La povertà educativa frena lo sviluppo
Data: Venerdì, 16 maggio 2014 ore 07:45:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


La scuola in Sicilia: tassi di dispersione da capogiro - Poveri perché senza alimenti. Ma anche poveri perché senza educazione. Se non si ha il pane si vive di stenti, se non si ha la conoscenza della realtà si rischia di vivere da bruti. Ecco perché la povertà educativa diventa a pieno titolo un termometro per valutare lo stato di salute di un Paese o di una regione. E, manco a dirlo, anche in questo settore la Sicilia - secondo il Rapporto di Save the Children - è capofila in negativo, con tassi di dispersione scolastica da capogiro (25,8%) e con una percentuale minima (5,3%) di bambini nella fascia di età 0-2 anni che sono presi in carico dagli asili pubblici della regione (l'obiettivo stabilito dall'Ue sarebbe il 33%).
Non è detto che le due forme di povertà debbano necessariamente coincidere. I piccoli spacciatori delle nostre periferie urbane, a loro modo, portano a casa uno stipendio. Ma, come ci disse un ergastolano durante una visita di giornalisti in uno storico carcere isolano, «l'ignoranza è peggio della povertà, perché ti impedisce di capire cosa accade attorno a te».
Ecco perché il primo fattore della ripresa è l'educazione. Senza adulti appassionatamente impegnati ad accompagnare le giovani generazioni nella ricerca della verità del reale difficilmente può esserci progresso sociale.
Normalmente guardiamo le nostre istituzioni scolastiche soffermandoci solo sul loro aspetto fisico esteriore: le strutture cadenti, i vetri rotti, le infiltrazioni di acqua. Cose importanti, certo. Ma rischiamo di trascurare in questo modo il cuore della questione: perché le nostre scuole perdono per strada un quarto dei loro alunni? Non è solo un problema di crisi economica, di povertà alimentare. È una disaffezione che, come un tarlo, mina le fondamenta della scuola e spinge i docenti a vivere nell'attesa della pensione e gli alunni nell'attesa della fine dell'anno scolastico.
Solo una «bellezza» può vincere questa disaffezione. Si chiamava «La scuola bella» la rivista dei maestri e degli alunni dell'elementare di San Cristoforo a Catania che, negli anni Venti del Novecento, per prima sperimentò un'istruzione aperta all'arte e al lavoro manuale. I maestri accompagnavano i ragazzi a scoprire i segreti della realtà e i ragazzi, per lo più indigenti, andavano contenti a scuola. Il motto della scuola di don Milani a Barbiana, povera di arredi ma ricca di passione, era «I care» (Mi sta a cuore») a significare l'interesse di docenti e discenti a conoscere la realtà.
È di questo interesse, di questa bellezza che ha bisogno oggi la scuola siciliana, oltre che di strutture efficienti. Come ha detto sabato scorso Papa Francesco ai trecentomila - tra docenti, alunni e genitori - accorsi a San Pietro: «Per favore, non lasciamoci rubare l'amore per la scuola». Solo così potremo contrastare la povertà, quella alimentare e quella educativa.

Giuseppe Di Fazio
Lasicilia.it





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