La scuola non va in vacanza e dice No alla controriforma del governo Renzi
Data: Domenica, 20 luglio 2014 ore 08:30:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


A Roma il 14 luglio alle ore 15.30 davanti al Miur in Viale Trastevere manifestazione nazionale per contrastare l’ennesimo disegno di smantellamento della scuola statale. Perché una scuola migliore non si fa con proclami populisti di nuovismo. La scuola migliore si crea finanziandola, non impoverendola, denigrando cultura e formazione col taglio del corso di studi e trasformando i prof. in burocrati-ossequiosi. Come già Berlusconi voleva e come adesso il “governo amico” vorrebbe realizzare. Ne parliamo con Stefano D’Errico, segretario nazionale degli Unicobas, che questa manifestazione - assemblea del 14 luglio ha promosso e fortemente voluto con un lavoro di coinvolgimento di associazionismo e sindacati.

Di soppiatto, nella speranza forse che la scuola fosse in vacanza, arriva la controriforma del governo Renzi che al di là della demagogia parolaia sembra muoversi in perfetta continuità col disegno già berlusconiano di definitivo smantellamento della scuola statale. Sì la scuola della Repubblica, che è organo costituzionale. L’unica scuola libera perché educa al pensiero critico perché non ha padroni, né scopo di lucro.
La scuola statale, che dovrebbe essere massima cura dei ministri dell’Istruzione, ma che al contrario è oggetto di attenzioni sistematiche pluriennali per anemizzarla a vantaggio delle private, dove il personale tutto – è bene ricordarlo – per contratto deve obbedire alla professione di fede dell’ente gestore.
Questa volta il colpo mortale passa per la massima “impiegatizzzazione” dei docenti piegati alle logiche del quiz e trasformati in intrattenitori di pargoli in scuole che dovrebbero essere aperte da mane a sera, mentre in parallelo si profila la riduzione del corso di studi delle superiori. E proprio da questa questione partiamo per la nostra intervista a Stefano D’Errico.

Il governo dice di voler porre l’Istruzione in primo piano, ma poi vuole contrarre il corso di studio alle superiori…

Il governo, proponendo la riduzione dei Licei a quattro anni, dichiara che sarebbe cosa necessaria in chiave europea e per i cittadini, ma è solo demagogia. La linea del ministro Giannini e del sottosegretario Reggi è nota. Scuole Superiori minimaliste a quattro anni e relativo taglio di almeno ventimila cattedre con altrettanti esuberi redistribuiti come capita, grazie alla revisione delle classi di concorso già operata (allegramente?) dalla Gelmini.
Tutto ciò va a detrimento della qualità della scuola. La spending rewiew, facendo leva sul decreto legislativo 29/1993, impone infatti la riconversione professionale d'ufficio, che porta a procedure inaccettabili, che, solo per fare qualche esempio concreto, hanno visto traslare i docenti di laboratorio di ceramica degli istituti tecnici e professionali su cattedre di scienze della terra, oppure quelli di Educazione Tecnica delle medie sulle cattedre di sostegno – con buona pace delle sbandierate politiche sull'integrazione dei diversamente abili.
Come se i docenti fossero dei travet, da spostare di cattedra in cattedra. Come se il loro particolare e delicato lavoro fosse quello di smistamento di una nuova pratica burocratica.
Sull'altare della riduzione della spesa, si gioca a dadi con le carriere dei docenti, attraverso un sostanziale spreco delle professionalità acquisite e una mobilità di cattedra che non tiene conto né della formazione culturale, né delle competenze maturate. Ma è la dignità della scuola nel suo complesso a venire pesantemente colpita.

Ma la riduzione delle superiori a 4 anni è per essere in linea con l’Europa…

Il modello europeo non c'entra nulla, tanto che la Germania vuole addirittura allungare i propri licei (come, peraltro, ha proposto anche Obama per gli Usa). C'entra molto invece il “modello Gelmini”, col quale il centro-destra è riuscito ad inaugurare un Liceo Scientifico senza il latino, facendo sobbalzare nella tomba persino Gentile (ed infatti la Aprea e la Centemero, di Forza Italia, si sono complimentate con Reggi e la Giannini). Si tratta di un pensiero contiguo e univoco, che intende liberarsi del pensiero critico, e mettere docenti e studenti “a servizio”, perché la Scuola introietti solo competenze meramente esecutive e non sviluppi la libertà di apprendimento.

