Divagazioni morali e moralistiche ...
Data: Lunedì, 23 giugno 2014 ore 07:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Si riscontra spesso un sentimento di avversione nei confronti del termine "morale", come se evocasse un mondo di costrizioni, di vincoli; come se alludesse a pratiche di mortificazione della libertà e della dignità della persona. Forse si preferisce per una maggiore ipotetica valenza critica e problematica il termine "etica". Perchè sorgano problemi morali è sufficiente essere in due e chiedersi come comportarsi reciprocamente, per quali motivi e quale sia la scelta migliore e più efficace. Problemi morali o problemi etici? Ma davvero cambia qualcosa? Ad ogni buon conto, pur conoscendo e in parte condividendo la diversa sfumatura di significato tra i due termini, proprio per la natura discorsiva di queste riflessioni, utilizzerò il termine morale.

Le dottrine morali elaborate nel corso della storia umana sono state uno schermo molto fragile per contenere la ricorrente barbarie, la forza coercitiva e brutale della violenza con cui gli uomini hanno istituito le loro relazioni sociali.Hanno risposto ad un bisogno di regole a protezione della vita di ognuno contro l'istinto di morte che irrompe dal fondo di ogni essere umano. Un bisogno ricorrente anche se la storia recente e quella attuale ci rinfaccano la loro impotenza. La raffinatezza dei loro precetti,la varietà degli aspetti umani presa sotto tutela, lo sviluppo della cultura dei diritti coesistono e contrastano con i quotidiani fatti di prevaricazione, di crudelta, di insensata disumanità.

Le dottrine morali hanno voluto e vogliono essere terapie dei mali delle comunità e degli individui, ma gli ammalati che rifiutano le cure non diminuiscono...

Quando ci si confronta con le dottrine morali dell'età classica si prova a volte una sorprendente sensazione di stupore di fronte a ciò che a prima vista sembra un'assenza di pathos, di profondità, di complessità. Impareggiabili, invece, per forza, passione e drammaticità le contemporanee riflessioni dei tragici sulle vicende umane, peraltro disponibili per il gran pubblico che partecipava alle rappresentazioni.

Sembra che si tratti di posizioni e atteggiamenti di signori dello spirito,che mai avrebbero potuto incidere nella coscienza del demos (popolo), inadatte a interpretare i loro problemi e a proporsi come soluzioni praticabili per la generalità degli uomini.

Erano dottrine morali in cui il rapporto fondamentale è stato per molto tempo quello del singolo con la Polis e non quello delle persone tra di loro.Per molto tempo il loro obiettivo è stato la codificazione della buona costituzione politica, della forma del buon governo. Successivamente a questa fase la riflessione morale si è concentrata sui modi e sulle procedure per assicurare la tranquillità, la padronanza di sè, la felicità o il piacere; è diventata direzione della coscienza individuale di quanti aspiravano ad averne una.

In mezzo a queste preoccupazioni emerge di volta in volta l'intenzione di determinare il valore della persona, quale che fosse il suo rango sociale, e di aprirle nuovi spazi di libertà e di dignità, al di là degli eventi e delle disavventure della vita quotidiana.

Per cambiare la società antica non sono state sufficienti nuove dottrine morali. E' stata necessaria una nuova religione:una religione che si misurasse con le infinite sofferenze, miserie, umiliazioni di gran parte degli uomini di quei tempi e ne riscattasse il significato, la grandezza.

Le parole d'ordine non potevano essere "felicità","piacere" "serenità". La parola d'ordine è stata "Salvezza!"

Nella cultura greca la tensione morale era verso il bello e il buono,qualcosa che si presenta come misura "visibile" e "comprensibile" delle cose, delle azioni, degli uomini. Trascendono le cose, ma non sono ineffabili, inarrivabili. Nella società "cristiana" è la santità, la dimensione infinita del mistero, a orientare l'azione degli uonini e a misurarne il valore.

Nelle dottrine morali della classicità manca la fondazione dell'obbligatorità dell'azione giusta (l'imperativo categorico..). In assenza di questo la morale diventa tecnica, mestiere di vivere, in cui sono essenziali la prudenza, il calcolo, la moderazione.

