Divagazioni inattuali senza rete di protezione ...
Data: Venerdì, 04 aprile 2014 ore 07:45:00 CEST Argomento: Redazione
Ho avuto sempre
un certo imbarazzo a soffermarmi su alcuni
problemi morali e di bio-etica in particolare, perché non mi
sento, anche ora che ho deciso di farlo, sufficientemente preparato per
confrontarmi con temi che implicano un profondo coinvolgimento
personale. In genere rifuggo dal "compromettermi",
senza potere indicare precise ragioni. Non so se a prevalere sia un
sentimento di inadeguatezza o il timore di dovermi in qualche
modo pronunciare su temi aperti e difficili da affrontare. Sono
problemi che mi creano uno stato di disagio e neanche per me stesso ho
parole rassicuranti.
Da tanto tempo penso che di certi argomenti per la
problematicità e la delicatezza ad essi
connesse non dovrebbe occuparsi la politica o meglio che su
di essi non si dovrebbero costituire schieramenti politici come avviene
con altre questioni. E penso anche che con troppa facilità ci si
voglia sbarazzare delle perplessità e dei dubbi che
sorgono quando si cerca di stabilire un nuovo quadro di principi
che vanno al di là dei valori, delle consuetudini e
delle tradizioni in cui si riconoscono molte persone. Si cerca di
cambiare, ma senza curarsi fino in fondo di sapere quali possano
essere le conseguenze di certe innovazioni di costume.
Negli ultimi tempi sono stati tracciati nuovi confini tra
etica e politica, sono emerse nuove generazioni di problemi per la vita
pubblica per i quali mi sembra che non ci siano stati la riflessione e
l'approfondimento necessari. Si continua con l'abitudine di
regolamentare comportamenti e scelte di cui non si è definito con
chiarezza lo statuto etico e sociale e che se incidono nella sfera
giuridica di altre persone rimangono tuttavia entro la sfera
individuale di ognuno di noi. Almeno così a me sembra.
Ogni società tende a conservarsi con adeguata legislazione,
stabilizzando i principi morali e le regole di comportamento
pubblico e privato che sono ritenuti necessari per la salvaguardia
fisica e morale della propria comunità e per la tenuta della coesione
sociale. Questa funzione normativa della legislazione si sviluppa
sempre più spesso in contrasto con la sensibilità, gli interessi
e i bisogni umani che si vengono a determinare in conseguenza dei
continui, rapidi e profondi mutamenti della cultura e degli stili
di vita. La questione diventa di essenziale importanza nel momento in
cui si è dilatata, è esplosa una crescita imponente
delle libertà individuali, che si esprime sempre più spesso come
consapevolezza di potere e volere auto-determinare ogni fase e ogni
decisione della propria esistenza. In moltissime vicende attuali si
possono individuare una fuga di massa dalle consuetudini
che hanno costituito i tratti abituali della pubblica morale e un
rifiuto netto di fare delle regole pubbliche e delle tradizioni i
criteri di giudizio delle proprie scelte personali. Tra i problemi
controversi che incrociano etica e politica e che suscitano ondate di
polemiche, più che di riflessioni va annoverata la procreazione
assistita; questione che affonda le radici nelle più recondite
profondità della vita e che non meritava come altri di questo
genere di essere preso a pretesto per definire impropriamente i tratti
identitari di formazioni e di maggioranze politiche.
Penso che se i convincimenti religiosi in materia possono
essere formulati al riparo di riserve e di dubbi,le decisioni
politiche per loro natura in una società democratica e
pluralistica devono essere discutibili e contrattabili, su questo come
su qualsiasi altro tema, e non possono essere affidate a convincimenti
dogmatici. La logica delle scelte pubbliche in questo
genere di società è in qualche modo autonoma rispetto agli argomenti
trattati e segue sempre le stesse procedure. La questione della
procreazione assistita può essere trattata e considerata da un punto di
vista etico-religioso, ma può anche essere "elemento" costitutivo
di una moralità pubblica più vasta e condivisa se a suo fondamento
vengono poste premesse che si reggono da sé, da sole: queste
premesse condivise dovrebbero stabilire i confini dello spazio
delle libertà individuali, della ricerca scientifica, delle
applicazioni tecnologiche nel campo biologico, della tutela della vita
e delle sue forme e dei suoi gradi.
