La scuola non va in vacanza e dice No alla controriforma del governo Renzi. Intervista a Stefano D’Errico
Data: Martedì, 15 luglio 2014 ore 08:00:00 CEST Argomento: Sindacati
A Roma il 14
luglio manifestazione nazionale per contrastare l’ennesimo disegno di
smantellamento della scuola statale. Perché una scuola migliore si crea
finanziandola, non impoverendola, denigrando cultura e formazione col
taglio del corso di studi e trasformando i professori in
burocrati-ossequiosi. Come già Berlusconi voleva e come adesso Renzi
vorrebbe realizzare. Ne parliamo con Stefano D’Errico, segretario
nazionale Unicobas, promotore della mobilitazione.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scuola-non-va-in-vacanza-e-dice-no-alla-controriforma-del-governo-renzi/
Maria Mantello
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Di soppiatto, nella speranza forse che la scuola fosse in vacanza,
arriva la controriforma del governo Renzi che al di là della demagogia
parolaia sembra muoversi in perfetta continuità col disegno già
berlusconiano di definitivo smantellamento della scuola statale. Sì la
scuola della Repubblica, che è organo costituzionale. L’unica scuola
libera perché educa al pensiero critico perché non ha padroni, né scopo
di lucro.
La scuola statale, che dovrebbe essere massima cura dei ministri
dell’Istruzione, ma che al contrario è oggetto di attenzioni
sistematiche pluriennali per anemizzarla a vantaggio delle private,
dove il personale tutto – è bene ricordarlo – per contratto deve
obbedire alla professione di fede dell’ente gestore.
Questa volta il colpo mortale passa per la massima “impiegatizzzazione”
dei docenti piegati alle logiche del quiz e trasformati in
intrattenitori di pargoli in scuole che dovrebbero essere aperte da
mane a sera, mentre in parallelo si profila la riduzione del corso di
studi delle superiori. E proprio da questa questione partiamo per la
nostra intervista a Stefano D’Errico.
Il governo dice di voler porre
l’Istruzione in primo piano, ma poi vuole contrarre il corso di studio
alle superiori…
Il governo, proponendo la riduzione dei Licei a quattro anni, dichiara
che sarebbe cosa necessaria in chiave europea e per i cittadini, ma è
solo demagogia. La linea del ministro Giannini e del sottosegretario
Reggi è nota. Scuole Superiori minimaliste a quattro anni e relativo
taglio di almeno ventimila cattedre con altrettanti esuberi
redistribuiti come capita, grazie alla revisione delle classi di
concorso già operata (allegramente?) dalla Gelmini.
Tutto ciò va a detrimento della qualità della scuola.
La spending rewiew, facendo leva sul decreto legislativo 29/1993,
impone infatti la riconversione professionale d'ufficio, che porta a
procedure inaccettabili, che, solo per fare qualche esempio concreto,
hanno visto traslare i docenti di laboratorio di ceramica degli
istituti tecnici e professionali su cattedre di scienze della terra,
oppure quelli di Educazione Tecnica delle medie sulle cattedre di
sostegno – con buona pace delle sbandierate politiche sull'integrazione
dei diversamente abili.
Come se i docenti fossero dei travet, da spostare di cattedra in
cattedra. Come se il loro particolare e delicato lavoro fosse quello di
smistamento di una nuova pratica burocratica.
Sull'altare della riduzione della spesa, si gioca a dadi con le
carriere dei docenti, attraverso un sostanziale spreco delle
professionalità acquisite e una mobilità di cattedra che non tiene
conto né della formazione culturale, né delle competenze maturate. Ma è
la dignità della scuola nel suo complesso a venire pesantemente colpita.
Ma la riduzione delle superiori a 4
anni è per essere in linea con l’Europa…
Il modello europeo non c'entra nulla, tanto che la Germania vuole
addirittura allungare i propri licei (come, peraltro, ha proposto anche
Obama per gli Usa). C'entra molto invece il “modello Gelmini”, col
quale il centro-destra è riuscito ad inaugurare un Liceo Scientifico
senza il latino, facendo sobbalzare nella tomba persino Gentile (ed
infatti la Aprea e la Centemero, di Forza Italia, si sono complimentate
con Reggi e la Giannini). Si tratta di un pensiero contiguo e univoco,
che intende liberarsi del pensiero critico, e mettere docenti e
studenti “a servizio”, perché la Scuola introietti solo competenze
meramente esecutive e non sviluppi la libertà di apprendimento.
Cosa viene contestato all’attuale
governo?