Cosa viene contestato all’attuale governo?
In primis l’aumento obbligatorio dell’orario di cattedra per tutti senza retribuzione aggiuntiva, a spese di quelle che vengono definite “ferie sottese” (l’equivalente di almeno 22 giorni l’anno di lavoro in più), senza tener conto che la funzione docente è particolare perché si incardina su una attività professionale estremamente concentrata e assorbente energie intellettuali e psichiche.

Vuole dire che un bravo insegnante non stacca mai la spina?
Proprio così! insegnare è faticoso, ma è un “mestiere” unico e straordinario. E Lorsignori parlano di aumento di orario di cattedra a cuor leggero. Usando anche come imbonitore l’argomento di un aumento facoltativo dell’orario. Ma – si noti il sottile ricatto – chi non lo accettasse rimarrebbe a stipendio base (a parità di orario, il più basso della Ue). Per non parlare della riduzione di cattedre che si triplicherebbe. È questa l’apertura ai giovani che hanno scelto di insegnare?

Ci parli ancora della peculiarità della funzione docente e del tentativo di ingabbiarla che si starebbe profilando.
Si sta realizzando la definitiva operazione di “impiegatizzazione”: valutazioni di docenti e collaboratori (ata) con differenziazioni stipendiali operate dai dirigenti (contratto “flessibile”), anche attraverso il sistema dei vergognosi (e contestatissimi) test Invalsi. E bisogna sottolineare che in questa direzione va anche la cancellazione delle graduatorie di Istituto e la scomparsa (fisica) dei precari: supplenze e sostituzioni sarebbero a carico dei docenti stabili.
L'operazione posta in atto è subdola, perché consiste nel far passare, magari per gradi, quella che si configura come una vera controriforma. Ci troviamo di fronte a una sorta di gioco delle tre carte per scompaginare il tavolo e colpire all'improvviso e, quando non riesce la “sorpresa”, giocare di rimessa per comporre, alla fine, il mosaico di una scuola privatizzata.

Eppure Renzi continua a ripetere di voler cambiare la scuola premiando il merito.
Altro che “merito”! Qui è in atto un piano volto apertamente a fare della scuola pubblica la copia di quei diplomifici privati che, come il Ministro ben sa – da quando ha ricevuto le dettagliate denunce contenute nel dossier del prof. Paolo Latella – non controllano profitto e frequenza degli alunni e non pagano ai docenti neppure i contributi. Uno spregiudicato sistema di scambio che consente la possibilità di accumulare i punti nelle graduatorie superando così i precari della scuola statale. Sono anche questi i bei risultati della legge sulla parità voluta da Luigi Berlinguer. Lasciata passare, nonostante le reiterate e massicce contestazioni perché veniva da “sinistra” (sic!). Tornando allo scandalo emerso con le coraggiose inchieste Latella. Il ministro Giannini, nonostante lo scalpore dei media e le interrogazioni parlamentari, non solo non controlla né interviene, ma continua a indicare le scuole private come modelli da seguire, essendosi già pronunciata apertamente persino per l’assunzione diretta e discrezionale di docenti ed ata e per l’abolizione degli organi collegiali, baluardo di democrazia, ma anche su come rivedere la libertà d’insegnamento.

Il sottosegretario Reggi in questi giorni ha però sembra aver rivisto alcune posizioni del governo...
Il gioco delle parti e la ridda di dichiarazioni e smentite di questi giorni ci rafforzano nell’idea che si sta preparando un vero e proprio blitz legislativo “balneare” a danno della scuola pubblica e della funzione docente.
Con chi crede di parlare il sottosegretario renziano Reggi? Da un lato si scusa per aver usato «parole mal meditate», poi afferma di «non aver mai sostenuto di voler aumentare l’orario dei docenti», dimenticando che aveva dichiarato di voler arrivare addirittura a 36 ore.
Sindromi di amnesia o - trattandosi della Scuola, quindi del futuro del Paese - un’insostenibile (ed imperdonabile) “leggerezza dell'essere”? Le sue sono ritrattazioni da Pinocchio, o se si preferisce piroette e scuse postume in stile “nipote di Mubarak”.
Ma al di là dell’opportunismo di maniera, resta inquietante la riconferma da parte del Ministero di Trastevere del progetto di riduzionismo impiegatizio che vuole realizzare. Dopo aver cercato di gettare acqua sul fuoco per placare la giusta ira dei docenti italiani, Reggi ha beatamente confermato che le supplenze le dovrà fare il personale di ruolo. E questo non implica un aumento d’orario per i docenti stabilizzati? Come si possono fare le supplenze senza alzare l’orario di cattedra?

