L’Alchimia e l’estrazione delle sostanze vegetali (parte II – Decomposizione e fermentazione alcolica / 1)
Data: Domenica, 30 marzo 2014 ore 08:15:00 CEST
Argomento: Redazione


Le piante con la fotosintesi clorofilliana solidificano la luce del Sole in zucchero, trasfigurandola poi in varie molecole che si combinano tra loro per originare ogni struttura e funzione in ogni tessuto, organo, sino a comporre così l’intero organismo.
Tali sostanze e molecole sono mantenute dalle due forze complementari che gli Egizi chiamavano ordine (Horus) e caos (Set); quindi l’armonia è alla base della stabilità di ogni organismo e sistema.
Difatti la stabilità del tessuto, dell’organo, dell’organismo o del sistema viene persa allorquando il metabolismo non è più in equilibrio, e quando una parte complementare comincia a prevalere sull’altra in modo significativo e sempre più permanentemente.
Tuttavia la vita è un fenomeno ciclico ed integrale e pertanto quando l’organismo, per varie cause, non riesce più a mantenere l’equilibrio in ogni struttura e funzione subentra la decomposizione, da cui si ha il passaggio o la trasfigurazione ad una struttura e funzione diverse, che sono pur sempre permeate dalla vita e che assicura allo stesso tempo il riciclo delle sostanze e delle molecole costituenti.
È incredibile ed è allo stesso tempo strabiliante come ogni stadio del ciclo di qualsiasi organismo e di qualsiasi cosa, il cui inizio è nella condensazione e solidificazione della Luce date dalla fotosintesi clorofilliana, sino alla decomposizione e alla definitiva trasfigurazione in Luce, sia in se stesso perfetto e privo d’imperfezioni.
In più se consideriamo che ogni elemento componente non viene perso né distrutto, nel trapasso da un processo all’altro e nelle varie trasfigurazioni della sostanza, dobbiamo concludere che l’immortalità è una realtà evidente ed incontrovertibile e che la vita è invitta e perenne.
Gli Alchimisti riguardo lo stadio iniziale del processo di trasformazione alchemica della decomposizione, usavano indifferentemente le parole di incubazione e di putrefazione.
Il confine tra i due termini e tra i due processi è abbastanza sottile, perché si intrecciano e confluiscono l’uno nell’altro.
Per comprendere possiamo dire che l’incubazione è correlata al tempo ed alla temperatura con dissoluzione dei componenti per reimpiegarli in una nuova e diversa costruzione della stessa cosa, mentre la putrefazione è riferita alla disgregazione completa e minuta degli elementi dell’organismo che accadono dopo la sua morte, e che sono utilizzabili per comporre un nuovo e diverso organismo, o dare vita a una nuova e diversa trasfigurazione priva però di connessioni con lo stato e la condizione precedenti.
Un uovo marcio ha subito la morte, cioè una dissoluzione nei più minuti componenti utilizzabili da altri, ma quello in incubazione ha subito una trasfigurazione da una forma ad un’altra della stessa cosa, conservando ed usando gli stessi elementi grossolani precedenti.
Un seme nella germinazione manifesta una decomposizione o putrefazione simile, con la preliminare dissoluzione degli elementi costituenti in una massa informe, ma che però e successivamente sono usati per trasformare la stessa cosa in un insieme vivente straordinario e diverso in crescita.

