'Itaca' di Konstantinos Petrou Kavafis
Data: Domenica, 30 marzo 2014 ore 07:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Konstantinos Petrou Kavafis, poeta e giornalista greco, nacque ad Alessandria d’Egitto il 29 aprile 1863, da una famiglia greca. Nel 1872, dopo la morte del padre, Kavafis, insieme alla sua famiglia, si trasferirono in Inghilterra, a Liverpool e a Londra, fino al 1879, quando fecero ritorno ad Alessandria. Ma lo scoppio delle rivolte nazionaliste, nel 1885, costrinse la sua famiglia ad emigrare a Costantinopoli. In quello stesso anno, però, Kavafis ritornò ad Alessandria, dove visse per il resto della sua vita. Inizialmente lavorò come giornalista, successivamente divenne agente di Borsa (occupazione che mantenne fino al 1902); poi, nel 1892, lavorò per circa trent’anni, come interprete, al Ministero egiziano dei lavori pubblici, nel settore delle irrigazioni.

Dal 1891 al 1904 pubblicò alcune poesie, che lo fecero conoscere al grande pubblico. Morì, ad Alessandria d’Egitto, il 29 aprile 1933, il giorno del suo settantesimo compleanno. Dalla sua morte, la fama di Kavafis è cresciuta, ed oggi è considerato uno dei più grandi poeti greci. Pubblicò 154 poesie, le più importanti dopo i quarant’anni, su molti temi, tra i quali, l’incertezza nel futuro, i piaceri sensuali, il carattere morale e la psicologia degli individui, l’omosessualità e la nostalgia. Kavafis aveva una percezione tragica del destino umano, rappresentata, poeticamente, con un gusto asciutto e spiccatamente moderno: l’inquietudine umana guasta l’opera sublime e incomprensibile degli dèi; mentre noi ci sforziamo di schivare una sorte che riteniamo ineluttabile, e che ci coglie sempre di sorpresa.

La risposta all’eterna condanna dell’uomo si compie, per il poeta, in una rassegnata e  definitiva lucidità. Kavafis, nel corso della sua vita, è stato considerato uno scettico, spesso, accusato di attaccare i valori tradizionali della cristianità, del patriottismo e dell’eterosessualità, anche se non sempre si trovò a suo agio nel ruolo di anticonformista, e nutrì, per tutta la vita, un senso di chiusura, di segregazione vergognosa e necessaria. Nella solitaria penombra del suo appartamento di Alessandria, con le finestre sempre serrate e la luce spettrale della lampada a petrolio e delle candele, Kavafis ritornava, con la memoria, al tempo della sua giovinezza, fissandola in una sottile e delicata malinconia. Già durante l’adolescenza Kavafis aveva scoperto la propria omosessualità; nel lavoro introspettivo e nel fare poetico della maturità avrebbe letto e ascoltato i segni mitici delle proprie radici pagane, della libera, autosufficiente e luminosa sensualità precristiana.

Ma il poeta, altresì, afferma la sua coscienza cristiana “infelice”, dominata da  un’oscura “censura interiore”, dall’autoerotismo, un “amore infecondo”, che ha “bisogno di luoghi e contesti infami per accendersi e trovare compimento”. Splende nelle sue opere, con fiero fervore, l’eroismo di un poeta che vince, nell’avventura di un eros, difficile e segreto, i demoni del veto interno e esterno e sa estrarre “dal fango dell’abiezione la perla minacciata della bellezza”. Le sue poesie, anticonvenzionali per l’epoca, e solitamente molto concise, mostrano versatilità e complessità, che viene spesso perduta nella traduzione in altre lingue. Kavafis ha dato un grande impulso alla letteratura greca moderna nel mondo, anche se la sua poesia non fu apprezzata dai suoi contemporanei.

Una delle poesie più famosa di Kavafis è Itaca, che esprime, compiutamente, il senso della vita e le eterne domande esistenziali, coinvolgendo il mito classico di Ulisse. “Itaca è sia la meta ultima, la morte, che il viaggio che ad essa porta, la vita: i due volti di una stessa medaglia, inseparabili e irriconoscibili l’uno senza l’altro. E’ inutile, per Kavafis, provare delusione per il triste finale, ma saggio tenerlo sempre a mente, e così facendo vivere con gioia e pienezza ogni momento del presente, cercando di scoprire sempre qualcosa in più: la ricchezza della vita si svela solo quando la si è già goduta, ed è per questo che non bisogna avere timore nel vivere l’oggi. Verrà il giorno in cui potremo sederci e volgere indietro lo sguardo, con calma. Il giorno in cui potremo realizzare quanto prezioso sia stato quel viaggio allora intrapreso. Quel percorso che noi, ora, stiamo passo passo compiendo”.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it

ITACA

Quando ti metterai in viaggio per Itaca,
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
o la furia di Poseidone non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Poseidone incapperai
se non li porti dentro,
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti,
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra  per la prima volta;
negli empori fenici fermati e acquista,
compra le merci migliori,
 madreperle, coralli, ambra e avorio,
caldi profumi penetranti d’ogni genere
più profumi inebrianti che puoi,
visita molte città egizie
per imparare ancora ed ancora dai sapienti.
Sempre devi avere Itaca in mente:
raggiungerla il tuo ultimo scopo.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada,
senza pretendere ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel Viaggio,
senza di lei mai saresti partito per la via:
che cos’altro ti aspetti?
E se la troverai povera, non credere che Itaca t’abbia ingannato.
Saggio come sei diventato, con tanta esperienza,
avrai già compreso ciò che Itaca vuole significare.


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