14 luglio, manifestazione nazionale a Viale Trastevere alle 15.30. La data coincide con la presa della Bastiglia, ed è a ridosso della discussione del 15 mattina a Montecitorio della riforma sulla scuola del governo...

Il Ministro dell’Istruzione presenterà martedì 15 Luglio la sua disastrosa proposta sulla scuola. Occorreva dire un NO immediato al progetto Reggi-Giannini. Perciò abbiamo promosso questa assemblea nazionale della scuola, a Roma, davanti al Ministero di Viale Trastevere, per Lunedì 14 Luglio pomeriggio. Una riunione nazionale della scuola militante, dei coordinamenti di base, aperta a tutte le sigle sindacali, per fermare il disastro annunciato dal ministro Giannini e costruire a breve, tutti insieme, un grande corteo nazionale di tutta la scuola pubblica italiana che “rottami” senza appello le enesime scriteriate politiche sulla scuola. Ci sono arrivate tante adesioni. Tra le prime segnaliamo quelle di Usi Scuola, USB Scuola, Cip, ANIEF, CUB, l’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” … Tantissime le adesioni individuali: cittadini che ci ringraziano e che dimostrano la capacità di sapersi mobilitare sempre quando è in gioco la scuola di tutti, ovvero il futuro del Paese e della stessa Democrazia. Noi speriamo davvero che l’evento serva anche a ritrovare, nella chiarezza, l’unità sindacale e a spazzare via le ambiguità e le incertezze. Mi riferisco alle dichiarazioni del segretario Nazionale della FLC-CGIL, Pantaleo, che pur rilevando da parte del Ministero di Viale Trastevere un “clima di gerarchia e diffidenza”, ha dichiarato: «noi siamo disponibili a discutere dell’orario, purché però lo si faccia intorno al tavolo del contratto». Eppure, dovrebbe essere del tutto evidente che proprio attraverso l’aumento dell’orario passa la “soluzione finale”: con l’impiegatizzazione standard si anemizza la professionalità docente, ingessandola e sfinendola.

Lei insiste sulle scriteriate politiche di “impiegatizzazione”. Ma non sono certo uscite dal cilindro di Renzi e tutte adesso?
Ci vorrebbe un trattato per riepilogare anni e anni di infauste politiche. Provo a sintetizzare limitandomi ad alcuni atti giuridici che sono stati determinanti a svilire la professione docente.
Con il DLvo 29/93 il governo Amato, col placet di CGIL, CISL, UIL, privatizzava il rapporto di lavoro della Scuola (ma non dell'Università, dei magistrati, dell'esercito, della sicurezza). Questo è stato il primo passo essenziale dell'impiegatizzazione del corpo docente. Da allora non esiste più il ruolo, bensì l'incarico a tempo indeterminato (tipico un tempo del supplente annuale), o a tempo determinato (per i precari), che sarebbe come dir loro “'lasciate ogni speranza o voi che non siete entrati”. Il ruolo era soprattutto uno scudo a garanzia dell'autonomia della funzione docente e del rispetto del dettato costituzionale sulla libertà di insegnamento, tipico del lavoratore “non subordinato” e professionale (valutabile, in caso di controversie, solo da chi ha le competenze per farlo, e per questo erano previsti i consigli di disciplina elettivi dai Decreti Delegati ed aboliti nel 2008 da Brunetta). L'eliminazione del ruolo procedeva – si noti bene –, con la contestuale trasformazione del preside in “datore di lavoro”. Già nel 1993 si prefigurava la figura del Dirigente, attribuendogli un ruolo aziendalista che confligge con la comunità educante e con l'ambito collegiale e democratico di autogoverno della scuola.
La figura del Dirigente scolastico è stata introdotta con la cosiddetta 'autonomia' nel 2000, perché divenisse l'arbitro di ogni controversia disciplinare, insieme all'Ufficio Scolastico Provinciale. Per fortuna tanti Dirigenti continuano a comportarsi da Presidi e sono i più amati e stimati dagli studenti, dai genitori, dai docenti e dal personale della scuola. Dove questo avviene si respira serenità e collaborazione in un reciproco rapporto di stima e fiducia. Ma quello che si vuole è il Dirigente Capo che può decidere “inaudita altera parte”, come prevedeva la berlusconiana Aprea con il suo infausto ddl (mai decollato per le massicce mobilitazione della società che lo hanno avversato). E come ripropongono oggi anche Ichino e Giannini, che sognano per il Dirigente Capo il ruolo di arbitro delle assunzioni: scuola per scuola, nonché di valutatore delle “performance di qualità”.
Si capisce quindi come e perché gli organi collegiali siano scomodi. In particolare il Collegio Docenti (lo si vorrebbe solo consultivo) e Consiglio di Istituto (da trasformare in Consiglio di amministrazione di scuole privatizzate, ovvero scuole-fondazioni).
Del resto, in forza della così detta “autonomia” i Consigli Scolastici Provinciali non esistono più dal 2000 e gli insegnanti non eleggono più il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione dal 1997. Se avessero tolto organismi di tale importanza a qualsiasi altra categoria professionale ci sarebbe stata un'insurrezione, mentre noi abbiamo avuto persino un ministro che intendeva valutarci a quiz, come poi imposto agli studenti con il dozzinale metodo Invalsi.

