L’Alchimia e l’estrazione delle sostanze vegetali (parte II – Decomposizione e fermentazione alcolica / 2)
Data: Domenica, 30 marzo 2014 ore 08:30:00 CEST Argomento: Redazione
Condizioni favorevoli e ottimali per
la fermentazione alcolica
I lieviti, come tutti gli altri organismi biologici, necessitano
di numerosi elementi nutritivi.
Lo zucchero costituisce per essi il principale alimento.
In generale tutti i liquidi zuccherini ottenuti dai vegetali, hanno
nella loro composizione gli elementi necessari per la moltiplicazione e
la vita dei lieviti.
Però in alcuni casi è necessario creare le condizioni ideali per la
loro vita, regolando ad esempio il pH del mezzo con l’aggiunta di acido
tartarico, con l’incremento della quantità di elementi azotati,
minerali e vitamine.
A tale proposito è anche da segnalare, che un eccesso di alcune
sostanze provoca il blocco dell’attività dei lieviti e nei casi più
estremi la loro morte.
Lo zucchero, in proporzioni superiori al 24 - 28 %, provoca tale
evenienza, come pure il prodotto da loro stessi formato e cioè l’alcol.
La temperatura è un parametro fisico di estrema importanza per l’avvio
e l’andamento della fermentazione.
Infatti le temperature basse o elevate rispetto all’optimum di 20°-
30°C provocano come conseguenza l’arresto della fermentazione. Peraltro
tale evento indesiderato molto spesso è di utilità nella defecazione dei mosti d’uva e nella
vinificazione in bianco, al fine di impedire col freddo l’avvio della
fermentazione, e quindi di ottenere la sedimentazione delle
particelle in sospensione.
In tale caso solo dopo la defecazione, con l’immissione dei lieviti
selezionati e del ripristino delle idonee condizioni di temperatura
(18-22°C), si avvierà la fermentazione.
Con la comparsa dell’alcol nel mosto-vino avviene più facilmente la
dissoluzione nel liquido dei pigmenti colorati, che è tanto maggiore
tanto più lunga risulta la macerazione e ciò entro certi limiti.
Infatti a una macerazione
eccessiva non sempre corrisponde un aumento dell’intensità colorante,
poiché i pigmenti, in tali circostanze, tendono a fissarsi nelle parti
solide del mosto.
Il mosto nel divenire vino subisce una profonda trasformazione della
sua composizione chimica, fisica e gustativa.
Tale trasformazione è il risultato di una serie di fenomeni di natura
biologica e chimica; per cui scompaiono dal mosto alcuni costituenti e
ne compaiono altri del tutto nuovi, mentre molti altri si modificano
rispetto alla loro conformazione originaria.
Questo fenomeno prende il nome di fermentazione alcolica, che si
differenzia in tumultuosa e lenta.
Quella tumultuosa costituisce la prima fase della fermentazione, che
dura circa sette giorni, caratterizzata dall’aumento talvolta
considerevole della temperatura della massa e dal forte sviluppo
dell’anidride carbonica.
La fermentazione lenta rappresenta la successiva fase dove i fenomeni
prima detti acquistano un andamento più regolare, il cui inizio è
collocabile nel momento un po' dopo la svinatura per poi continuare per
circa un mese o più.
La fermentazione è dovuta a particolari microrganismi di natura
vegetale appartenenti ai funghi, precisamente al genere Saccaromyces.
La trasformazione degli zuccheri in alcol, operata dai lieviti, è da
attribuire ad una diastasi detta zimasi
alcolica, che compare a seguito dell’attività respiratoria
di questi miceti. Tale funzione viene svolta dalle cellule giovani e
una piccola quantità di zucchero viene impiegata direttamente per
la loro moltiplicazione.