L’opera alchemica di trasfigurazione dell’uomo, da mortale ad immortale, è associata ai tre colori nero, bianco e rosso, infatti, contempla la fase Nigredo o Opera al Nero in cui la materia si dissolve, putrefacendosi, volendo significare che lo stato e la condizione precedenti sono demoliti e, nel prosieguo degli stadi successivi, ricomposti nella perfezione e in una nuova e diversa forma.
In altre parole il cuore, la mente e il corpo costruiti sulle convinzioni come il pensiero negativo e che tutto vada contro di noi, la divisione, la morte, la fine, il limite, l’imperfezione devono essere trasmutati e quindi demoliti in ogni loro parte e successivamente purificati e sublimati con l’Albedo o l’Opera al Bianco, per giungere alfine al Rubedo o Opera al Rosso e cioè alla loro ricomposizione perfetta, intrisa dall’Amore, dall’immensità, dall’infinità, dall’unità e dalla completezza ovvero dall’immortalità e dall’Anima.
In termini chimici e biologici la decomposizione può essere interessata da processi di diverso tipo: a) la respirazione aerobica, in cui l’ossidante è l’ossigeno gassoso:
Sostanza organica + O2 -> CO2 + H2O + Energia;
b) la respirazione anaerobica, in cui l’ossidante è una sostanza organica diversa dall’ossigeno: Sostanza organica + SO4 -> CO2 + H2S + Energia;
c) la fermentazione classica anaerobica, in cui l’ossidante è una sostanza organica:
C6H12O6 (glucide) - glicolisi -> CH3-CO-COOH (acido piruvico) - fermentazione -> CH3-CH2OH, cioè l’alcol etilico o, secondo il tipo di fermentazione, anche CH3-COOH-COOH, cioè l’acido lattico -;
altre fermentazioni sono: l’acetica, l’acetonbutilica, la citrica, la propionica (CH3-CH2-COOH).
d) la putrefazione che è la separazione di tutti gli elementi componenti l’organismo soprattutto proteine, provocato da germi aerobici ed anaerobi e da enzimi autolitici, cioè presenti all’interno stesso delle cellule in decomposizione.
Nella fermentazione la molecola chiave, partendo dal substrato del glucosio, è l’acido piruvico che in condizioni di anaerobiosi da vari microrganismi è trasformato in alcol etilico, acido lattico, acido butirrico, propionico, ecc..
La fermentazione aerobica si ha in presenza di ossigeno e in questo caso l’acido piruvico è ossidato in CO2 e H2O.
La fermentazione alcolica è un processo anaerobico che conta 11 stadi intermedi, ognuno regolato con uno specifico enzima e si ha nei mosti ricavati dalla spremitura di frutta (uva, fichi, carrube, mele, datteri, arance, fragole, ecc.) o per infusione in acqua o da liquidi zuccherini derivati dalla lavorazione della barbabietola e dalla canna da zucchero.


L’ ammostamento e la pigiatura dei frutti
Le Angiosperme sono il gruppo di piante con ovario che producono i frutti, da cui si estrae, in generale, un liquido zuccherino chiamato mosto.
Liquidi zuccherini fermentescibili o mosti si ricavano da numerose specie vegetali, anche dall’incisione della corteccia o di altre parti della pianta.
L’uva contiene zucchero per circa 150 - 240 g/l; alcuni frutti come le mele, le pere hanno un contenuto più o meno analogo, mentre altri inferiore.
Il liquido contenente gli zuccheri si ottiene con la pigiatura o spremitura dei frutti.
Essa è l’operazione mediante la quale si ha la rottura, nel caso della vite, del sarcocarpio della bacca dell’uva e la conseguente fuoriuscita del liquido zuccherino o mosto.

In linea generale il processo di ammostamento riguarda l’estrazione del liquido zuccherino contenuto nell’uva e in altri frutti, che dopo la fermentazione si trasformano in bevande alcoliche conosciute con nomi specifici, in riferimento alla loro origine.
Difatti i dispositivi impiegati per ottenere il mosto dall’uva sono impiegabili, con gli opportuni adattamenti, per gli altri tipi di frutti e in particolare il torchio.
Per un buon risultato, in riferimento all’uva, è necessario:
a) non frantumare i graspi;
b) non rompere i vinaccioli al fine di impedire il passaggio nel mosto delle materie grasse in essi contenute.


