Se a scuola è possibile l'educazione morale. 28 maggio 2014 alle ore 10.22
Data: Giovedì, 29 maggio 2014 ore 07:30:00 CEST Argomento: Redazione
Il sistema
scolastico non può non avere delle finalità educative se vuole
orientare, motivare e promuovere nei giovani comportamenti
positivi, sviluppare le loro capacità, guidarli alla conquista di
significati per la loro vita. Nell'attuale momento, segnato dalla
trasformazione e a volte dalla disgregazione delle tradizionali
relazioni familiari, in presenza di fenomeni inquietanti che investono
la condizione giovanile, la funzione educativa della scuola assume
un'importanza almeno pari a quella conoscitiva. Scuola e mondo
giovanile da molto tempo sono in rotta di collisione. E' una situazione
difficile ,ma non disperata, sulla quale sarebbe necessario lavorare
con passione e intelligenza.
Quando si parla di funzione educativa della scuola, in genere ci si
riferisce all'educazione alla cittadinanza e alla legalità,
all'assunzione dei valori costituzionali; non si accetta facilmente di
parlare di educazione morale. Eppure da molto tempo non sono i livelli
di preparazione dei nostri giovani che preoccupano, ma i loro
comportamenti;a scuola come fuori della scuola. Lo sviluppo delle sole
qualità intellettuali può non avere alcuna influenza sui tratti morali
della persona.
Per molti insegnanti l'educazione morale è un compito che attiene
alle famiglie e per il quale la scuola non avrebbe alcuna specifica
responsabilità, tranne quella di contenere comportamenti e
atteggiamenti che intralcerebbero il regolare svolgimento delle proprie
attività. Questa scelta viene fatta non per abdicazione dalle proprie
responsabilità, ma per la convinzione che la scuola principalmente
debba istruire. Convinzione che non convince soprattutto le famiglie,
che amerebbero avere dei partner se non proprio dei sostituti nel
compito di educare i propri figli. La cura degli alunni, l'attenzione
ai loro problemi, l'accompagnamento nei loro processi di crescita, non
sono azioni possibili "del" e "nel" rapporto educativo, ma atti dovuti.
Senza di essi non si genera formazione,non si genera la crescita umana.
Una specifica, autonoma azione educativa rispetto ai compiti
professionali di trasmissione dei saperi in genere provoca motivati
malintesi ed avversioni. Un'ora di morale,come di religione o di
cittadinanza non avrebbe senso. E poi quale morale? Le questioni morali
da affrontare sono quelle che emergono dalle relazioni dei giovani con
le istituzioni nel loro insieme, compresa quella scolastica, con il
sapere, con gli altri ragazzi, con gli insegnanti. Altra storia è
l'emergere di particolari progetti educativi in funzione di bisogni che
s'affacciano nella vita dei giovani e con i quali bisogna confrontarsi:
parità, salute, sessualità, mondialità, ambiente etc. Ma per non
disarticolare il curriculum, che rischia senza rigore di diventare un
insieme pasticciato di tentativi di rincorrere mode e tendenze, questi
progetti dovrebbero sempre essere pensati e realizzati come necessarie
interrogazioni dei saperi disciplinari, come esiti possibili del loro
significato e della loro valenza nel dare risposte e orientamenti
personali. Operazione estremamente complessa e non facile come si
crede, perchè si tratta di coniugare razionalità, coerenza,
immaginazione e sensibilità.
Nelle storie degli alunni sono celate le loro autentiche domande di
educazione, ma bisogna farsele raccontare, ma bisogna volerle
ascoltare. "Dalla frammentarietà e dispersione dell'esperienza, dal che
cosa sono, aprirsi alla ricerca di chi sono, di chi voglio essere
"(M.Pellerey). Ricorda P. Ricoeur" La persona designa essa stessa nel
tempo come unità narrativa che riflette la dialettica della coesione e
della dispersione, che l'intreccio media".
Per molto tempo con superbia intellettuale questi aspetti della
funzione docente sono stati giudicati inessenziali, non pertinenti col
possesso del sapere specialistico. Si sono espunti come superflui il
mondo delle relazioni umane, la dimensione affettiva e quella
valoriale. Si è insistito con protervia nel tentativo di formalizzare
un processo dinamico, complesso, ricco, emotivo, anche umorale come
quello educativo con risultati non proprio lusinghieri.
Con l'ausilio della sola professionalità, anche quando è illuminata da
un forte senso del dovere, dell'etica del sapere e del conscere,
l'insegnamento nell'attuale condizione dei giovani rischia di essere
sterile e di conseguire risultati molto modesti. La realtà delle cose
impone di ridimensionare lo spazio di certi atteggiamenti scientistici
e di ricomporre ad unità, dopo averne voluto la più radicale
distinzione, istruzione ed educazione.