Su un tema come questo le leggi non possono essere il frutto di un solo
orientamento culturale,filosofico o morale: ci si dovrebbe muovere con
razionalità scansando sia i rischi del delirio di onnipotenza di
certe forme di individualismo e di libertarismo, sia le spontanee
espressioni di orrore e di condanna di quanti ritengono immodificabili
le regole del passato, non negoziabili i propri valori e principi di
riferimento. Il problema di fondo è questo: può una minoranza imporre
una propria visione della vita, una propria concezione morale? In
questo campo ci si può muovere a colpi di maggioranza? A proposito
della procreazione assistita qualcuno parla di libertà procreativa. Ho
qualche dubbio in proposito. Mi pare di individuare in questo genere di
affermazioni una concezione spiccatamente individualistica, un'
nsoffferenza nei confronti dei limiti della natura che non riesco a
comprendere o meglio che mi riesce difficile accettare. Il figlio a
qualsiasi costo, il possesso del figlio comunque concepito non mi pare
che realizzi o meglio che sia l'unico modo di realizzare la dimensione
della socialità e dell'amore, come se non potessero esserci altre forme
di espansione, di realizzazione della propria umanità. Se così solo
dovesse essere, ci si troverebbe di fronte ad una certa forma di
regressione morale e culturale, ad una concezione chiusa e vitalistica
di familismo.
Da una parte milioni di bambini muoiono di fame, sono senza
famiglia, aspettano sostentamento ed affetto e non sono molti quelli
che li cercano ,da un'altra persone disperate che accettano la
fecondazione eterologa pur di avere un figlio. Che senso ha? Si ama
l'infanzia solo se prodotta in proprio e con qualsiasi
mezzo? Bambini cercati e voluti in qualsiasi modo e bambini
allo stesso modo non voluti e rifiutati. Gli estremi del movimento di
un pendolo fissato al chiodo di una concezione di libertà
individuale che non vuole avere limiti e regole; la vita al
servizio dell'individuo e della sua discutibile onnipotenza e non
l'individuo al servizio della vita. L 'uomo padrone assoluto del
proprio destino, della vita e della natura: creatore anche lui seppure
con l'ausilio della tecnologia ... Mi riesce difficile essere d'accordo
sulla bontà di qualsiasi intervento sulle forme di
produzione della vita umana e trovo mal concepite le discussioni,in
qualche modo collegate a questo tema, su quando comincia la vita e la
sua necessaria difesa. Non c'è ragionamento forte che possa dirimere la
questione e dissolvere i dubbi:ci porteremo sempre appresso una buona
dose di incertezza, di timori, di inquietudini e di preoccupazioni. Ci
sono temi di frontiera che sembrano andare oltre le tradizionali
divisioni tra laicità e confessionalismo e sui quali la prudenza mi
pare necessaria. L'inviolabilità e la sacralità della vita seppure in
modo confuso costituiscono ancora principi largamente condivisi. Si
potesse costruire su queste basi una nuova morale pubblica.. E' mia
convinzione che il dominio dell'uomo sulla natura debba avere un
limite. Le posizioni che esaltano l'assoluta libertà di sperimentazione
scientifica, anche a prescindere da qualsiasi vincolo
morale che una società si è dato, sono incomprensibili e
insostenibili per moltissime persone. 'idea di avere a portata di mano
il figlio quando e come lo si vuole e la cura per ogni tipo di malattia
è il sintomo del rifiuto di accettare i propri limiti e la propria
condizione umana. L'infelicità e la sofferenza che nessuno è tenuto a
subire non sono solo il prodotto della natura, ma anche
degli egoismi dell'uomo (guerre, distruzione, violenze, genocidi etc).