I Saccaromyces sono presenti
in particolare nella buccia dell’acino e fanno parte della flora
microbica indigena e anche tipica dell’ambiente. La loro forma può
essere ellittica o allungata, si riproducono,in condizioni favorevoli,
per gemmazione allorquando al bordo della cellula madre si forma un
rigonfiamento che ingrossandosi si distacca e dà origine ad una nuova
cellula.
In condizioni sfavorevoli il lievito si riproduce per spora, una sorta
di sacco contenente molte cellule; la spora grazie al rivestimento
particolare è in grado di sopravvivere in condizioni ambientali estreme
e sotto tale forma si riscontra nel terreno dei vigneti.
Comunque pur quando è normale che tale processo si attivi e si svolga
con la sola presenza dei lieviti presenti nell’uva, costituisce una
buona norma enologica l’aggiungere al mosto i lieviti
selezionati, al fine di aiutare la natura a far meglio il suo compito.
Per la fermentazione il mosto viene immesso nei recipienti adatti:
tini, botti-tini, vasche in acciaio e in cemento, che sempre di più,
attualmente, vengono rivestiti con resine epossidiche le quali
garantiscono una perfetta igiene e sono esenti, dal cedere sostanze
nocive al mosto o al vino.
I recipienti si riempiono col mosto in modo da occupare circa i
4/5 del volume.
Infatti non si esegue un riempimento completo in modo da favorire
l’ingresso dell’aria, e con essa dell’ossigeno in modo da facilitare la
moltiplicazione e l’azione dei lieviti.
In condizioni favorevoli entro poche ore si avvia la fermentazione, la
quale si manifesta con la comparsa alla superficie del mosto delle
vinacce sospinte dalle bolle di anidride carbonica che via via si
formano nel liquido.
Avviene anche un innalzamento della temperatura di 10°-15°C, poiché la
reazione con cui viene formato l’alcol e l’anidride carbonica partendo
dallo zucchero è di tipo esotermico.
Al gusto si appalesano le modificazioni,che avvengono durante la
fermentazione;infatti il gusto dolce del mosto man mano scompare,
mentre nuovi profumi, derivati dalla costituzione di eteri e dalla
presenza dell’alcol, vengono emanati, l’acidità totale diminuisce
poiché a spese dell’acido tartarico si forma il bitartrato di potassio,
il quale in presenza dell’alcol precipita.
Ed ancora, osservando al microscopio un po' di liquido sono
visibili numerosissimi microrganismi, in predominanza lieviti.
Le esperienze acquisite nel campo dell’enologia insieme ai vari studi,
dimostrano che una regolare fermentazione avviene allorquando si
instaurano nel mosto le seguenti condizioni:
a) una temperatura di almeno 15°-18°C, che con il processo
esotermico della fermentazione arriva anche a temperature fra i 24 e i
30°C.
Pertanto considerando l’optimum di 20°C è bene condizionare il
mosto per mantenerlo a questa temperatura;
b) una adeguata presenza di sostanze nutritive e di elementi minerali,
vitamine, necessari per lo sviluppo e la vita dei lieviti;
c) una gradazione zuccherina non elevata; infatti la fermentazione
avviene bene quando gli zuccheri sono dal 15 al 20 %. Allorché la
concentrazione zuccherina risulta elevata è bene, nella produzione di
vini secchi, ricorrere alla inseminazione del mosto con il lievito Saccaromyces r.f.bayanus (r.f.: razza
fisiologica), capace di svilupparsi e di essere attivo in queste
condizioni;
d) una buona aerazione del mosto, al fine di impedire la
moltiplicazione dei microrganismi anaerobi, che provocano
malattie, e di favorire la moltiplicazione dei Saccaromyces; altresì