Nella scuola si è avuto quasi fastidio ad usare il lessico pedagogico,
che rinvia ai temi etici e che propone il compito della dedizione e
della responsabilità educativa del docente. Si è coltivato in
alternativa un modello di professionismo a ventiquattro carati: nelle
regole, nelle procedure, nella comunicazione, nei rapporti umani,
nell'organizzazione dell'attività didattica. Questo modello di
professionalità è sembrato essere l'emancipazione dalla cultura della
vocazione,della missione con cui tradizionalmente si definivano i
compiti dell'insegnamento. In questo modo invece la scuola si è fatto
sfuggire di mano il controllo del mondo con cui dovrebbe lavorare.
Se anche il sapere fosse l'unica ragione che spiega e fonda il rapporto
docente/alunno lo scopo dell'educazione non è quello di
sottomettere la natura indocile dell'alunno al sapere, ma quello di
fare diventare "sapiente" l'alunno indocile. Forse non sarà la
secolarizzazione dei compiti della scuola a darci generazioni di
giovani coltivati nel sapere ed educati a sostenere la civiltà di una
società democratica e pluralista. Come dice M. Augè forse, bisognerà
tornare al linguaggio delle finalità per cambiare profondamente le
attività scolastiche.
D'altra parte la scuola nell'espletamento della sua funzione
educativa non può essere la prosecuzione lineare della famiglia, perchè
istituzione pubblica che condivide la logica delle relazioni, delle
regole e dei principi della più ampia comunità della società: a scuola
si mette in comune ciò che è comune e che può essere comune per tutte
le famiglie e non ciò che interessa quelle più influenti come spesso
finisce per accadere. In una società democratica moderna la separazione
dei poteri educativi tra la scuola, la famiglia e le associazioni è
importante come quella della separazione dei poteri dello stato(
Ph.Meirieu).
Scuola e famiglie sono comunità che possono avere valori diversi; ma
anche a scuola si possono praticare diversi valori, tra i quali si
sceglie a volte senza precisa consapevolezza, di fatto e senza
preavviso... Altro sono i valori della competizione, della selezione e
della cosiddetta meritocrazia, altro sono i valori della parità dei
diritti, della solidarietà e della cooperazione.
Una scuola che fa della competizione il suo unico valore di riferimento
finisce per creare più problemi di quanti ne risolva. I ragazzi hanno
la stessa età, studiano le stesse cose, abitano lo stesso spazio,
perchè inquinare l'unico luogo dove possono sentirsi ed essere
uguali? Qualcosa cambierà a scuola quando tutti si renderanno conto del
servizio che rendono agli insegnanti e agli studenti i compagni in
difficoltà; per qualsiasi motivo in difficoltà.
Se certi alunni sapessero che a scuola c'è gente che li vuole
aiutare e che non pensa a scartarli, nessuno di loro la
fuggirebbe. Nel momento in cui la famiglia è diventata l'istituzione
più individualista che ci sia nella società, non c'è nessun motivo che
lo sia anche la scuola.
Le classi, dove i giovani passano tanti giorni della loro vita, sono in
piccolo un'immagine della società con tutte le differenze di talento di
sensibiltà, di attitudini, di interessi, di abitudini che vi si
possono riscontrare. Educando i giovani a rispettarsi e ad
ascoltarsi,più che a mettersi in concorrenza, si farebbe loro un gran
bene e anche alla società! La scuola deve essere una buona comunità
dove ci si tratta come persone, con rispetto e cura vicendevole, dove
ci si deve sentire membri apprezzati e responsabili. La scuola non deve
armare i ragazzi per affrontare la lotta della giungla, ma per vivere
da cittadini che vogliono vivere insieme nel miglior modo
possibile.
Questo non vuol dire che non si debba tener conto delle condizioni in
cui l'attività educativa può svolgersi a scuola; essa si svolge tra
costrizioni sociali e necessità di sviluppo personale degli alunni e
non sempre è possibile conciliare queste tensioni. C'è sempre il
rischio di una sopraffazione delle esigenze personali. La buona
educazione ama la libertà come la buona morale: non si può procedere
per ridimensionarla o cancellarla nelle pratiche quotidiane,ma solo per
valorizzarla e la libertà è dell'educando prima di esserla
dell'educatore. Nei rapporti educativi, nè forza, nè seduzione, ma
convinzione e dialogo.
L'educazione a scuola ha una sua costitutiva dimensione sociale.
Il problema da sempre è quello di vedere se debba essere finalizzata
all'adattamento alle condizioni date di un particolare momento della
società o alla creazione di un rapporto problematico e
critico col mondo, fondato su un'idea robusta di soggettività e
di libertà personale. Bisogna sconfiggere la tentazione di fare dello
Stato attraverso l'educazione uno Stato etico,anche se nessuno
Stato mantiene un sistema di istruzione e formazione che lo possa
mettere in discussione. "Lo Stato ha troppa volontà di potenza,
contiene troppa hybris per essere l'educatore della società"
(M.Debesse).
