Quei longobardi che hanno fatto l’Italia
Data: Martedì, 08 aprile 2014 ore 08:30:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Un'autostrada per collegare Milano, Bergamo e Brescia ha spostato indietro le lancette del tempo. Alla fine del VI, inizio VII secolo d.C., quando in buona parte d'Italia dominavano i Longobardi. Durante i lavori per questo tratto autostradale, vicino a Fara Olivara, in provincia di Bergamo, è venuta alla luce una delle più antiche necropoli del popolo delle "lunghe barbe", la definizione Longobardi viene, infatti, dalla latinizzazione del germanico antico di lang-bart (lunga-barba, appunto).
All'inizio della loro discesa in Italia, i Longobardi erano una casta di guerrieri, poi il clima culturale del Bel Paese lì trasformò in contadini, commercianti, artigiani, banchieri e persino giuristi, quasi tutti convertiti al cristianesimo e alla lingua latina. La necropoli longobarda di Fara Olivana conta ufficialmente 105 tombe, in maggioranza di combattenti, ma anche di donne dell'alta società. "Quelle maschili hanno permesso il ritrovamento di scudi, spade costruite con tecniche raffinate per renderle taglienti e resistenti, pugnali e lance che costituivano il corredo dei guerrieri, in molti casi con l'aggiunta di zanne di cinghiali, animale totemico che nella cultura germanica dava forza vitale", spiega Raffaella Poggiani Keller, Sovrintendente ai beni archeologici della Lombardia.

Alcune spade risultano spezzate, un gesto volontario che dimostra come i longobardi, al pari di altri popoli antichi, temevano il ritorno dei morti come fantasmi: meglio allora rendere inefficaci le armi dei defunti. "Le sepolture femminili - continua Poggiani Keller - presentano fibule, collane, pendagli e altri oggetti preziosi, assieme a parecchi croci d'oro in cui figurano animali, segno di sincretismo, ovvero un'ibridazione religiosa tra i culti germanici originari, pagani, e il cristianesimo d'adozione".

Una sfera di vetro trovata vicino al femore di una donna fa pensare a un talismano da portare nell'aldilà. La necropoli, che si estende su almeno 2.500 metri quadrati, promette di essere ricca di reperti. E, c'è da giurarci, sarà una nuova conferma del peso che i longobardi ebbero nella nostra penisola. L'Italia della dominazione longobarda è stata messa recentemente in luce dall'Unesco che ha inserito come patrimonio dell'umanità sette località, ben distribuite nella penisola, da nord a sud. Perché, a ben vedere i longobardi, spesso trascurati dai libri di scuola, non furono solo stranieri dominatori e tanto meno "barbari": ma si integrarono bene con la popolazione locale, dopo il vuoto lasciato dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, fino a romanizzarsi: divennero "italici". Non solo. Potrebbe sembrare un'eresia - abituati come siamo a celebrare il Risorgimento del XIX secolo - ma bisogna riconoscere che i primi a tentare di fare l'Italia, riuscendoci in buona parte, furono proprio i longobardi. Nel loro periodo migliore, nell'VIII secolo, la loro influenza si estendeva in un territorio che andava da Cividale del Friuli fino al Ducato di Benevento, e copriva anche parte della Calabria. Persino l'Istria, italiana tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, era in mano loro. I re longobardi, residenti a Pavia, si facevano chiamare "Gratia Dei rex totius Italiae (Per Grazia di Dio re di tutta l'Italia), oltre a rex longobardorum.

Scesi per la prima volta in Italia nel 568, guidati da Alboino, diedero subito vita a un regno indipendente e "federale" su gran parte dell'Italia continentale e peninsulare. "Federale" nel senso che era articolato in vari ducati, di solito rispettosi del potere centrale. La fara, termine che figura ancora oggi nei nomi di diversi paesi del nord (Fara Olivara, Fara d'Adda, Fara Novarese), era un'entità urbanistica che si basava sul clan, abitata quindi da più famiglie collegate tra loro. La casta dei guerrieri era all'apice della piramide sociale, poi vi erano gli aldii, che godevano di una certa autonomia, gli schiavi affrancati e gli schiavi veri e propri.