In primis l’aumento obbligatorio dell’orario di cattedra per tutti
senza retribuzione aggiuntiva, a spese di quelle che vengono definite
“ferie sottese” (l’equivalente di almeno 22 giorni l’anno di lavoro in
più), senza tener conto che la funzione docente è particolare perché si
incardina su una attività professionale estremamente concentrata e
assorbente energie intellettuali e psichiche.
Vuole dire che un bravo insegnante non
stacca mai la spina?
Proprio così! insegnare è faticoso, ma è un “mestiere” unico e
straordinario. E Lorsignori parlano di aumento di orario di cattedra a
cuor leggero. Usando anche come imbonitore l’argomento di un aumento
facoltativo dell’orario. Ma – si noti il sottile ricatto – chi non lo
accettasse rimarrebbe a stipendio base (a parità di orario, il più
basso della Ue). Per non parlare della riduzione di cattedre che si
triplicherebbe. È questa l’apertura ai giovani che hanno scelto di
insegnare?
Ci parli ancora della peculiarità
della funzione docente e del tentativo di ingabbiarla che si starebbe
profilando.
Si sta realizzando la definitiva operazione di “impiegatizzazione”:
valutazioni di docenti e collaboratori (ata) con differenziazioni
stipendiali operate dai dirigenti (contratto “flessibile”), anche
attraverso il sistema dei vergognosi (e contestatissimi) test Invalsi.
E bisogna sottolineare che in questa direzione va anche la
cancellazione delle graduatorie di Istituto e la scomparsa (fisica) dei
precari: supplenze e sostituzioni sarebbero a carico dei docenti
stabili.
L'operazione posta in atto è subdola, perché consiste nel far passare,
magari per gradi, quella che si configura come una vera controriforma.
Ci troviamo di fronte a una sorta di gioco delle tre carte per
scompaginare il tavolo e colpire all'improvviso e, quando non riesce la
“sorpresa”, giocare di rimessa per comporre, alla fine, il mosaico di
una scuola privatizzata.
Eppure Renzi continua a ripetere di
voler cambiare la scuola premiando il merito.
Altro che “merito”! Qui è in atto un piano volto apertamente a fare
della scuola pubblica la copia di quei diplomifici privati che, come il
Ministro ben sa – da quando ha ricevuto le dettagliate denunce
contenute nel dossier del prof. Paolo Latella – non controllano
profitto e frequenza degli alunni e non pagano ai docenti neppure i
contributi. Uno spregiudicato sistema di scambio che consente la
possibilità di accumulare i punti nelle graduatorie superando così i
precari della scuola statale. Sono anche questi i bei risultati della
legge sulla parità voluta da Luigi Berlinguer. Lasciata passare,
nonostante le reiterate e massicce contestazioni perché veniva da
“sinistra” (sic!).
Tornando allo scandalo emerso con le coraggiose inchieste Latella. Il
ministro Giannini, nonostante lo scalpore dei media e le interrogazioni
parlamentari, non solo non controlla né interviene, ma continua a
indicare le scuole private come modelli da seguire, essendosi già
pronunciata apertamente persino per l’assunzione diretta e
discrezionale di docenti ed ata e per l’abolizione degli organi
collegiali, baluardo di democrazia, ma anche su come rivedere la
libertà d’insegnamento.
Il sottosegretario Reggi in questi
giorni ha però sembra aver rivisto alcune posizioni del governo...
Il gioco delle parti e la ridda di dichiarazioni e smentite di questi
giorni ci rafforzano nell’idea che si sta preparando un vero e proprio
blitz legislativo “balneare” a danno della scuola pubblica e della
funzione docente.
Con chi crede di parlare il sottosegretario renziano Reggi? Da un lato
si scusa per aver usato «parole mal meditate», poi afferma di «non aver
mai sostenuto di voler aumentare l’orario dei docenti», dimenticando
che aveva dichiarato di voler arrivare addirittura a 36 ore.
Sindromi di amnesia o - trattandosi della Scuola, quindi del futuro del
Paese - un’insostenibile (ed imperdonabile) “leggerezza dell'essere”?
Le sue sono ritrattazioni da Pinocchio, o se si preferisce piroette e
scuse postume in stile “nipote di Mubarak”.
Ma al di là dell’opportunismo di maniera, resta inquietante la
riconferma da parte del Ministero di Trastevere del progetto di
riduzionismo impiegatizio che vuole realizzare.
Dopo aver cercato di gettare acqua sul fuoco per placare la giusta ira
dei docenti italiani, Reggi ha beatamente confermato che le supplenze
le dovrà fare il personale di ruolo. E questo non implica un aumento
d’orario per i docenti stabilizzati? Come si possono fare le supplenze
senza alzare l’orario di cattedra?
