Le vie dell’olio tra passato e futuro (Parte I)
Data: Domenica, 19 ottobre 2014 ore 08:00:00 CEST
Argomento: Redazione


«Qui c’è un albero non piantato dalla mano dell’uomo, germe nato da sé medesimo, e verdeggia abbondantemente in questa terra: l’olivo dalle foglie glauche [...] che mai rapace vecchio o capo devastatore estirperebbe con le proprie mani poiché ad esso guardano gli dei del mondo dagli occhi chiari». Così Sofocle in Edipo a Colono.
Ma non era soltanto lui, nell’antica Grecia, a ritenere sacro l’ulivo. All’origine di questa credenza c’è una leggenda. L’onnipotente Zeus amava mettere in competizione i suoi parenti più stretti. Un giorno promise il dominio della terra a chi, tra gli dei dell’Olimpo, gli avesse presentato il dono più utile all’umanità. Si fece allora avanti suo fratello Posidone che, affondando il tridente nella roccia, fece sgorgare l’acqua del mare consentendo così agli Ateniesi di navigare a distanza e dominare il mondo. Ma Zeus, che pure aveva un debole per gli Ateniesi, non se la sentì di assegnare la vittoria al fratello: volle mettere alla prova sua figlia Atena, prima di pronunciarsi. Questa cominciò a percuotere la terra ordinandole di produrre un albero nuovo e meraviglioso. Detto fatto: nacque l’olivo. Ebbro di gioia, Zeus dichiarò chiusa la gara e consegnò la palma alla figlia, sentenziando che mai dono divino sarebbe stato più utile all’umanità. Leggenda per leggenda, perché non ricordare anche quella di Aristeo? Si tramanda che fu questo semidio nomade, figlio di Apollo e di Cirene, a diffondere la cultura dell’olivo in tutto il bacino del Mediterraneo.

Peccato che gli Ebrei non ci credano.
Vuole infatti una vecchia leggenda ebraica che quando morì Abramo gli trovarono tra le labbra tre semi, dai quali poi nacquero il cedro, il cipresso e l'olivo. L’albero «dalle foglie glauche» sarebbe quindi nato nella Terra Santa, per i figli d’Israele. Lo stesso popolo eletto è definito da Geremia «ulivo verde, maestoso». E non è privo di significato il fatto che ad annunciare a Noè la fine del diluvio universale sia stata una colomba «con una fronda novella di olivo nel becco». Di grandissima considerazione ha sempre goduto anche presso i Cristiani la pianta dalla chioma sempreverde, se è vero che la croce di Cristo fu costruita con legno d’olivo e di cedro. Altrettanto sacra e considerata dall’Islam. Il Corano la considera infatti albero centrale, simbolo dell’uomo universale, del Profeta. Insomma, l’olivo è sempre riuscito a conciliare l’inconciliabile: profeti e sacerdoti pagani, Cristo e Maometto, Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo.

Miti e leggende sono fioriti ovunque a profusione sull’olio e sull’olivo. E così i riti che, al di là della facciata, accomunano popoli assai diversi per lingua e religione, storia e concezione della vita: popoli che all’albero benedetto attribuiscono una grandissima ricchezza simbolica, facendone di volta in volta emblema di pace, fecondità, giustizia, sapienza, forza, purificazione… Se nell’Iliade, Achille, fa ungere di olio il cadavere di Ettore, prima di restituirlo a Priamo, nel sacramento dell’estrema unzione il sacerdote somministra olio santo a chi sta per congedarsi dal mondo.
Commentando i riti funebri cristiani, lo pseudo Dionigi ricorda che «dopo il saluto, il sacerdote spande olio sul defunto». Aggiunge che «nel sacramento di rigenerazione prima del battesimo, quando l’iniziato si è totalmente spogliato delle vecchie vesti, la prima partecipazione alle cose sacre consiste nell’unzione di olio benedetto. E al termine della vita è ancora l’olio santo che si sparge sul defunto. Per l’unzione del battesimo si chiama l’iniziato all’agone dei combattimenti sacri; l’olio versato sul defunto significa che egli ha compiuto la sua carriera e messo fine alle sue lotte gloriose». È opinione diffusa che l’unzione con l’olio d’oliva faccia risaltare muscoli: ne facevano largo uso gli atleti ellenici e continuano a farne, ovunque nel mondo, quelli dei nostri giorni. Nell’Africa del Nord, ma anche in altre regioni mediterranee, da sempre i contadini usano oliare il vomere prima di affondarlo nel suolo, forse in onore all’Invisibile e alla stessa Madre Terra, i cui frutti nutrono il genere umano e ne assicurano la sopravvivenza.

All’olio e all’olivo si attribuiscono poteri straordinari persino in Estremo Oriente.
I Cinesi, per esempio, credono che il legno d’olivo neutralizzi l’effetto letale di taluni veleni. Nel Mediterraneo l’olio ha addirittura assolto per millenni alla funzione di corsia privilegiata per il Paradiso.
Basti pensare a quanto se n’è consumato per illuminare templi, chiese, sinagoghe e moschee.
Un versetto coranico recita: «Il Dio! Egli è luce in cielo e in terra, e la sua luce è come quella di una nicchia: la lampada si trova serrata in cristallo come astro di splendore, rimane accesa grazie all’olio, pianta benedetta, questa pianta è l’ulivo. L’olio farebbe risplendere la luce anche se ne non la toccasse il fuoco, mai».
La lucerna ad olio è forse l’unico manufatto di uso domestico che si costruisce ininterrottamente dalla preistoria ai nostri giorni: viene ancora usata come lampada votiva. È, insomma, l’emblema dell’homo sapiens perché ha consentito ai nostri antichi progenitori di vincere il terrore delle tenebre. Anche per questo l’olio è ritenuto sacro, ma soprattutto perché l’inizio della sua coltivazione coincide con la nascita dei villaggi contadini e la conversione alla vita sedentaria delle prime comunità nomadi.

Prof. Giuseppe Oddo





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