Altri problemi di frontiera sono quelli dell'eutanasia e del
mantenimento in vita delle persone in stato vegetativo con
l'alimentazione artificiale. Sono problemi che sollecitano una
profonda riflessione sul senso della vita e della nostra
libertà. In questo campo si sono tramandate convinzioni e principi che
in qualche modo vengono ritenuti da alcuni movimenti di opinione
privi di legittimazione e comunque incongruenti con il nuovo modo di
vivere nella nostra società .In questi casi il senso della vita
che si vuole difendere e che si tende in qualsiasi modo ad
esaltare deve fare i conti con la profondità del dolore e della
disperazione delle persone che vi sono implicati. Credo che
non sia per nulla facile dare una risposta per tutti convincente
alla domanda se in alcune situazioni umane valga sempre e
comunque la pena di vivere e di far vivere. Come si
fa a chiamare vita certe forme prolungate di esistenza biologica
,mantenuta solo artificialmente? Che tipo di vita si intende difendere
? Perchè è insensato l'accanimento terapeutico e non l'accanimento
alimentare? Se l'individuo non può essere considerato il padrone della
propria vita perchè può esserlo lo Stato? Mi chiedo anche se
appartenga alla concezione cristiana della vita la ricerca
ossessiva di allontanare la morte in tutti i modi e a tutti i
costi. La vita appartiene ad ogni individuo e non per tutti è un
dono di Dio, indisponibile alle proprie scelte. La vita per tanti non è
obbligatoriamente e necessariamente per gli altri: questo è il dramma
che si sta vivendo. Posso volere la morte piuttosto che la vita e non
tocca agli altri stabilire la soglia di sopportabilità della mia
sofferenza e della mia disperazione. L'uomo è l'unico vivente che può
darsi la morte, che può sfuggire alla necessità della continuazione
della vita, per qualsiasi motivo ritenuto importante. Lo sconfinamento
dei limiti è una tendenza naturale della libertà e la sua più tragica e
smisurata conquista può essere il convincimento della liceità
dell'autodeterminazione del proprio tempo di vita.
Questa autodeterminazione è un gesto di esclusione degli altri da una
vita in cui hanno avuto una parte: parenti, figli, amici etc. Non
ci sono strumenti per combattere questo genere di scelte se non la
persuasione; lo Stato con le sue leggi deve difendere, proteggere
,garantire la vita, ma non può imporla a nessuno, se questi
ha deciso che non ha più senso continuare a viverla. Più che il rigore
delle leggi ci vuole un'infinita umanità, uno smisurato sentimento di
vicinanza e di solidarietà nei confronti di quanti vengono a trovarsi
nelle condizioni di ritenere opportuno fare questo tipo di
scelte. Un principio morale com'è la difesa della vita, variamente
difeso, protetto e giustificato nel passato, viene a scontrarsi
con un forte sentimento di libertà e soprattutto con la crescente
secolarizzazione che ha travolto le concezioni abituali della sacralità
della vita, elaborate dal cristianesimo a difesa della persona contro
ogni forma di arbitrio. Prevale l'opinione dell'irredimibilità
del dolore e delle sofferenze, quale che sia il modo di subirli e
di viverli; ci si rifiuta di pensare che possano avere un valore
salvifico e che si debbano umanamente sopportare.