Lo svilimento professionale passa però anche per i bassi stipendi dei docenti?
Certo qualche parola va detta anche sulla perdita crescente del valore stipendiale. Mi limito agli scatti di anzianità. Il Dlvo 29/93 li ha cancellati. La strategia nella scuola è stata sempre quella del “percorso a tempo”. Si conta sul fatto che i docenti sono impegnati a studiare, insegnare, e spesso sono distratti sulle questioni economiche.
C’era un tempo in cui gli scatti erano biennali, poi sono stati trasformati in 6 “gradoni”: il primo di 3 anni, i successivi tre di 6 anni e gli ultimi due di 7, fino al recente “congelamento” che è l'anticamera della loro completa eliminazione. Anche senza alcun rinnovo contrattuale, se ci fossero gli scatti d’anzianità si avrebbe una retribuzione molto più alta. Per toglierceli s'è detto che con questi aumenti automatici (conservati tuttavia da docenti universitari, magistrati e militari di carriera) «sarebbero andati avanti tutti, anche i cialtroni». Però persino la Svizzera, paese meritocratico e liberista per eccellenza, ove non sono previsti automatismi d'anzianità per nessuno, gli scatti ci sono solo e soltanto per gli insegnanti. E sono annuali.

Il sindacato cosa propone per uscire dal mercatismo impiegatizio che ci ha illustrato?
In tutto il mondo si sa che ad insegnare s'impara soprattutto insegnando.
Per queste ragioni l'Unicobas vuole un contratto specifico per la scuola fuori dall'area del pubblico impiego, che tenga conto della libertà d'insegnamento e delle responsabilità che gravano su chi ha che fare con minori. Per tutta la scuola, docenti ed ata, dal momento che anche un collaboratore scolastico ha competenze di vigilanza che un usciere del ministero non ha, gli aiutanti tecnici svolgono un ruolo di coadiuzione educativa e gli amministrativi firmano bilanci di milioni che ovunque (anche nel sistema privato) darebbero luogo a retribuzioni ben più alte.
Con il Dl.vo 29/1993 vige la regola che gli aumenti non possano superare l'inflazione programmata dalla parte datoriale (Ministro dell'economia). Per questo, col passaggio dalla lira all'euro, avemmo un rinnovo del 2% a fronte del dato Istat al 6% e di un aumento dei prezzi al consumo pari al 50%. Per questo, dal 1995 abbiamo contratti sempre sotto l'inflazione dichiarata (dato Istat) e reale (incremento vero del costo della vita) e non potremo mai neppure avvicinarci alla media retributiva europea, ove siamo (tenendo presente anche la diversità dei costi standard) all'ultimo posto, persino sotto a Grecia e Portogallo.

Insomma uscire dal pubblico impiego è una necessità per ridare dignità agli insegnanti...
O si esce dal pubblico impiego e dal campo del DL.vo 29/1993, come l'Unicobas vuole da anni, o risulta persino ridicolo parlare di stipendi (...europei).
Occorre anche l'istituzione di un Consiglio Superiore della Docenza (con diramazioni provinciali), adibito a garantire, così come per la Magistratura, l'autonomia e la terzietà della Scuola pubblica. Senza tutto ciò la privatizzazione della scuola e la sua subordinazione ad interessi economici e politici di parte è sicura.

Maria Mantello
temi.repubblica.it
13 luglio 2014






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