Mescolandosi con la popolazione italica, con i matrimoni o con accordi economici, i longobardi a un certo punto si distribuirono su diversi livelli sociali, tra i poveri come tra i romanici ricchi. Da cristiani ariani e in parte ancora pagani, i longobardi divennero poi cattolici, capaci di sostenere gli operosi monasteri benedettini, all'avanguardia nelle tecniche agricole. Anzi, ne fondarono alcuni tra i più importanti, come quello di Bobbio, in provincia di Piacenza. Adottarono il latino, ma molte parole della loro lingua madre restarono in uso entrando poi nel volgare italiano e nei dialetti. Oggi si contano circa trecento termini di origine longobarda: la Lombardia era una volta la Longobardia. Di origine longobarda sono parole come, stamberga, balcone, palco, panca, guanto, fiasco, palla, strale, stambecco, schiena, milza, foresta, melma, guerra. Nomi propri come Aldo, Alfonso e Alberto vengono da loro. La "sala" era la loro cascina con recinto e stalla: esistono oggi toponimi longobardi che la ricordano, Sala Baganza in provincia di Parma. A Milano i longobardi restarono per due secoli e diversi termini dialettali lo testimoniano, "mùchala", cioè smettila, deriva da "mozzare", in longobardo, oppure "baùsha" pieno di sé, ha origine da "baushen", cioè "gonfiato". Così come "totich" (inciampare), "sgurà" (lavare a lucido), o "cadrega" (sedia).

Una cosa è sicura, l'unione tra elementi germanici e italici pose solide radici per lo sviluppo successivo dell'Italia. Paolo Diacono (720-799 d.C), monaco, storico e poeta italico di origine longobarda, scriveva, "C'era questo di meraviglioso nel regno dei longobardi: non esistevano violenze, non si tramandavano insidie; nessuno opprimeva gli altri ingiustamente, nessuno depredava, non c'erano furti, non c'erano rapine, ognuno andava dove voleva, sicuro e senza alcun timore". Forse un po' troppo nostalgico, questo riassunto, ma sul piano giuridico i longobardi furono innovatori. Il re Rotari promulgò un editto, nel 643, in cui si abolivano la pena di morte e la faida (altra parola longobarda), prevedendone la sostituzione con il risarcimento in denaro. C'erano tabelle di risarcimento per ogni tipo di offesa. La pena di morte venne mantenuta solo per il regicidio, diserzione e uxoricidio. Le mogli venivano dunque difese dalla violenza dei mariti, cosa poco scontata all'epoca. Vi era poi il diritto di protezione e tutela del capo di una fara verso tutti i componenti del gruppo familiare.

I longobardi avevano fatto l'Italia di allora soprattutto a spese dei bizantini che dovettero lasciare i loro insediamenti. Con la conquista di Ravenna, nel 751, al re longobardo Astolfo mancava solo Roma per completare l'unità della penisola. Come nel Risorgimento, il vescovo di Roma che aveva sovranità anche su consistenti territori dell'Italia centrale, non era d'accordo con l'idea dell'élite longobarda-italica di una nazione unica. Era in ottimi rapporti con i Franchi che chiamò in suo soccorso prima che i longobardi potessero aprire la loro "breccia di Porta Pia". Papa Stefano  II fece arrivare dalla Francia i soldati di Pipino il Breve che sconfissero Astolfo. Un re longobardo successivo, Desiderio, prima si accodò con il papa, poi ritornò alla carica. Arrivò allora in aiuto del pontefice il figlio di Pipino, il grande Carlo Magno, che conquistò, nel 774, la capitale Pavia. Così finì l'Italia longobarda. Si perse forse l'occasione di fare dell'Italia uno dei primi Stati europei, non uno dei più recenti e ritardatari. "I longobardi si stavano assimilando all'Italia e avrebbero potuto trasformarla in una nazione, come i franchi stavano facendo in Francia", scrisse Indro Montanelli nel suo libro, "L'Italia dei secoli bui". "Ma in Francia non c'era il papa. In Italia, si".

Franco Capone - Focus





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