Nell'educazione è pura illusione prescindere dai fini che ci si deve
dare e che si devono realizzare. Il rapporto educativo non è un puro
dato di fatto, ma una relazione da vivere secondo principi. Senza
chiarezza di principi etici non c'è chiarezza nè efficacia educativa.
L'educazione in una società pluralistica non può essere improntata ai
valori dedotti da un'idea astratta dell'uomo o da un'unica
antropologia, ma ai principi di regolazione sociale che garantiscono il
massimo di libertà per tutti e il massimo di rispetto altrui.
Dall'educazione scolastica vanno esclusi, quindi, quelle idee e quei
principi che sono contro i diritti inalienabili di libertà e contro
l'inviolabilità della persona, che alimentano la violenza, l'odio verso
la diversità, l'ingiustizia di qualsiasi specie.
E.Berti, sulla scorta di una acuta analisi del pensiero etico di
Aristotile, chiamava "endoxa" i principi e i valori di questo tipo,
costitutivi di un'etica pubblica razionalmente costruita(in alternativa
ai "paradoxa"). Sono principi e valori di comune accettazione,perchè
non possono non essere accettati se si vuole disporre di regole di
riferimento, di principi di riferimento. Sono principi che si impongono
per necessità e li si fa propri.
Educare il carattere a scuola è preoccupazione di pochi, anche perchè
richiede un quadro di valori di riferimento, che difficilmente possono
essere accettati unanimamente e d'altra parte il carattere di una
persona si può sposare con sistemi di valore diversi; la scuola
deve per forza privilegiare i valori che sono costitutivi della società
alla quale appartiene e costitutivi della propria comunità. La scuola
non può non avere propri principi di condotta, cui riferirsi per
definire le regole che devono governare la vita quotidiana e la
convivenza dei giovani che la frequentano: principi che andrebbero
difesi e fatti rispettare .La scuola può avere un significato
particolare per i giovani se si riesce intorno agli aspetti della vita
scolastica sviluppare una consapevole attività educativa, ad
organizzare un percorso di crescita dei giovani su alcuni possibili
valori, come: ordine, puntualità, trasparenza, responsabilità, rispetto
delle cose, e delle persone, ascolto, equità, collaborazione, dialogo,
spirito di sacrificio, primato del sapere e della cultura, sensibilità
artistica, spirito critico.
Non si può sottovalutare l'impegno a lavorare su quei tratti della
personalità che garantiscono a scuola la tenuta e lo sviluppo dei
valori comuni (coerenza, impegno, perseveranza, coraggio, prudenza,
lealtà, sincerità, autocontrollo, capacità di ascolto, capacità di
dialogo). In questo caso la testimonianza, l'esempio, la pratica
corrente, l'ambiente adatto sono le leve più idonee per sviluppare
questo tipo di educazione morale.
L'insegnante educa se il senso, la direzione della sua azione
professionale sono intrecciati profondamente e stabilmente col proprio
comportamento. Se dà testimonianza del proprio amore per gli
alunni, per il loro futuro e per il sapere. L'educazione ai valori non
ha alcun senso se gli alunni non vedono, non sperimentano nella
comunità in cui sono inseriti, uomini e pratiche di libertà e di
giustizia; se non vedono uomini impegnati nella ricerca di
conoscenze e competenze, attenti e dediti agli altri. I buoni valori si
apprendono praticandoli e vedendoli praticare per esperienza
diretta. (M.Pellerey) I modelli educativi sono tanto più
influenti quanto più se sono distinti da un rapporto affettivo.
Esemplarità ed affettività sono condizioni per una buona
educazione morale.
Per ogni scelta, verso la quale si vogliono indirizzare gli alunni, non
può mancare una preliminare azione di riflessione e di conoscenza; non
può mancare nemmeno la testimonianza di una visibile coerenza con i
propri discorsi. E' fondamentale collegare le buone intenzioni alla
pratica dei processi formativi per dare ad esse fondamento, visibilità,
motivazione.
Anche in presenza di queste condizioni non è detto che il
messaggio venga raccolto. A scuola, comunque, le resistenze dell'alunno
alle intenzioni e ai progetti dell'insegnante non son intralci da
superare per garantire la regolarità dei processi educativi, ma
occasioni di ripensamento delle prassi e delle responsabilità
educativa, una sollecitazione a cercare di comprendere e di aiutare.
Per potere educare in ogni occasione l'azione del personale della
scuola deve dare prova di essere degna di "replica", di scaturire dalla
scelta di prendersi cura degli alunni.
"Non basta amare i giovani; occorre che essi percepiscano di essere
amati"(Don Bosco).
A scuola i giovani devono apprendere il linguaggio e le tecniche di un
mestiere, ma anche il difficile mestiere di uomo.
prof. Raimondo Giunta
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