Il Pil cresce con una nuova scuola
Data: Mercoledì, 13 agosto 2014 ore 06:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Nelle stesse ore in cui il presidente di Confindustria osservava che il tempo per le riforme si sta restringendo, il ministro dell'Economia sottolineava come esse siano cruciali per la crescita nel medio periodo anche se quantificarne l'impatto è complesso. Questo è un punto fondamentale: se non riusciamo a rappresentare gli effetti delle riforme, queste diventano meno desiderabili, col risultato di rafforzare lo status quo. Occorre esercitarsi per misurare gli impatti prevedibili delle riforme di cui si sostiene che il Paese abbia bisogno. È quel che abbiamo fatto, con Giovanna Vallanti presso il Luiss Lab, nell'8° Rapporto Classe dirigente.
Il tema affrontato è quello delle direzioni verso cui la scuola secondaria superiore dovrebbe orientarsi per migliorare le competenze dei giovani, e per quella via contribuire al progresso economico. L'esercizio non entra nei dettagli dei congegni amministrativi o di legge necessari per raggiungere gli obiettivi ovvero il cosiddetto mechanism design, ma compie un esercizio di tipo controfattuale. Si chiede su quale diversa traiettoria economica il nostro Paese si potrebbe collocare allineando il sistema educativo italiano alle best practice in Europa.
L'idea di base è quella di adottare in pieno due principi di fondo: quello di una autonomia (non burocratica) degli istituti formativi secondari; quello della trasparenza dei risultati dell'apprendimento associata alla responsabilità dei dirigenti che discende dalla valutazione dei risultati stessi (in un termine oggi consueto, accountability). Senza più responsabilità e trasparenza, l'autonomia resta termine vuoto e destinato a essere soppiantato dall'esigenza di maggior controllo anche centralistico di prestazioni e risultati.
Quel che ci proponiamo è di associare le due facce della medaglia, simulando gli effetti di una maggior autonomia scolastica ma responsabile delle proprie scelte, procedure e risultati. Il rischio è che il pendolo delle riforme in Italia torni verso il centralismo che nella scuola non è l'opzione migliore: nel buttar via "l'acqua sporca" del cattivo decentramento si rischia di far fuori anche "il bambino" dell'autonomia, che va valorizzata ma associandola in modo cogente con l'accountability.
Sistemi scolastici che funzionano meglio favoriscono, a parità di impegno di risorse, maggiore accumulazione di capitale umano (che misuriamo coi test Pisa dell'Ocse). Come evidenziato dalla letteratura sulla crescita, il capitale umano incide positivamente sulla prosperità economica dei Paesi. Un esercizio simile è stato realizzato per il convegno biennale del Centro Studi Confindustria.
Le nostre simulazioni appaiono diverse per vari motivi. Primo, simuliamo l'effetto sul tasso di crescita del Pil pro capite di alcune specifiche riforme del sistema di istruzione secondaria. I test Pisa coinvolgono studenti attorno ai 15 anni che stanno concludendo il ciclo di studi dell'obbligo, dunque i test vanno a cogliere le competenze accumulate dagli studenti fino a quel momento (scuola primaria + scuola secondaria inferiore + i primi 2 anni della scuola secondari superiore). Secondo, col nostro benchmark l'effetto delle riforme sposterebbe l'Italia dal 25 al 95 percentile della distribuzione del livello qualitativo dell'istruzione secondaria (al livello della Germania, per intenderci). Terzo, l'orizzonte temporale delle riforme è diverso: il nostro contributo quantifica il beneficio a regime dopo 20 anni dall'implementazione completa delle riforme, e in termini di Pil accumulato dal momento in cui le riforme cominciano ad essere implementate a 20 anni dopo la piena attuazione delle stesse.
L'analisi condotta mostra come i benefici connessi a riforme che adottino quei principi di fondo siano assai significativi (si veda la tabella). Una volta entrate pienamente a regime le riforme della scuola secondaria produrrebbero un miglior apprendimento, con la conseguenza che il Pil pro capite italiano crescerebbe ad un ritmo maggiore di 0,4-0,5 punti percentuali annui rispetto allo status quo. Questo avrebbe un effetto sul reddito pro-capite tra i 1.500 ed i 2.500 euro nelle nostre simulazioni, una volta che le riforme siano "a regime" dopo un periodo di transizione e con tutte le generazioni di lavoratori attivi che abbiano beneficiato della migliore qualità dell'istruzione. In termini di Pil cumulato, questi benefici cumulati nel tempo sarebbero dell'ordine di 2/3 volte il nostro prodotto nazionale. Inoltre, le riforme della scuola auspicate potrebbero dare a lungo termine un contributo alla riduzione della disoccupazione giovanile in Italia dell'ordine circa 4-5 punti percentuali.
Naturalmente, le riforme avrebbero un costo che tuttavia appare sostenibile rispetto ai benefici attesi. Per dare un ordine di grandezza, abbiamo guardato alla recente esperienza della Germania, che ha riformato il proprio sistema scolastico in maniera tale da associare all'autonomia più trasparenza e più accountability. Considerando l'andamento della spesa per l'istruzione primaria e secondaria in Germania nei primi anni del 2000, ovvero negli anni delle riforme, il costo di implementare le riforme del sistema scolastico italiano auspicate nel presente rapporto può essere stimato nell'ordine dei 2-3 miliardi di euro, ovvero lo 0,1-0,2% del Pil italiano. In particolare, nel 2003 e 2004 nel sistema scolastico tedesco sono stati sviluppati - pur nel rispetto dell'autonomia - standard qualitativi nazionali per la scuola primaria (per la matematica e il tedesco) e per la scuola secondaria (per il tedesco, la matematica, la lingua straniera e le scienze). L'esistenza di standard comuni e periodicamente valutati consente di confrontare la performance delle scuole nei Laender tedeschi su basi omogenee e in maniera coerente. Tali standard sono obbligatori per tutti i 16 Laender: autonomia alle scuole nel realizzarli, dunque, ma trasparenza e responsabilità dei dirigenti rispetto ai risultati.

Stefano Manzocchi
Ilsole24ore.com





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