Nel cristianesimo è il richiamo al divino che fonda e giustifica la morale, anche se non c'è deduzione logica. Cosa sarebbe poi una religione senza una grande morale e per molti, ancora oggi, una morale senza religione che forza di convinzione potrebbe avere?

Oggi una qualsiasi dottrina morale non può esimersi dal confronto con i valori proclamati nei Vangeli e non sempre rispettati nella storia del Cristianesimo. L'ambito dei problemi può essere allargato, arricchito, ma non privato del meglio di questa tradizione. E sempre deve misurarsi con la sfida di dare un fondamento al concetto di dovere, al concetto di obbligo e soprattutto deve affrontare la sfida di dare un valore universale ai propri principi ai tempi delle società multiculturali e multireligiose.

Il tratto che distingue, meglio ancora, il confine che divide le dottrine morali antiche, da quelle originate dal cristianesimo è il valore dell'altro, del prossimo come costitutivo di un'autentica relazione morale, superiore indiscutibilmente rispetto al valore e al significato dei problemi della personale felicità, tranquillità o piacere.

La morale è innanzi tutto donazione per l'altro, amore, rispetto, giustizia, tanto più necessari quanto più l'altro ne ha bisogno e comunque a prescindere dalla sua particolare condizione (donna, straniero, povero, libero, schiavo, bello, brutto, integro, ammalato etc).

Morale è quindi fraternità, è compassione, è solidarietà, è amore. La doverosità dell'atto morale ha il suo fondamento nell'assoluto valore di se stesso, pari e intangibile come quello delle altrui persone.

Non è possibile oggi che nella riflessione morale siano assenti temi come l'ingiustizia, la violenza, la prevaricazione, il bisogno, la dignità, la povertà, la sofferenza, la vita e la morte, la pace o figure umane come la vedova, l'orfano, il diseredato, il profugo, il perseguitato, l'ammalato, il disperato, lo sconfitto, il disabile, il precario, il disoccupato.

Le morali che si riducono a calcolo delle convenienze, a stile di vita non potranno mai essere metro di giudizio dei comportamenti pubblici e delle scelte politiche. Senza una morale di riferimento non ci può essere giudizio della vita pubblica, che non sia quello del semplice e temporaneo accomodamento; la vita pubblica non avrebbe un orientamento,una destinazione tranne quella del puro e semplice equilibrio dei poteri e dei rapporti di forza nella società e tutto alla fine sarebbe giusto soltanto perchè viene fatto e in quel momento non si poteva fare diversamente. Storia che si conosce e che ha provocato grandi disastri.

Le dottrine morali senza proiezione pubblica hanno un significato umano limitato, perchè non esiste vita umana a prescindere dalle relazioni umane e sociali, anche se non tutto può risolversi in esse, perchè c'è una zona invalicabile della persona che ha bisogno di una sua particolare cura.

La moderna vita sociale è segnata dalla prevalenza dei valori dell'utilità e dell'utilizzabilità: veri criteri di giudizio delle cose e delle persone, fondamento di ogni logica di razionalizzazione e di dominio. Sfuggire alla relazione mezzo/fine è l'unico modo per ritrovare la propria dignità e libertà.

Il punto di svolta nelle concezioni morali è costituito dal progressivo abbandono del principio della sacralità della vita. E' anche il punto di contraddizione tra la concezione ebraico-cristiana e la secolarizzazione.

Il problema è vivere bene questa vita che ci è data e adoperarsi che il "qui ed ora" non sia l'inferno quotidiano delle sofferenze, delle umiliazioni e della disperazione. E' diventato urgente riconquistare la propria umanità in un mondo di cose. E' necessario riconquistare la propria soggettività per trovare un proprio equilibrio e per resistere alla manipolazione del consumismo. Il riferimento ai bisogni è oggi il linguaggio del potere.

Coltivare buoni sentimenti e spiritualità costituisce un modo per creare spazi di libertà all'interno della società di appartenenza, per allentare la catena dei vincoli dei nostri ruoli e della nostra collocazione sociale.

prof. Raimondo Giunta





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