Le attrezzature per l’ammostamento
Le macchine per la pigiatura dell’uva possono distinguersi in pigiatrici semplici, pigiadiraspatrici e diraspapigiatrici.
Tali macchine con gli opportuni adattamenti, sono impiegabili per estrarre il liquido zuccherino da altri tipi di frutti.
La prima macchina di questo genere risale al 1824 e fu realizzata dal Lomeni e funzionava con due cilindri in legno scanalati in senso longitudinale.
Da questa prima macchina si è giunti a macchine più sofisticate pur rimanendo immutato il principio di funzionamento.
Le pigiatrici semplici sono costituite da due rulli scanalati ruotanti in senso opposto l’uno dall’altro. Lo spazio tra questi due rulli è regolabile e si consiglia in genere di non avvicinarli eccessivamente, anche al fine di non sovraccaricare il lavoro della macchina.
Con queste macchine non si ha la diraspatura cioè l’eliminazione dei raspi e dei vinaccioli, quindi è evidente come la qualità del prodotto che si ottiene non sia elevata.
La pigiadiraspatrice ha portato ad un progresso nell’arte della vinificazione, perché con tali macchine si eliminano i raspi e non si schiacciano in modo sensibile i vinaccioli.
Con la pigiadiraspatrice viene compiuta prima della diraspatura, pertanto un certo quantitativo di sostanze tanniche, anche modesto, passa nel pigiato, però tale piccolo inconveniente è superato da una maggiore velocità di funzionamento e dalla maggiore convenienza economica.
La diraspapigiatrice che si dimostra un po' più lenta rispetto alla precedente, effettua l’eliminazione dei raspi prima della pigiatura ed è il risultato di un’evoluzione che tende ad ottenere vini più armonici e delicati, rappresentando, nel nostro tempo, una macchina sempre più usata nella produzione di una buona parte dei vini.
Altre macchine per l’ammostamento e per la vinificazione in bianco e per l’estrazione del liquido zuccherino da altri frutti è la sgrondopressa, che attua il suo funzionamento, nei modelli più semplici, mediante due dischi che scorrono l’uno di fronte all’altro lungo una vite all’interno di una gabbia; tali dischi allontanandosi permettono il caricamento nella gabbia dell’uva intera o del pigiato, mentre avvicinandosi compiono la spremitura dell’uva o dei frutti con la fuoriuscita del mosto, che colando in una sottostante vasca è poi convogliato tramite la pompa nel recipiente per la vinificazione.
Mediante tali macchine è possibile programmare a piacimento la forza della pressatura e i cicli di pressatura, che comunque è bene non superino il numero di tre.
Quando si riempie la sgrondopressa con l’uva intera, anziché col pigiato, i raspi svolgono un’utile funzione divenendo una sorta di setaccio filtrante, e allorché si eseguono delle lievi pressature si verifica fra l’altro solo una modesta cessione delle sostanze tanniche al mosto.
In relazione alla vinificazione in bianco in assenza di vinacce è usato lo sgrondatore, che permette di separare le vinacce dal mosto. Tale macchina riceve dalla pigiadiraspatrice o dalla diraspapigiatrice il mosto con gli acini frantumati, quindi dalla parte alta, dopo il passaggio dal buratto, espelle le vinacce esauste grazie ad un dispositivo elicoidale montato all’interno dello stesso, mentre dalla parte bassa e per mezzo di una pompa provvede all’invio del mosto privo delle vinacce nel recipiente per la fermentazione.
Lo sgrondatore, nel modello più semplice, ha la forma di un cilindro inclinato di circa 45°.
I torchi sono di tipo a funzionamento discontinuo o continuo ed hanno il compito di estrarre il liquido rimasto nelle vinacce.
La torchiatura nella vinificazione in rosso avviene subito dopo la svinatura, mentre in quella in bianco si compie dopo la sgrondatura
I torchi a funzionamento discontinuo sono costituiti da una gabbia che riceve le vinacce e in cui avviene grazie ad un disco che si avvita ad un perno centrale la compressione delle stesse, in modo da provocare la fuoriuscita del mosto residuo.
Il funzionamento, a seconda dei modelli, è sia manuale che con l’aiuto di un motore elettrico, mentre quelli pneumatici funzionano grazie alle forze idrauliche che agiscono su un apposito pistone.
Tali apparecchiature necessitano, per un nuovo carico, dello svuotamento della massa esausta e del caricamento di quella nuova con l’interruzione quindi della operazione.
I torchi a funzionamento continuo invece non necessitano della interruzione, perché il caricamento avviene man mano che fuoriescono dalla parte opposta le vinacce esauste.
Il funzionamento dell’apparecchio è assicurato da un asse a elica ruotante all’interno di un cilindro forato; le spire dell’elica sono più piccole verso l’uscita delle vinacce, e ciò non fa altro che aumentare la pressione esercitata con la conseguente fuoriuscita del liquido residuo dalle vinacce.