l’ossigenazione spinta del mosto, prima della fermentazione, dà luogo a
dei vini più stabili nel colore e meno influenzabili dall’ossidazione
durante il periodo della conservazione; in tale contesto
l’ossigenazione del mosto, prima della fermentazione, con la tecnica
della iperossigenazione e
senza o con ridotto impiego dell’SO2, è da considerarsi positiva, in
quanto determina la polimerizzazione delle sostanze fenoliche con la
costituzione di composti tanno-proteici, che così si riducono nel
prodotto finito con i vantaggi intuibili, soprattutto nell’elaborazione
dei vini bianchi; l’iperossigenazione dei mosti può essere realizzata
insieme alla flottazione;
e) una luce diffusa, perché quella diretta ostacola la vita dei lieviti;
f) una acidità totale non inferiore ai 5-6 g/l, in quanto
l’ambiente acido favorisce da un lato i lieviti mentre dall’altro
ostacola i microbi patogeni. L’aggiunta di acido tartarico,
considerando i limiti sopra indicati e della diminuzione naturale
dell’acidità ( 2 a 3-4 g/l) col formarsi dell’alcol e della conseguente
precipitazione di bitartrato di potassio, alle dosi di 50-100-200 g/hl,
a seconda del titolo dell’acidità totale, costituisce una valida
pratica enologica;
g) un contenuto di alcol non eccessivo, perché come l’anidride
carbonica, è una sostanza non favorevole ai lieviti quando raggiunge
determinati livelli; infatti già alla proporzione del 7-8 % svolge
un’azione inibitrice dell’attività dei lieviti, mentre col 12 % d’alcol
la stessa viene bloccata, ad eccezione che in alcuni tipi di lievito.
Inoltre con la formazione dell’alcol la fermentazione dimostra un
andamento sempre più lento, che continua dopo la svinatura e tale
stadio si individua come fermentazione lenta.
Quindi per favorire una regolare fermentazione si opera in modo da
determinare, prima della fermentazione, una buona aerazione del mosto
anche per facilitare la moltiplicazione dei lieviti.
Le pratiche delle follature, eseguite con un apposito attrezzo, che
prevedono la rottura del cappello delle vinacce sormontanti il mosto,
provocano l’aerazione e impediscono alle vinacce di acetire a seguito
dello sviluppo dei microrganismi aerobi acetici.
Il rimontaggio, eseguito spillando il mosto dalla valvola inferiore
della vasca con una pompa per immetterlo, con il ricircolo di 1-3 o 1-4
del suo volume complessivo, al di sopra del cappello è anch’esso un
ottimo sistema per aerare il mosto; però è consigliabile eseguirlo con
una certa regolarità e solo nelle prime fasi della fermentazione, in
numero massimo di 2-3 volte in quanto l’aerazione non deve essere
eccessiva, perché in questo caso gli effetti che si determinano
consistono in una diminuzione dell’alcol, nel raffreddamento del mosto,
nel rallentamento della fermentazione e nell’ossidazione delle materie
coloranti e dell’etanolo.
L’impiego del tino “anfora”
favorisce sia l’aerazione del mosto e sia la dissoluzione dei pigmenti
coloranti, senza la formazione del cappello galleggiante.
Per quanto riguarda i lieviti sono da evidenziare le fasi della
respirazione aerobica e di quella anaerobica. In quella aerobica i
prodotti derivati dalla combustione dello zucchero, per ogni molecola
unita a 6 molecole di ossigeno, sono: 6 molecole di CO2
e 6 H2O, con rilascio di calorie.
Nella respirazione anaerobica, ovvero in assenza di ossigeno, la
molecola di zucchero reagisce con 2 molecole di anidride carbonica,
formando 2 molecole di alcool etilico più calorie.