14 luglio, manifestazione nazionale a
Viale Trastevere alle 15.30. La data coincide con la presa della
Bastiglia, ed è a ridosso della discussione del 15 mattina a
Montecitorio della riforma sulla scuola del governo...
Il Ministro dell’Istruzione presenterà martedì 15 Luglio la sua
disastrosa proposta sulla scuola. Occorreva dire un NO immediato al
progetto Reggi-Giannini. Perciò abbiamo promosso questa assemblea
nazionale della scuola, a Roma, davanti al Ministero di Viale
Trastevere, per Lunedì 14 Luglio pomeriggio. Una riunione nazionale
della scuola militante, dei coordinamenti di base, aperta a tutte le
sigle sindacali, per fermare il disastro annunciato dal ministro
Giannini e costruire a breve, tutti insieme, un grande corteo nazionale
di tutta la scuola pubblica italiana che “rottami” senza appello le
enesime scriteriate politiche sulla scuola.
Ci sono arrivate tante adesioni. Tra le prime segnaliamo quelle di Usi
Scuola, USB Scuola, Cip, ANIEF, CUB, l’Associazione Nazionale del
Libero Pensiero “Giordano Bruno” … Tantissime le adesioni individuali:
cittadini che ci ringraziano e che dimostrano la capacità di sapersi
mobilitare sempre quando è in gioco la scuola di tutti, ovvero il
futuro del Paese e della stessa Democrazia.
Noi speriamo davvero che l’evento serva anche a ritrovare, nella
chiarezza, l’unità sindacale e a spazzare via le ambiguità e le
incertezze. Mi riferisco alle dichiarazioni del segretario Nazionale
della FLC-CGIL, Pantaleo, che pur rilevando da parte del Ministero di
Viale Trastevere un “clima di gerarchia e diffidenza”, ha dichiarato:
«noi siamo disponibili a discutere dell’orario, purché però lo si
faccia intorno al tavolo del contratto». Eppure, dovrebbe essere del
tutto evidente che proprio attraverso l’aumento dell’orario passa la
“soluzione finale”: con l’impiegatizzazione standard si anemizza la
professionalità docente, ingessandola e sfinendola.
Lei insiste sulle scriteriate
politiche di “impiegatizzazione”. Ma non sono certo uscite dal cilindro
di Renzi e tutte adesso?
Ci vorrebbe un trattato per riepilogare anni e anni di infauste
politiche. Provo a sintetizzare limitandomi ad alcuni atti giuridici
che sono stati determinanti a svilire la professione docente.
Con il DLvo 29/93 il governo Amato, col placet di CGIL, CISL, UIL,
privatizzava il rapporto di lavoro della Scuola (ma non
dell'Università, dei magistrati, dell'esercito, della sicurezza).
Questo è stato il primo passo essenziale dell'impiegatizzazione del
corpo docente. Da allora non esiste più il ruolo, bensì l'incarico a
tempo indeterminato (tipico un tempo del supplente annuale), o a tempo
determinato (per i precari), che sarebbe come dir loro “'lasciate ogni
speranza o voi che non siete entrati”.
Il ruolo era soprattutto uno scudo a garanzia dell'autonomia della
funzione docente e del rispetto del dettato costituzionale sulla
libertà di insegnamento, tipico del lavoratore “non subordinato” e
professionale (valutabile, in caso di controversie, solo da chi ha le
competenze per farlo, e per questo erano previsti i consigli di
disciplina elettivi dai Decreti Delegati ed aboliti nel 2008 da
Brunetta).
L'eliminazione del ruolo procedeva – si noti bene –, con la contestuale
trasformazione del preside in “datore di lavoro”. Già nel 1993 si
prefigurava la figura del Dirigente, attribuendogli un ruolo
aziendalista che confligge con la comunità educante e con l'ambito
collegiale e democratico di autogoverno della scuola.
La figura del Dirigente scolastico è stata introdotta con la cosiddetta
'autonomia' nel 2000, perché divenisse l'arbitro di ogni controversia
disciplinare, insieme all'Ufficio Scolastico Provinciale. Per fortuna
tanti Dirigenti continuano a comportarsi da Presidi e sono i più amati
e stimati dagli studenti, dai genitori, dai docenti e dal personale
della scuola. Dove questo avviene si respira serenità e collaborazione
in un reciproco rapporto di stima e fiducia.