La fermentazione alcolica dei liquidi zuccherini
La fermentazione alcolica non è un fenomeno puramente chimico, ma piuttosto è di tipo biologico- chimico - fisiologico, nel quale si vedono coinvolti in qualità di protagonisti del processo dei particolari microrganismi: i lieviti.
I lieviti normalmente usati in vinificazione, ad eccezione di alcuni tipi particolari che riescono a convertire pure i disaccaridi e i trisaccaridi in alcool trasformano solo lo zucchero invertito, cioè solo i monosaccaridi, e lo zucchero si denomina invertito poiché devia la luce polarizzata a sinistra, anziché a destra come di norma fa il saccarosio (glucide derivato dall’unione del glucosio con il fruttosio).
Quindi gli zuccheri composti per fermentare devono essere dapprima scissi nei loro semplici costituenti.
Ebbene, per mezzo della fermentazione alcolica da 100 g di zuccheri si ottengono circa il 51,34 % d’alcool e il 48,66 % di anidride carbonica.
Pertanto per ottenere il futuro grado alcolico del liquido zuccherino è sufficiente moltiplicare la gradazione zuccherina per 0.6.
La prima conoscenza dei lieviti è avvenuta con l’invenzione del microscopio ad opera dello studioso Leuvenhoeck nel 1680.
Successivamente si deve a Lavoiser il primo contributo determinante sulla comprensione della fermentazione.
Altri ricercatori, dopo di lui, sono giunti a teorizzare in modo completo sul fenomeno della fermentazione alcolica.
I lieviti esigono una certa quantità di azoto e di elementi minerali, di vitamine e della presenza di ossigeno per moltiplicarsi.
La trasformazione da essi compiuta, dello zucchero in alcol e anidride carbonica, non è integrale attuandosi nella proporzione del 94-95 %, la rimanente parte viene trasformata in:
acido succinico (0.7 %), glicerina (3-5 %), acidi volatili e materie grasse, oltre che in altri composti.
L’acido succinico e la glicerina, costituiscono dei prodotti normali e sempre presenti nella fermentazione alcolica.
Insieme alla fermentazione si svolge pure la macerazione delle vinacce o dei frutti, in cui si ha la dissoluzione nel mosto delle sostanze coloranti della buccia e che di solito termina dopo 3-5 giorni, con la svinatura mediante la quale si separano le parti solide da quelle liquide.
Oltre alla fermentazione alcolica, in particolari condizioni, nel mosto possono verificarsi altre simultanee fermentazioni come la glicero – piruvica che conduce alla sintesi della glicerina, e meno favorevoli, come la malo alcolica e malo lattica ed altre non desiderate come l’acetica che forma l’acido acetico (CH3-COOH) e pregiudica la buona riuscita della vinificazione.
I lieviti Saccoromyces cerevisiae M., appartenenti agli Ascomiceti, nelle diverse fasi del loro ciclo vitale e che operano la fermentazione dei liquidi zuccherini con la conversione dello zucchero in alcol.
I lieviti Saccoromyces cerevisiae M., appartenenti agli Ascomiceti, nelle diverse fasi del loro ciclo vitale e che operano la fermentazione dei liquidi zuccherini con la conversione dello zucchero in alcol. Da Steiner, Chimiste-Distillateur, 1890, Traité pratique de la fabrication des Eaux-De-Vie par la distillation, Paris, Garnier frères, Libraires – Editeurs

In particolari condizioni si possono avere delle fermentazioni diverse da quella alcolica,compiute da speciali microrganismi che attivano la fermentazione lattica,la propionica e altre.
Dalla fermentazione alcolica degli zuccheri presenti in varie sostanze naturali, si ottengono con la distillazione dei liquidi alcolici, le acquaviti.
Nella fermentazione alcolica il glucosio e il fruttosio sono prima degradati secondo lo schema della glicolisi, con formazione di due molecole di acido piruvico e liberazione della relativa energia. L’acido piruvico , in anaerobiosi, non può entrare nel ciclo di Krebs o Krebbs ed è ridotto ad alcol etilico:

CH3-CO-COOH (acido piruvico) -> CO2 + CH3-CHO (aldeide acetica) + NADH+H+ -> NAD+ + CH3-CH2OH (alcol etilico)

La gradazione alcolica delle acqueviti è, in generale, compresa dai 38° ai 75-80° Trl.
Le acquaviti, a seconda il tipo di materia prima impiegata, hanno sempre un gusto e un odore caratteristico conferiti dagli alcoli superiori e da altre sostanze di tipo etereo e ciò li contraddistingue dall’alcol ad alta gradazione nel quale, grazie al tipo di distillazione e dei particolari apparecchi impiegati, tali sostanze sono in quantità molto piccole o assenti.
Le sostanze contenenti zuccheri fermentescibili, sono diffusissimi in natura, come ad esempio: lo zucchero di canna, di barbabietola, la melassa, i cereali e le patate.
Gli zuccheri monosaccaridi, si trovano nei succhi di frutta ottenuti dall’uva, dalle ciliegie, dalle mele e pere, dai datteri, dai lamponi e da altra frutta.
Gli amidi, che vengono sottoposti alla fermentazione solo dopo l’ottenimento degli zuccheri semplici costituenti, derivano dalla patata, dai cereali, da vari tuberi come quelli ricavati dal topinambur e dall’asfodelo.
La cellulosa è anche utilizzabile per ricavare l’alcool e le acquaviti, solo dopo la segmentazione della sua struttura in modo da ottenere zuccheri semplici; il cotone e numerosi altri vegetali ne forniscono in quantità.
Il miele è impiegato per ottenere bevande alcoliche, tra le quali la più famosa e conosciuta è l’idromele.
La fermentazione del miele avviene dopo la sua diluizione con acqua a percentuali note.
Le acquaviti prodotte partendo da queste molteplici sostanze portano pur sempre l’impronta della loro origine, manifestando un gusto particolare.
Pertanto, a seconda dei casi, possiamo distinguere le acquaviti in: brandy, gin, rhum, whisky, arak ed altre.
Le acquaviti una volta ottenute si riducono al grado alcolico desiderato per mezzo dell’aggiunta di acqua distillata.
Le acquaviti, a conclusione del ciclo di lavorazione, si addolciscono mediante l’addizione di uno sciroppo zuccherino a 36° Bé in proporzione dell’1,5% - 2% e sino ad un massimo del 5%.
Inoltre esse si sottopongono al collaggio con le stesse modalità, sostanze e dosi usate per i vini, alla filtrazione e al riscaldamento sino a 70°-75° C al fine di fondere armoniosamente i vari componenti.
L’aggiunta del caramello alle acquaviti conferisce alle stesse la tipica colorazione giallastra.
L’acquavite si lascia all’ invecchiamento naturale in botti di legno.
Infatti il distillato invecchiato naturalmente in botti di rovere acquista col tempo particolare pregio e finezza.
L’invecchiamento artificiale dell’acquavite è possibile con l’insufflazione di ozono nella stessa.

Gli zuccheri da cui, dopo la fermentazione alcolica, si ottengono le acquaviti si distinguono in:
-direttamente fermentescibili, quali : il glucosio, il fruttosio e il maltosio o zucchero di malto.
-non direttamente fermentescibili ma che però lo diventano con l’inversione, quali: il saccarosio e il lattosio, che sotto l’azione di acidi o di enzimi (invertasi), si scindono nei semplici zuccheri costituenti direttamente fermentescibili.
Altri idrati di carbonio non direttamente fermentescibili ma che lo diventano se vengono sottoposti all’azione degli acidi diluiti o della distasi, quali: l’amido, la destrina (derivata dalla saccarificazione dell’amido che diviene direttamente fermentescibile grazie all’enzima prodotto dal lievito di fermentazione o agli acidi diluiti), cellulosa (che in acidi diluiti e in ebollizione si scinde negli zuccheri costituenti e fermentescibili), inulina e lichenina (sostanze simili all’amido, che sottoposte all’ebollizione in soluzione acida si scindono in zuccheri direttamente fermentescibili).
Gli zuccheri direttamente fermentescibili non hanno bisogno di essere trattati in qualche modo prima della fermentazione, poiché la stessa avviene prontamente essendo i lieviti capaci di utilizzarli e di trasformarli in alcool.
Invece gli zuccheri non direttamente fermentescibili necessitano di essere sottoposti all’inversione e, come nel caso degli amidi e della cellulosa,alla saccarificazione prima della fermentazione.
L’inversione del saccarosio avviene sia naturalmente con l’invertasi contenuta nei lieviti e nel succo d’uva e sia per mezzi artificiali attraverso l’acidificazione e la concomitante elevazione della temperatura del mezzo; la saccarificazione viene compiuta col processo agli enzimi o col processo agli acidi diluiti o, ancora, col processo ai ‘Mucor’, attraverso i quali si ottiene la trasformazione degli amidi in zuccheri fermentescibili.
La saccarificazione consiste nella scomposizione dei glucidi condensati in lunghe catene in glucidi semplici o monosaccaridi e quindi nell’ottenere gli zuccheri fermentescibili dalle sostanze amidacee.
Essa si realizza in vari modi e mediante l’impiego di diversi enzimi raggruppati con la denominazione generica di diastasi, divisi secondo la reazione che determinano in:

-Amilasi o diastasi, che trasforma l’amido in maltosio e destrina ed è contenuta nel malto.
-Maltasi, che trasforma il maltosio in glucosio ed è contenuta nel malto e sia nei Saccaromyces cerevisiae.
-Zimasi, che produce la fermentazione alcolica del glucosio ed è contenuta nel lievito e nei fermenti alcolici.
-Lattasi, che scinde il lattosio in glucosio e galattosio.
-Invertasi, che scinde il saccarosio in glucosio e fruttosio ed è prodotta dai lieviti.
La diastasi o amilasi contenuta nel malto ottenuto a seguito della germogliazione dell’orzo e col relativo trattamento successivo, costituisce l’enzima impiegato per la scissione dell’amido in zuccheri fermentescibili e cioè in maltosio e in destrina.
L’amido a tale scopo deve essere dapprima ridotto in mosto, poiché l’enzima non agisce in condizioni diverse.
L’enzima, inoltre, viene inattivato da temperature superiori ai 70 -75° C.
Pertanto la regolazione della temperatura svolge un ruolo importante durante la saccarificazione.
Infatti la temperatura più favorevole al processo si aggira sui 50-57°C.
Però in considerazione che i germi parassiti e sfavorevoli sono distrutti ad una temperatura di circa 62° C, occorre che la temperatura di 50-57°C sia solo applicata all’inizio della saccarificazione e per breve tempo in modo che essa si svolga rapidamente e nel modo più completo possibile, per poi passare progressivamente ad una temperatura più alta sino ai 61-62°C, al fine di uccidere i fermenti nocivi con l’accortezza di non mantenerla per lungo tempo per non danneggiare la diastasi.
Nei tini di saccarificazione le quantità di acqua e di malto necessarie al processo vanno aggiunte in un’unica soluzione e in modo da costituire la “salda d’amido”.
Inoltre si consideri che la diastasi sopporta meglio le alte temperature allorquando si trova in presenza di una forte concentrazione di zuccheri.
Le fasi della lavorazione prevedono la frantumazione e la bagnatura del cereale a cui segue la cottura a 130°-135°C , ad una pressione di 3-4 atmosfere e con l’uso di un dispositivo come, ad esempio, l’apparecchio verticale di “Henze”.
Giunti così al cereale cotto si procede all’aggiustamento del pH del mezzo a circa 4,5 - 4,7 e alla saccarificazione in apposite apparecchiature e per mezzo dell’aggiunta del latte di malto contenente la diastasi in modo da convertire l’amido in zuccheri fermentescibili.
Conclusa la saccarificazione il mosto zuccherino ottenuto si lascia alla fermentazione con l’inoculo di lieviti selezionati, e dopo aver ottenuto con la fermentazione il liquido alcolico, si passa alla distillazione dello stesso per il ricavo dell’alcool o dell’acquavite.
La saccarificazione può essere ottenuta anche col processo agli acidi diluiti, che è il meno seguito per ottenere zuccheri fermentescibili dall’amido, in quanto richiede impianti costosi e logora molto le apparecchiature, oltre che a produrre alcoli scadenti.
La saccarificazione agli acidi diluiti avviene principalmente per la fabbricazione del glucosio.
In sintesi: le sostanze amidacee si trattano a caldo con l’acido cloridrico diluito al 10-15%, a cui seguono la cottura e la fermentazione con l’inoculo dei lieviti selezionati e la distillazione del liquido alcolico così ricavato.
La saccarificazione è ottenibile pure col processo “Amylo” con il quale gli amidi vengono convertiti in zuccheri fermentescibili sfruttando l’azione svolta in tal senso da alcune specie di funghi appartenenti ai generi “Mucor” e “Aspergillus”, scoperti in Cina e in Giappone tra i fermenti usati nella produzione delle bevande alcoliche e dotati di una forte attività diastasica.
Il “processo Amylo” presenta il vantaggio di abolire il malto.
Inoltre i Mucor si distinguono per la loro resistenza a vari agenti chimici, per la loro velocità di azione e per la loro resistenza alle infezioni.
Alcuni Mucor agiscono contemporaneamente da diastasi e da zimasi e cioè trasformano l’amido in alcole passando per il maltosio e il glucosio.
Tra questi rivestono una certa importanza industriale l’Amylomyces Rouxii, il Mucor Amylomyces, e soprattutto il Mucor beta e gamma, il Rhizopus Delemar, poiché producono minore acido e mostrano un più alto potere saccarificante e fermentante anche ad una più elevata concentrazione zuccherina (D = 1,070 - 1,075).