Da quanto esposto è evidente,
che un’adeguata aerazione è necessaria prima della fermentazione,
e in alcuni casi nel corso della stessa, per favorire la
moltiplicazione dei lieviti. L’aerazione, invece, non è più necessaria
successivamente dove è preferibile determinare delle condizioni
anaerobiche non rigorose al fine di facilitare la fermentazione che è
anaerobica e la conseguente formazione dell’alcol. Queste condizioni si
realizzano, ad esempio, collocando sopra la vasca dove è stato immesso
il mosto, un coperchio provvisto di foro o, nel caso di utilizzo di
serbatoi in acciaio inox, col socchiudere il coperchio, in modo
da consentire la permanenza della CO2
all’interno del recipiente e permettere allo stesso tempo, la
fuoriuscita della quantità esuberante di gas che si forma durante la
fermentazione.
L’anidride carbonica che
residua e permane all’interno del recipiente, protegge il mosto-vino
dall’aria essendo un gas molto più pesante e impedisce l’ossidazione e
lo sviluppo dei microbi nocivi e quindi l’acetimento.
L’immissione nel mosto dei lieviti selezionati, scelti in base alla
gradazione zuccherina e quindi in relazione al futuro grado alcolico
del vino,viene attuata almeno 2 ore dopo la solforazione.
L’anidride solforosa, aggiunta al mosto durante la fermentazione e alle
dosi comunemente adottate, svolge un’azione selettiva in quanto elimina
dalla flora microbica i lieviti dannosi, mentre lascia indenni i Saccaromyces svolgendo così
un’utile selezione.
Le dosi usuali di SO2 impiegate variano
da un minimo di 5 g/hl, sino a 20-25 g/hl nel caso di uve non
sane.
Sulla modalità della fermentazione a cappello sommerso ed emerso sono
stati compiuti numerosi studi e il primo a sollevare tale problema è
stato il Pollacci, che eseguendo una piccola prova si convinse che il
miglior sistema di vinificazione era quello a cappello sommerso, ovvero
con le vinacce non emergenti alla superficie libera del mosto, bensì
tenute sommerse mediante un fondo bucherellato a circa 2/3 dell’altezza
del recipiente.
Però altri studiosi considerarono il problema in modo differente, non
riscontrando con tale sistema i vantaggi indicati dal Pollacci.
Quindi il sistema con le vinacce emerse o a cappello emerso, insieme a
numerose follature e a qualche rimontaggio sembra essere il metodo più
razionale per condurre la fermentazione classica in rosso, dalla quale
si ottengono dei vini più saporiti, più serbevoli e più
colorati.
Per quanto riguarda la temperatura è consigliabile controllarla e
mantenerla, per la vinificazione in bianco intorno ai 18°- 20° C, e a
circa 23° C per quella in rosso.
Pertanto la temperatura ambientale dovuta al clima particolare della
zona è un elemento condizionante.
Molto spesso nei climi freddi, a causa delle basse temperature, succede
l’arresto della fermentazione, per la cui ripresa non rimane che
riscaldare la cantina o il recipiente contenente il mosto.
Nei climi caldi invece i problemi sono peggiori, perché può succedere
che un eccessivo riscaldamento del mosto sino a delle punte estreme
provochi, nel caso si superino i 30°-40°C, il blocco dell’azione dei
lieviti e la predisposizione alla fermentazione mannitica per lo
sviluppo, in tali condizioni, di microrganismi patogeni.
Infatti a temperature superiori ai 30°C, i lieviti mostrano delle
difficoltà e rallentano il loro metabolismo, lasciando spazio
d’attività ai batteri e in particolare a quelli lattici, i quali si
distinguono in omofermentanti
che trasformano gli zuccheri in acido piruvico e in etero
fermentanti che provocano dopo alcune trasformazioni, la
produzione di acido lattico e di acido acetico(agrodolce).
L’acido citrico, la glicerina e l’acido tartarico possono essere
degradati pure da tali batteri.
In queste condizioni quindi è meglio refrigerare il mosto, sia facendo
scorrere all’esterno dei serbatoi dell’acqua corrente, con dei
rimontaggi o, quando la cantina è provvista degli idonei impianti,
termocondizionarlo alla temperatura adatta.
