l'età precedente, ma senza neppure attenuare le non
meno profonde differenziazioni" (E.Garin, "Sessanta anni dopo", in "La
filosofia come sapere storico", cit., pp.146-147). E così Medioevo e
Rinascimento, Ottocento e Novecento, Illuminismo e Romanticismo,
positivismo e neoidealismo, ecc. contengono veri elementi di continuità
e autentici fattori di discontinuità. E l'uso costitutivo o regolativo
della ragione arricchisce poi la storicità e le dà un senso pieno
nell'estendersi e definirsi degli orizzonti storiografici e degli
eventi culturali e civili, fisici e metafisici, senza la necessità di
offrire rappresentazioni irreali.
Al concetto puro apriori della logica gentiliana ed a quello impuro
aposteriori della logica crociana il Garin contrappone dunque il suo
concetto della filologia che include pienamente la storicità e non
esclude l'esercizio del pensiero critico, e la ricerca della verità
nella varietà e pluralità delle direzioni. Di qui il compito di una
filosofia che, ritrovando un concetto filologico "concretamente
impuro", in quanto carico di fatti, si ritrova a dover offrire la sua
criticità produttiva avendo realizzato la sua discesa dal cielo alla
terra. Il materialismo storico e Gramsci in particolare forniscono a
Garin gli strumenti più preziosi per uscire dal campo
dell'astrazione e fare l'ingresso nel tempio terrestre della storicità,
nella quale la filosofia si può trasformare, e si trasforma davvero, in
sapere storico: "Gramsci combatte senza posa per un marxismo che sia
davvero, com'egli dice, umanismo integrale: e proprio per questo non
esita a ribellarsi contro ogni economismo e ogni determinismo assoluto
[...] La gramsciana filosofia della prassi, se respinge ogni
mistificazione speculativa, rifiuta ogni esperantismo: traduce il
marxismo in italiano, ossia intende rispondere alle richieste maturate
lungo la storia italiana in modo ad esse appropriato" (E. Garin,
"Gramsci nella cultura italiana", in "La filosofia come sapere storico,
cit., pp.105-107). La filosofia non è un formulario di risposte
prefabbricate, ma un modo di individuare le domande, e un metodo
per rispondervi concretamente, anche quando esse sono difficili ed
implicano il rapporto con il Trascendente.
Da questo concetto di una necessaria riduzione alla terrestrità (senza
volgarizzare lo spirituale, anzi sublimando possibilmente l'empirico),
e trasferendo i problemi metafisici nel più inquieto terreno del tempo
e dello spazio, scaturisce ancora la dimensione non-astratta, né
monolitica della filosofia e si afferma la possibilità di una teoresi
avvinghiata ai problemi dell'uomo in carne e ossa. E non si dà storia
senza la soggettività umana a cui tutti i problemi reali ineriscono. E,
di nuovo, non può esistere filosofia che non sia hegelianamente
pensiero del proprio tempo, carne della propria carne e storia reale
dell'uomo. E ciò in effetti è il risultato della lunga tradizione
fenomenologica hegelo-marxiano-gramsciana, che permette una concezione
nella quale la saldatura tra mondo e pensiero è talmente organica da
non potersi più staccare: "Che è in realtà a sua volta una storiografia
erede di Hegel, di quello Hegel che ha ribadito
l'impossibilità di staccare le concezioni e le idee dal mondo che le
esprime, onde,veramente, su questo terreno si verifica la saldatura
inscindibile fra storia della filosofia e storia concreta e integrale"
(Eugenio Garin,"Osservazioni preliminari a una storia della filosofia",
in "La filosofia come sapere storico", cit.,p.53).
Ricordare l'autore delle "Cronache di filosofia italiana", l'opera
recensita ed apprezzata da Togliatti e ripetutamente letta ed
esaltata dai marxisti-storicisti italiani contro ogni marxismo
della praxis più o meno rivoluzionaria, significa riportare alla
ribalta un modo rigoroso e corposo di far filosofia, ed anche
tangibile e documentato, persino quando si toccano tematiche di alta
densità ontologica. Sotto questo aspetto, il Garin è davvero il sommo
teorico e realizzatore di una filosofia che si fa storia e di una
storia che si fa filosofia: colui che rifiuta ogni estrinseco
rivestimento paludato e ogni elementare e deterministico storicismo, e
che fa storia della filosofia con la consapevolezza di fare storia
della cultura e della civiltà. E capisco perché egli si sia cimentato
particolarmente con l'Umanesimo ed il Rinascimento, e ne è diventato il
Maestro ed il massimo cultore e divulgatore italiano. In
quell'età egli poteva mettere a frutto tutte le sue competenze
filologiche ed i suoi studi precedentemente compiuti, a cominciare da
quelli su Pico della Mirandola, e soprattutto poteva esprimere
perfettamente la sua idea "laica" di storia della filosofia: "A quella
filosofia che viene ignorata nell'età dell'umanesimo come vana ed
inutile, si sostituiscono indagini concrete, definite, precise, nelle
due direzioni delle scienze morali (etica, politica, economica,
estetica, logica, retorica) e delle scienze della natura, che coltivate
"iuxta propria principia", al di fuori di ogni vincolo e di ogni
auctoritas, hanno in ogni piano quel rigoglio che l'onesto ma ottuso
scolasticismo ignorò" (Eugenio Garin,"L'Umanesimo italiano", Laterza
1965, p.10.).
Il Garin non sopportava le raffigurazioni ultramondane della filosofia,
né che questa, come pretendevano certi marxisti italiani, dovesse avere
un intento pratico - immediato, ad ogni costo ed in nome del
materialismo dialettico marx-engelsiano. Perciò egli, sia contro la
filosofia "sublime", sia contro quella "utile", lanciava con
eleganza i suoi strali sin dalla prima introduzione alle "Cronache":
"Certo questa non è né la filosofia inutile e sublime, né la storia che
ricostruisce la purissima logica dell'immancabile sviluppo del mondo;è
una modesta cronaca, scritta non senza appassionamento partecipe, di
programmi, di riflessioni, di umani sforzi, ed anche di idee, di quelle
idee che non sono partorite da altra filosofia, ma che sono espressione
sempre rinnovata dello sviluppo storico reale" (Eugenio Garin,"Cronache
di filosofia italiana", Laterza 1975, p. XIII).
prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com
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