Il poeta Giuseppe Giusti e la sua satira
Data: Domenica, 25 maggio 2014 ore 06:30:00 CEST
Argomento: Redazione


Giuseppe Giusti, nato a Monsummano Terme (Pistoia) il 12 maggio 1809 e morto a Firenze il 31 marzo 1850, è stato un poeta italiano vissuto nel periodo risorgimentale. Figlio di un ricco proprietario terriero, studiò dapprima con un precettore privato, poi frequentò vari collegi a Firenze, Pistoia, Lucca, nel 1826 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza a Pisa, ma non fu costante negli studi. Nel 1832 ritornò di nuovo agli studi a Pisa dove si laureò nel 1834. Nel 1838 prese l'abilitazione all'avvocatura, ma non esercitò mai la professione di Avvocato. Aveva già acquistato fama con i "suoi versi" che circolavano in manoscritti o pubblicati sui giornali.

Ebbe anche dei problemi di salute, fece pochi viaggi e, nel 1845, a Milano, fu ospite del Manzoni. Nel 1847 entrò a far parte della Guardia Civica a Pescia con il grado di Maggiore, fu eletto deputato nelle prime assemblee legislative della Toscana. Nel 1849 le sue condizioni di salute si aggravarono ed all'inizio del 1850 morì a Firenze, nella casa dell'amico Capponi. Giusti, con i suoi scritti, si rivolgeva alla piccola e media borghesia italiana della prima metà dell'Ottocento, che si andava formando ed acquistava maggiore coscienza delle proprie esigenze politiche e sociali, entro un contesto di liberalismo democratico.

La poesia di Giuseppe Giusti si forma nella tradizione toscana, burlesca e satirica, e si avvale di una grande abilità tecnica nella variazione dei metri e nelle alternanze dei versi brevi e lunghi, nelle concatenazioni delle rime, delle intenzioni ironiche e delle deformazioni polemiche. Egli volle colpire l'assolutismo del suo tempo, l'Ottocento, risaltando le deformità vili e turpi, gli aspetti ridicoli e gli inganni, cercando di contribuire con decisione alla liquidazione definitiva del "vecchio mondo" dei piccoli Stati, delle aristocrazie locali, dei privilegi feudali. Nei suoi scritti come la "Ghigliottina a vapore", "Legge penale per gli impiegati", Preterito più che perfetto del verbo pensare", "Il re Travicello" e di altri, traspare tutto il suo "sapore" acre, aspro, grottesco, amaro, deformante. Meno felici sono i "versi seri", di genere patetico, con Sant'Ambrogio, che è una delle poesie più note del Giusti, nella quale la satira si "spinge" con tenerezza malinconica. L'opera in prosa più significativa del Giusti è costituita dalle "Memorie inedite", ristampate nel 1924 con il titolo: "Cronache dei Fatti di Toscana", dove il Giusti dà una rappresentazione acremente polemica delle vicende del 1848 - 1849, in Toscana, dove esprime la "sua ironia" su quei fatti.

Il Giusti nei suoi versi, come si evince in Sant'Ambrogio, esprime la sua estrosità acuta e acre di satira, mista alla sua saggezza, al buon senso che però non lo distoglieva dal suo essere incisivo e pungente nel dire, in modo burlesco, la sua disapprovazione per la situazione dei regimi assolutisti del tempo, e nel caso della lirica "Sant'Ambrogio", contro l'agire delle truppe di occupazione e del regime austriaco. Di Giuseppe Giusti ci è stata tramandata una sua massima che, penso ai giorni nostri, dovremmo farne tesoro: "Prima padron di casa in casa mia, poi cittadino della mia città, italiano in Italia e così via, divento uomo nell'umanità".
La satira del Giusti, la sua avversione verso l'oppressione, il mettere alla berlina i governanti del tempo, mi fa molto riflettere sulla situazione in cui versa oggi la nostra Italia che, pur unita costituzionalmente, è divisa in mille "rivoli", senza condividere un reale spirito unitario. E l'amara riflessione dei versi del Giusti vanno nella direzione di un'Italia "una e indivisibile".
Per Giuseppe Giusti solo l'unità fa la forza e solo insieme si vince!

Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it





Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-2486204.html