Ministro Giannini ed il piano scuola - La proposta Roberto Reggi … non regge
Data: Martedì, 08 luglio 2014 ore 10:35:18 CEST
Argomento: Comunicati


Mentre si diffondono via internet e facebook appelli e messaggi: No alla riforma Giannini. No alle 36 ore! I gessetti si sono rotti!  Ed un accorato: Salviamo la scuola pubblica!  sarà forse il caso di rivedere la questione e puntualizzare alcuni aspetti che meritano particolare attenzione.
Dalle nuove dichiarazioni del sottosegretario ingegner Roberto Reggi, lo spauracchio delle 36 ore lavorative sembra rientrato, ma non appare corretta l’espressione adoperata nel documento di protesta: “ L'orario di lezione settimanale dei docenti italiani, che non teme confronti con quello svolto dai docenti negli altri paesi, è intangibile in quanto connaturato alla specificità lavorativa dell'insegnamento”.
Nulla può ritenersi intangibile, né tanto meno oggi in cui si vive di precarietà e di provvisorio.
L’insegnante è chiamato a svolgere bene il suo lavoro e se delle 18 ore canoniche alcune non sono fruttuose, occorre intervenire per renderle tali. Non certamente con le costrizioni formali dei falsi recuperi di presenza in sala dei professori, ma mediante una progettualità operativa che impegna e gratifica professionalmente gli operatori per il bene degli alunni.
Le “supplenze di carta”, quando la docente arriva alle 11 per mettere la firma, perché a quinta ora c’è un’attività in aula magna, sono uno spreco, intanto i ragazzi hanno perso le prime tre ore di lezioni che sarebbero state utili ed efficaci se condotte da una docente di classe.
Tra le proposte connesse all’organico funzionale, più volte abbiamo lanciato la proposta di avere il “supplente stabile” che avrebbe garantito una continuità di presenza, secondo un progetto di scuola, assicurando al docente, pur nella  precarietà una continuità di servizio e di punteggio.
Per risolvere la questione delle supplenze ci si chiede  spesso se  debba prevalere il rendimento scolastico o l’incremento della formale occupazione lavorativa. Credo che la prima soluzione sia prioritaria.
In merito alla “campagna di propaganda governativa denigratoria contro gli insegnanti” la soluzione non appare soddisfacente se si riduce ad una difesa della categoria e non si costruisce una nuova identità del docente esperto e competente, disponibile e professionale.
L’apertura della scuola anche oltre le ore di lezioni va considerata una presenza di servizio ed un’opportunità per ragazzi e per il territorio. Una scuola capace di coinvolgere studenti e genitori anche extra scuola si rivela viva, dinamica e ben accolta dalla gente, vera presenza culturale e spazio di creatività e di sviluppo.
Quello che manca sono le risorse aggiuntive che vanno assegnate a chi lavora di più che non dovrebbero restare “pochi”, ma dovrebbero essere in tanti nel contribuire a rendere la scuola bella, piacevole dove si sta bene e si cresce in qualità.
Se si teme, come si afferma nel documento di “mettere i genitori contro gli insegnanti, gli insegnanti in competizione gli uni contro gli altri con l'intento di arrivare a un contratto di bassissimo profilo con una riconferma delle basse retribuzioni e con aumenti dati a pochi” vuol dire che la mentalità del fare  poco e male non è stata anche ancora rinnovata.
I genitori saranno felici di poter affidare i propri figli a docenti competenti ed esperti educatori, i docenti cooperando insieme nella didattica potranno crescere in professionalità, gli studenti verranno volentieri a scuola e vedranno gratificati i loro sacrifici e l’impegno nello studio. La logica di fondo non dovrebbe essere il risparmio, bensì la qualità delle prestazioni.
Rendere efficace il tempo scuola, rendendolo produttivo “tempo di apprendimento” potrà essere una soluzione ottimale di riduzione del ciclo scolastico, ma non per risparmiare, bensì per migliorare il servizio. Dare l’opportunità ai ragazzi bravi di svolgere un percorso di potenziamento efficace attraverso una didattica intensiva e compatta non toglie nulla, anzi potenzia e motiva ancor di più lo studio e l’impegno. Se il tutto si può concludere in quattro anni ben venga, utilizzando il quinto anno come avvio funzionale al percorso universitario, che implica scelte orientative più responsabili e provoca non poco disorientamento e confusioni.
Fare la rivoluzione, abbattere  e distruggere ”i cantieri”, proclamare scioperi di opposizione preconcetta, sono esercizi inefficaci, se non si tenta, invece di contribuire mediante una concordata proposta operativa di miglioramento della scuola: “Io non so se le cose andranno meglio, quando andranno diversamente, ma una cosa è certa: dovranno andare diversamente”.  Ed andranno diversamente se si costruisce insieme.

Giuseppe Adernò
g.aderno@alice.it





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