Parole, parole, parole ...
Data: Domenica, 07 settembre 2014 ore 08:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Nel linguaggio si incontrano il pensiero e le "cose", ma l'opera di mediazione puo' non andare a buon fine e così le "cose" non vengono rappresentate, nè il pensiero viene espresso come si deve. L'autonomia del linguaggio dall'uno e dalle altre puo' finire nel chiacchiericcio invasivo e petulante di cui siamo prigionieri e nel non-sense. Non c'è motivo per dare al linguaggio una qualsiasi forma di supremazia, perchè si finirebbe per legittimare le sue pretese. Nel parlare si dovrebbe leggere il movimento del pensiero nel suo articolarsi con le" cose" e con i fatti.
Ci si intende solo se le parole corrispondono alle situazioni delle" cose": è questo il postulato della buona comunicazione. Diverso è il caso in cui si vuole per forza fare intendere qualcosa a qualcuno e allora non ha senso parlare di vero e di falso. Le parole possono avere un senso e nemmeno un briciolo di verità. Vi è un problema d'uso e un problema di designazione: il primo può travolgere le resistenze legittime di quest'ultima.

Le riflessioni sul linguaggio ci portano lontano dall'uso che per fortuna facciamo nella vita di tutti i giorni. Il linguaggio che conta è quello che va in giro in borghese e non quello in divisa militare ,corazzato di formule algebriche. "Il modo di comportarsi comune agli uomini è il sistema di riferimento mediante il quale interpretiamo una lingua che ci è sconosciuta"(L.Wittgenstein).

La logica è una camicia di forza che si vuole fare indossare alla realtà e al pensiero: funziona solo come giuoco o come regola di probità linguistica e intellettuale. Il mito del linguaggio perfetto si scontra con la molteplicità dei significati connessi alle parole e ai loro legami e con l'eccedenza e con il primato del pensiero sulle parole. Al linguaggio bisogna applicare l'interpretazione, non il calcolo. L'esperienza dell'uso delle parole fa scoprire i molti sensi che possono avere.

Le regole che si sono date al linguaggio per esprimere correttamente pensiero e realtà sono state trasformate con un vero e proprio abuso in regole del pensiero e della realtà. Ai filosofi, che ci hanno provato e si sono appassionati alla costruzione dell'algebra del linguaggio, forse saranno sfuggite le vicende umane che hanno originato le gioie e le sofferenze degli uomini, in mezzo ai quali vivono. Il linguaggio insegue l'esperienza e a volte fallisce nella sua missione.
Il linguaggio ,che rende possibile qualsiasi tipo di convivenza ,non ha bisogno delle regole della logica;nelle "cose "e nei fatti trova il suo principio di realtà e la sua indiscutibile efficacia. Parlare un linguaggio fa parte di un'attività.

L'efficacia del linguaggio non dipende dal suo grado di verità. Magari fosse così!Il fanatismo, che porta sventure, scaturisce dalle parole giuste che eccitano i meccanismi di aggressività e di violenza, che mobilitano il dinamismo dell'avversione e della paura verso ogni forma di diversità, che liberano l'istinto di morte che si nasconde nel sottofondo della coscienza. Queste parole non hanno l'umiltà e la circospezione che devono avere le parole di verità.
Non è possibile legare le mani alla filoosofia con i vincoli del linguaggio, perchè nasce e vive della libertà del pensare, precedente e oltrepassante lo spazio linguistico per quanto ampio possa essere. La proprietà riflessiva è del pensiero e non del linguaggio. Il linguaggio non può curare se stesso. Possono esserci limiti per il linguaggio e non per il pensiero.
Siamo dentro il linguaggio che gli altri ci hanno dato e solo a poco a poco si riesce a personalizzarlo, a farne uno nostro se così si puo' dire o anche a possederne più di uno, ma che ad altri appartiene.Bisogna entrare nelle abitudini, negli usi e scoprire le regole del giuoco. Il linguaggio può essere personale,ma non privato. Per definizione è un'istituzione sociale, una realtà sociale.
"Il linguaggio è un labirinto di strade. Vieni da una parte e ti sai orientare;giungi allo stesso punto da un'altra parte e non ti raccapezzi più"(L. Wittgenstein).

Prof. Raimondo Giunta





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