Le sostanze che favoriscono la fermentazione sono il fosfato ammonico,
usato in dose non superiore ai 30 g/hl, che fornisce le sostanze
nutritive azotate utili alla vita dei lieviti o il solfato ammonico,
che si usa nel caso si tema per la vinificazione l’instaurarsi della
casse fosfato-ferrica o bianca, agevolata per l’appunto dai sali
fosfatici.
La tiamina o vitamina B1 è utile impiegarla nel mosto alle dosi di
50-60 mg/hl, anche al fine di ridurre le dosi di SO2,
in quanto l’SO2 è più attiva in presenza
di tale vitamina, perché essa provoca una riduzione dei chetoacidi
originatisi dal metabolismo fermentativo e respiratorio del lievito;
inoltre secondo alcuni studi, l’aggiunta di tiamina realizza un minore
contenuto di acetaldeide, di idrogeno solforato ed abbrevia il periodo
della fine fermentazione.
Gli studi del Pasteur dimostrarono che la fermentazione è un fenomeno
dovuto all’azione di microrganismi denominati lieviti, appartenenti ai
miceti e precisamente al genere Saccaromyces,
di cui si utilizzano in enologia le seguenti razze fisiologiche: r.f. cerevisiae, r.f. bayanus, r.f.uvarum,
e i loro diversi stipiti.
I lieviti in natura sono presenti nel particolare ambiente dove vive la
vite, sia sulle parti vegetative che nel terreno.
Attualmente per l’attivazione della fermentazione, affidarsi alla sola
flora microbica naturale è limitativo, perché i fitofarmaci e
l’inquinamento possono ridurla o favorire i lieviti non desiderati,
ovvero i lieviti che producono elevate quantità di acido acetico.
I lieviti maggiormente impiegati e prodotti dall’industria, sono
il S.cerevisiae var.Ellipsoideus e
il S.cerevisiae r.f. bayanus, denominato anche oviformis.
Le loro peculiarità sono: quelle di moltiplicarsi facilmente in
presenza di dosi moderate di SO2 e di
alcol, di non produrre l’SO2 e l’acido
acetico, di resistere ai pH bassi, di convertire in modo lento lo
zucchero in alcol etilico e CO2, con
produzione media di acetaldeide, acido piruvico, glicerina, acido
alfa-chetoglutarico.
Altresì i lieviti, dopo la fermentazione, devono facilmente aggrumarsi
e depositarsi con le fecce al fondo del recipiente.
Il S. ellipsoideus viene impiegato in mosti non eccessivamente
zuccherini, mentre la r.f. bayanus risulta più conveniente usarlo in
mosti molto zuccherini, in cui si intende trasformare tutto lo zucchero
in alcol nella produzione dei vini secchi.
Terminate tali fasi si procede ai travasi, in media 2-3 nell’anno, con
filtrazioni o meno, chiarificazioni o meno, aggiunte di modiche
quantità di SO2, per separare il vino o
il liquido alcolico dai residui o fecce, per assicurarne la pulizia e
impedire le fermentazioni anomale.
Alla conclusione della fermentazione e del processo di lavorazione, il
vino o il liquido alcolico ottenuto si sottopone alla distillazione, da
cui si trae la corrispondente acquavite.
Marcello Castroreale
mcastroreale@alice.it
Apparecchio del 1890 (Warein fils e Defrance) per la cottura,
macerazione e saccarificazione (trasformazione degli amidi in
monosaccaridi fermentescibili) dei cereali e l’ottenimento di alcol. Le
parti costituenti sono: (A) Caldaia, (B) Trituratore, (C)
Contenitore per la preparazione del latte di malto, (D) Maceratore. Dai
cereali trattati con la saccarificazione si ottiene un mosto zuccherino
composto da monosaccaridi fermentescibili, che mediante i lieviti
e il processo fermentativo è trasformato in liquido alcolico da
cui con la distillazione si ricava l’alcol.
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