Liceo quadriennale. Servirebbe ripensare tutto il percorso dell'istruzione
Data: Martedì, 07 ottobre 2014 ore 07:00:00 CEST Argomento: Redazione
Già nove
scuole sperimentano il Liceo quadriennale. A parte qualche ricorso al
TAR per ragioni burocartiche, non credo che si sia acceso un grande
dibattito sull'argomento. In verità mi ha piacevolmente colpito qualche
giorno fa la risposta di Giorgio Rembado (l'ottimo presidente dei
presidi) ad una intervistatrice: la vera riforma della scuola dovrebbe
cominciare dalla istituzione di un biennio unico al superiore (questa
la sostanza se non la lettera). Cosa ha a che vedere il biennio unico
con il liceo quadriennale?
Tanti anni or sono, quando il dibattito sulla riforma della scuola era
vivo e sentito, si parlava molto di biennio unico e accorciamento del
curricolo scolastico. Il confronto con l'Europa era allora costante.
Ora siamo l'Europa e una certa uniformità di indirizzo educativo
sarebbe opportuno o meglio necessario. Allora si pensava che la scuola
di base poteva bene occupare sette anni (come vari paesi europei), che
un biennio unico dopo di essa avrebbe garantito una maggiore mobilità
sociale coniugando cultura di base per tutti con un avvio di
professionalizzazione da completare successivamente in scuole aziendali
o università (collegando ciò con l'obbligo scolastico e la gratuità dei
percorsi si sarebbe così garantita una certa equità sociale), nonché si
sarebbe dato più tempo e consapevolezza per la scelta del triennio di
specializzazione all'interno del percorso scolastico obbligatorio.
Qualche legislatore con qualche esperienza di scuola (forse
Berlinguer?) si era avvicinato a tale visione, ma la precarietà dei
governi e la poca attenzione della politica ai veri problemi della
scuola (sarà peggio quando ci si diplomasse ai diciotto anni? Forse
bisognerebbe anticipare il voto ai sedici di anni) hanno impedito che
progetti e dibattiti sul tema sortissero un qualche effetto. Delle
sperimentazioni ministeriali tra gli anni settanta e ottanta dell'altro
secolo (vedi il caso, se qualche traccia ne è rimasta negli annali
dell'istruzione, del BUS-TCS di Reggio nell'Emilia) hanno realizzato
dei modelli validi che, come nell'aprile dell'86 ha convenuto con
me a Bologna la forse a torto maltratta compianta Falcucci, potevano
considerarsi l'avanguardia della futura scuola, pur continuando a
sperimentare modelli ancora più efficienti.
Ma la precarietà dei governi e la disattenzione di cui sopra hanno
seppellito tutto ciò per lasciare spazio all'inventiva recente di
signore ministre che pur servendosi di funzionari che avevano anche
vissuto quelle esperienze (vedi la M.G. Nardiello) si sono immaginate
soluzioni complesse per i problemi della scuola italiana, afflitta da
ignoranza, mancanza di soldi, continua variazione di progetti politici
senza ascoltare nessuno degli addetti ai lavori che, nel tempo, hanno
inviato al "Superiore Ministero" una infinita serie di relazioni spero
complessive sui problemi della scuola e sulle possibilli soluzioni
redatte a conclusione degli esami di maturità o si stato che siano.
Forse oggi, quando sembra appurato che ogni vera trasformazione sociale
(alias riforma) parte dalla scuola, sarebbe il caso di verificare la
validità di quell'idea. Che cioé servirebbe ripensare tutto il percorso
dell'istruzione, partendo da
una scuola materna diffusa e
obbligatoria, proseguire con una formazione di base settennale
(lettura, scrittura, lingue, calcolo e conoscenze scientifiche e
ambientali nonché storiche e geografiche su basi locali con ampio uso
della rete) che non trascuri l'esercizio del corpo e della mente con
arte musica e ginnastica da vivere in ambienti appropriati suggeriti da
un tempo sufficientemente lungo, concludere quindi il tutto con un
biennio formativo intermedio a carattere orientativo e contenuti
culturali europei, con l'aggiunta di moderato esercizio manuale,
seguito dal triennio specialistico che fornisca di contenuti idonei
l'orientamento scelto di tipo scientifico, tecnico, giurido-economico,
artistico in senso lato, umanistico-filologico-linguistico e così via.
Il tutto si capisce in un contesto il più possibile europeo tramite la
rete ed eventuali scambi culturali. Quando si arrivasse a chiarire
tutto ciò e la progressiva attuazione di un reale obbligo formativo
completo, si potrebbero fare i conti con la dotazioni economiche
possibili, tenendo conto di quelle priorità conclamate. La rifondazione
del mondo accademico e dei rapporti della formazione con il mondo
produttivo sarebbero una conseguenza spontanea e necessaria quanto
semplice di una scuola che forma consapevolmente tutti i giovani con
pari dignità ed un certo entusiasmo istillato da una classe docente
motivata e protagonista.
Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it
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