Il ciclo di lavorazione consta delle seguenti fasi:
-bagnatura del cereale e prima cottura;
-seconda cottura e diluizione con acido;
-saccarificazione e fermentazione congiunte, con “Mucor” e lievito.
Il cereale viene innanzitutto bagnato, poi cotto a pressione ridotta e successivamente trasferito nei tini di fermentazione in cui,una volta raffreddata la massa a circa 38°C,si inseminano i Mucor i quali iniziano la saccarificazione.
Dopo di ciò inizia la fermentazione con l’inoculo del “lievito annamita” e cioè del “Saccaromyces anamensis”, il cui sviluppo è aiutato dall’insufflazione di aria sterile e da una temperatura mantenuta a circa 38°C. Questo lievito è stato isolato da un melasso di canna da zucchero della Cocincina.
Il processo Amylo ha subito alcune modifiche tendenti ad accelerare alcune fasi nel sistema Boulard, impiegando lo speciale Mucor Boulard n. 5.
Una volta compiuta la saccarificazione e cioè quando si ottiene il mosto con gli zuccheri direttamente fermentescibili, si passa subito alla fase della fermentazione in modo da avere la trasformazione degli zuccheri in alcol.
La fermentazione viene svolta dai lieviti appartenenti agli ascomiceti e ad altri fermenti.
Essi svolgono al meglio la funzione in un ambiente acido e con una concentrazione in zuccheri compresa tra il 15 % e il 18 % e non superiore al 24 %.
La fermentazione costituisce una fase delicata in cui possono realizzarsi condizioni favorevoli allo sviluppo di diverse alterazioni e malattie.
L’acescenza è l’alterazione più frequentemente riscontrata nei liquidi alcolici con scarso tenore alcolico e ricavati dalla fermentazione alcolica del succo di mele, pere, ecc..
Altre fermentazioni anomale (acetica, butirrica, lattica, ecc.) per diverse cause o per imperizia, possono accadere nel succo zuccherino posto in fermentazione o anche successivamente.
Un basso tenore in zuccheri si traduce poi in un basso tenore alcolico e tale da non difendere sufficientemente il liquido alcolico prodotto.
Pertanto per ottenere dalla frutta debolmente zuccherina un liquido alcolico più robusto e con una % alcolica più alta è giustificabile l’arricchimento del succo con saccarosio, in modo da arrivare ad un aumento di un grado alcolico nel futuro liquido alcolico (nella pratica 1,8 Kg di saccarosio sciolti in 1 hl di mosto apportano l’aumento di 1° grado alcolico) e ad una concentrazione zuccherina vicina al 15 - 18 %.
Un buon livello di acidità è pure necessario per ostacolare le fermentazioni anomale e quindi un ruolo di primaria importanza gioca la regolazione del pH del mezzo.
L’acidificazione con acido tartarico, come avviene nell’enologia, costituisce una pratica razionale nel caso di succhi zuccherini poco acidi, al fine di favorire quanto più è possibile una buona fermentazione alcolica.
L’impiego della SO2 (5-10 g/hl) o di altri antisettici insieme all’adozione di misure rigorose di pulizia ed igiene, sia dei locali o della cantina e delle apparecchiature impiegate, costituiscono una necessità imprescindibile per la buona riuscita dei prodotti, in quanto bisogna eliminare i fermenti indesiderati, responsabili di avviare fermentazioni anomale, diverse da quella alcolica.
L’uso di tali sostanze ed accorgimenti unito alla pronta distillazione del liquido alcolico, può dispensare dall’aggiunta del saccarosio.
Infatti l’aggiunta del saccarosio per l’aumento del grado alcolico conviene soprattutto nel caso che, per diversi motivi, non è possibile distillare prontamente e che quindi per un periodo più o meno lungo si debba provvedere alla conservazione del liquido alcolico.
I lieviti selezionati, come nell’enologia, sono raccomandabili per esplicare correttamente la fermentazione impiegandoli alla giusta dose, subito dopo aver ottenuto il succo o il mosto zuccherino.
Esistono diversi tipi di lieviti e il più usato è il Saccaromyces elissopdeus, il quale opera a concentrazioni basse e medie di zuccheri, mentre il più usato, nel caso di una forte concentrazione di zuccheri, è il Saccaromyces bayanus o oviformis.