Si prediligono soluzioni che un tempo non si aveva il coraggio di
pensare e che oggi si tende a rendere possibili. L'accettazione
del limite, dell'ostacolo, della privazione, della costrizione e del
dolore nel passato era per alcuni la premessa per aprirsi a
sentimenti che nobilitano la nostra condizione umana:
compassione, solidarietà, sostegno, conforto, fiducia etc. Di fatto
oggi si tende a rimuovere gli aspetti della vita umana che ci riportano
alla nostra condizione di "mortalità" che ci impediscono di essere
sempre adeguati all'imperativo sociale di essere in forma, di essere
vincenti ,di avere successo. Ma tutto quello che si ritiene
dipendente solo dalla nostra volontà assume rilievo diverso se
per avere compimento deve richiedere la collaborazione degli altri: in
questi casi da fatto individuale la nostra scelta diventa fatto
pubblico, sul quale non può non esserci una regolamentazione... Nel
nuovo clima di libertà che si respira nelle società moderne
è sorta la questione delle nozze gay, problema a mio parere
alquanto diverso per importanza ed urgenza rispetto a quello
della lotta non convenzionali. Nelle società occidentali nel tempo si è
creata con l'avvento del cristianesimo e con la costituzione di società
cristiane una forte e sentita avversione contro l'omosessualità;
atteggiamento che è stato ereditato dall'ebraismo. Uno degli elementi
di differenziazione delle due religioni nella società greco-romana è
stata proprio la severa condanna dell'omosessualità. Questa
tradizione ha avuto un forte consenso, che è stato rafforzato da
regole di discriminazione e di condanna severe e crudeli nei confronti
degli omosessuali. A loro sono state riservate pene dure e
dolorose ,accompagnate da sentimenti di disprezzo e di feroce irrisione
costantemente coltivati e incoraggiati. Ha giocato un ruolo
l'insensibilità nei confronti dei problemi sessuali che ha
caratterizzato da sempre l'etica cristiana, rigidamente procreativa.
Di tempo ne è passato e dall'intolleranza si è arrivati a diverse
forme di accettazione, anche se per evitare i rischi dell'omofobia si
deve pensare e ricorrere ad una legislazione di protezione. E' un
bene che non ci si chieda come un tempo a proposito dell'omosessualità
se si tratta di deviazione, di trasgressione, di una diversa forma di
relazione affettiva; che si sia smesso di scomodare legioni di
sedicenti specialisti per averne le sentenze di comodo
e che si cominci a convivere con questi nuovi fatti di costume.
Mi sia consentito, però, di trovare sgradevoli e irritanti certe
manifestazioni di orgoglio omosessuale, certe esibizioni plateali più
adatte per provocare, piuttosto che per esprimere
liberamente i propri sentimenti; certe forme di confessione che
vogliono essere la prova della personale noncuranza delle tradizioni e
delle consuetudini e che sconfinano nella celebrazione della propria
capacità di trasgressione, nell'esaltazione dell'eccezione sulla
regola. Il tema delle coppie gay viene a inserirsi nel contesto
degli orientamenti di una parte dell'opinione pubblica da molto tempo
all'attacco della credibilità dell'istituzione matrimoniale e
della famiglia, come se tutte le sventure umane e tutti i
problemi sociali derivassero dall'esistenza di questi due
cardini, da tempo immemorabile ritenuti imprescindibili per la tenuta
delle società ("Dal dì che nozze e tribunali ed are /diero alle
umane belve esser pietose...).
La storia e tante storie
personali si possono leggere in altro modo e potrebbero
farci capire a quanti problemi la famiglia ha dato l'unica
soluzione positiva possibile nei momenti più drammatici delle vicende
umane. E' stata un punto di equilibrio, di sicurezza individuale e
sociale, di coesione e di sviluppo umano. Famiglia, quindi uomo e
donna, come da millenni e non semplicemente coppia, comunque venga
costituita. Basta avere esperienza di rapporti con le nuove generazioni
per rendersi conto come la strada che si vuol fare imboccare può
portare solo disagi. Quando ero ancora a scuola, i ragazzi che avevano
più problemi erano quelli che non avevano dietro una famiglia: la loro
infelicità si coglieva a colpo d'occhio, i più discontinui, i più
disordinati, i più malvestiti, i più inquieti, i più insicuri. E questo
il futuro che si vuole per le nuove generazioni?
Raimondo Giunta
|
|