Ovidio, il poeta galante
Data: Domenica, 22 giugno 2014 ore 07:30:00 CEST
Argomento: Redazione


Publio Ovidio Nasone, il "poeta galante", nacque a Sulmona nel 43 a.C. da un'antica famiglia equestre. Con il fratello Lucio venne inviato a Roma, dal padre, dove studiò, con profitto, eloquenza e retorica. Destinato alla carriera forense, ben presto venne "sedotto" dalla poesia e frequentò i circoli letterari romani di Messalla, Mecenate, Orazio, Properzio, Virgilio. In seguito diventò allievo di Arellio Fusco, maestro di retorica, e di Marco Porcio  Latrone, di origine spagnola ed amico di Seneca il Vecchio. Nel 26 a.C. scrisse gli "Amores", dedicati a Corinna, seguirono gli "Heroides", 21 lettere che parlano d'amore e dedicate a mitiche eroine ed ai loro amanti, e "Madeo".

Tra l'1 - 2 d.C. Ovidio compose "l'Ars Amatoria", celebre opera sull'arte d'amare, nello stesso periodo scrisse il "De Medicamine faciei feminae", sui cosmetici femminili, ed il "Remedia amoris", un'operetta sul modo di "guarire" dalla passione amorosa. L'8 d.C., ormai giunto alla fama come poeta galante, scrisse le Metamorfosi, un poema epico-mitologico incentrato sul tema delle metamorfosi, ed i Fasti in cui illustra, per ogni mese, le festività del calendario romano. Nell'anno 8 d.C., Ovidio, per ordine dell'Imperatore Augusto, fu costretto a lasciare Roma, senza nessun valido motivo, ed esiliato nella cittadina di Tomi, l'odierna Costanza, sul Mar Nero. L'ira dell'imperatore colpì anche le sue opere che furono censurate e rimosse da tutte le biblioteche della città. I suoi scritti davano molto fastidio alla corte di Augusto ed alla severa e "perbenista" Roma di quei tempi, perché, probabilmente, apparivano alquanto licenziosi, anche se forse era solo una scusa per esiliarlo in quanto era riuscito a "metteva a nudo" la corruzione morale e la dissolutezza della corte imperiale.

Ma anche dall'esilio, con la probabile presenza della sua terza moglie, Fabia, il poeta si "consolò" continuando la sua attività. E a Tomi, Ovidio rielaborò i "Fasti", raccolse in quattro libri le "Epistulae ex Ponto", scrisse in cinque libri "Tristia", ed infine scrisse in 322 elegiaci "Ibis", contro un amico infedele che lo calunniava. Alla morte di Augusto, nel 14 d.C., Ovidio credette invano che la sua condanna all'esilio venisse revocata, ma la sua richiesta di assoluzione venne respinta dalla corte romana. Da questo duro atteggiamento si può desumere che gli scritti di Ovidio, il primo poeta a subire la censura, erano "non graditi" e disapprovati dalla casta romana, che in privato era licenziosa, mentre ufficialmente voleva apparire casta e severa. Ovidio, con i suoi scritti, aveva preso come bersaglio la religione dell'Impero, la sua politica e le strategie di guerra di Augusto, aveva cioè osato toccare i cardini dello Stato Romano. In più, si presume che Ovidio sia stato esiliato per una presunta tresca amorosa con Giulia, la figlia o la nipote di Augusto.

L'esilio di Ovidio fu la vendetta di Augusto e, in seguito, anche di Tiberio, che lo così lo vollero "cancellare" dalla cultura del tempo. Augusto, con l'esilio Ovidio, ha voluto difendere le virtù ed i costumi degli avi, e colpire il "poeta licenzioso" che aveva osato, con i suoi versi, infliggere un "ferro arroventato" sulla pelle già ustionata dell'onnipotente Imperatore. Ovidio morì in esilio, a Tomi, nel 18 d.C., dove venne sepolto; neppure alle sue ceneri venne concesso di ritornare nella sua amata Roma.

Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it





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