Tabella dei conservanti, acidificanti e chiarificanti usati in enologia, liquoristica e dosi di impiego

Conservanti, acidificanti e chiarificanti

impiego

Dose x hl

Anidride solforosa

Mosti,vini rossi e bianchi

2-5 g/hl

Metabisolfito di potassio

Mosti,vini rossi e bianchi

5-25 g/hl

Acido sorbico

Vini amabili e dolci

10-20 g/hl

Potassio sorbato

Vini amabili e dolci

17-30 g/hl

Acidificanti



Acido Tartarico

Mosti, vini rossi e bianchi

50-150 g/hl

Acido citrico

Prima dell’imbottigliamento

1-15 g/hl

-Chiarificanti proteici e non proteici

impiego

dose x hl.

Albumina d’uovo, costituita da globulina

vini secchi rossi

3-4 chiare d’uovo, sbattute a neve

Ovoalbumina (polvere)

vini secchi rossi

5-15 g

Albumose

vini bianchi

5-6 g

**Caseinato di K (Potassio)

vini bianchi

40 -100 g

Gelatina

Vini rossi e tannici

2-15 g

Ittiocolla

vini speciali

1-3 g

***Osteocolla, glutina e condrina

vini rossi

5-20 g

Sangue defibrinato in polvere

vini bianchi

5-20 g

Sangue liquido (non ammesso dalla legge), defribinato con lo sbattimento

vini bianchi

50-100 ml

Latte scremato (non ammesso dalla legge)

vini bianchi e rossi comuni

100-200 ml

Carboni attivi

Mosti e vini bianchi

30-100 g/hl

*Bentonite

Mosto, vini bianchi e rossi

50-200 g

Acidi silicici

Vini bianchi e rossi

60-100 g/hl (mosto), 30-50/hl (vino)


Note
*I chiarificanti indicati, prima dell’impiego, devono essere disciolti e lasciati rigonfiare in acqua fredda o tiepida per 24 ore, dopodiché si mescolano nel mosto, nel vino o nel liquido alcolico con un rimontaggio. **Il caseinato di K si discioglie in acqua fredda e subito immesso nel vino con getto fine mediante siringa, analoga è la modalità per il sangue in polvere. Il caseinato di K non produce surcollaggio, l’ittiocolla mostra poca facilità al surcollaggio; lo stesso è per il sangue e l’albumina d’uovo, mentre per la gelatina, le albumose, sussiste il pericolo di ipercollatura (la sostanza chiarificante non precipita e rimane in soluzione nel liquido). ***L’osteocolla, in alte dosi, può conferire sapori estranei al vino trattato.

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