Ma quello che si vuole è il Dirigente Capo che può decidere “inaudita
altera parte”, come prevedeva la berlusconiana Aprea con il suo
infausto ddl (mai decollato per le massicce mobilitazione della società
che lo hanno avversato). E come ripropongono oggi anche Ichino e
Giannini, che sognano per il Dirigente Capo il ruolo di arbitro delle
assunzioni: scuola per scuola, nonché di valutatore delle “performance
di qualità”.
Si capisce quindi come e perché gli organi collegiali siano scomodi. In
particolare il Collegio Docenti (lo si vorrebbe solo consultivo) e
Consiglio di Istituto (da trasformare in Consiglio di amministrazione
di scuole privatizzate, ovvero scuole-fondazioni).
Del resto, in forza della così detta “autonomia” i Consigli Scolastici
Provinciali non esistono più dal 2000 e gli insegnanti non eleggono più
il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione dal 1997. Se avessero
tolto organismi di tale importanza a qualsiasi altra categoria
professionale ci sarebbe stata un'insurrezione, mentre noi abbiamo
avuto persino un ministro che intendeva valutarci a quiz, come poi
imposto agli studenti con il dozzinale metodo Invalsi.
Lo svilimento professionale passa però
anche per i bassi stipendi dei docenti?
Certo qualche parola va detta anche sulla perdita crescente del valore
stipendiale. Mi limito agli scatti di anzianità. Il Dlvo 29/93 li ha
cancellati. La strategia nella scuola è stata sempre quella del
“percorso a tempo”. Si conta sul fatto che i docenti sono impegnati a
studiare, insegnare, e spesso sono distratti sulle questioni economiche.
C’era un tempo in cui gli scatti erano biennali, poi sono stati
trasformati in 6 “gradoni”: il primo di 3 anni, i successivi tre di 6
anni e gli ultimi due di 7, fino al recente “congelamento” che è
l'anticamera della loro completa eliminazione. Anche senza alcun
rinnovo contrattuale, se ci fossero gli scatti d’anzianità si avrebbe
una retribuzione molto più alta. Per toglierceli s'è detto che con
questi aumenti automatici (conservati tuttavia da docenti universitari,
magistrati e militari di carriera) «sarebbero andati avanti tutti,
anche i cialtroni». Però persino la Svizzera, paese meritocratico e
liberista per eccellenza, ove non sono previsti automatismi d'anzianità
per nessuno, gli scatti ci sono solo e soltanto per gli insegnanti. E
sono annuali.
Il sindacato cosa propone per uscire
dal mercatismo impiegatizio che ci ha illustrato?
In tutto il mondo si sa che ad insegnare s'impara soprattutto
insegnando.
Per queste ragioni l'Unicobas vuole un contratto specifico per la
scuola fuori dall'area del pubblico impiego, che tenga conto della
libertà d'insegnamento e delle responsabilità che gravano su chi ha che
fare con minori. Per tutta la scuola, docenti ed ata, dal momento che
anche un collaboratore scolastico ha competenze di vigilanza che un
usciere del ministero non ha, gli aiutanti tecnici svolgono un ruolo di
coadiuzione educativa e gli amministrativi firmano bilanci di milioni
che ovunque (anche nel sistema privato) darebbero luogo a retribuzioni
ben più alte.
Con il Dl.vo 29/1993 vige la regola che gli aumenti non possano
superare l'inflazione programmata dalla parte datoriale (Ministro
dell'economia). Per questo, col passaggio dalla lira all'euro, avemmo
un rinnovo del 2% a fronte del dato Istat al 6% e di un aumento dei
prezzi al consumo pari al 50%. Per questo, dal 1995 abbiamo contratti
sempre sotto l'inflazione dichiarata (dato Istat) e reale (incremento
vero del costo della vita) e non potremo mai neppure avvicinarci alla
media retributiva europea, ove siamo (tenendo presente anche la
diversità dei costi standard) all'ultimo posto, persino sotto a Grecia
e Portogallo.
Insomma uscire dal pubblico impiego è
una necessità per ridare dignità agli insegnanti...
O si esce dal pubblico impiego e dal campo del DL.vo 29/1993, come
l'Unicobas vuole da anni, o risulta persino ridicolo parlare di
stipendi (...europei).
Occorre anche l'istituzione di un Consiglio Superiore della Docenza
(con diramazioni provinciali), adibito a garantire, così come per la
Magistratura, l'autonomia e la terzietà della Scuola pubblica. Senza
tutto ciò la privatizzazione della scuola e la sua subordinazione ad
interessi economici e politici di parte è sicura.
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