A proposito di lingue straniere
Data: Venerd́, 28 marzo 2014 ore 07:30:00 CET
Argomento: Redazione



Da tempo si fa un gran parlare dell'insegnamento delle lingue straniere in Italia, in particolar modo riferendosi alla lingua inglese. Oggi, al momento del riordino della didattica, da parte della nuova ministra, l'argomento torna di attualità. Non vorrei essere banale e pedante come la mia età elevata mi consentirebbe, ma voglio esporre lo stesso le mie semplici convinzioni in materia, legate anche in parte a qualche breve esperienza fatta da preside.
Anzitutto il dato: i nostri studenti al termine del Liceo non parlano inglese, salvo ripetere più o meno mnemonicamente qualche passo di storia letteraria inglese o americana. I bambini conoscono qualche parola d'inglese appresa alle elementari ma non ne fanno uso fuori della scuola.
Cosa avviene altrove?

Ho conosciuto in Vallonia e l'ho frequentato per un mese un anziano signore allegro buontempone e gran bevitore di buona birra, certo Henri Simon, professore anziano di Letterature straniere. Dico anziano perché lì almeno venti anni fa i docenti di una certa anzianità lavoravano per ventiquattro ore settimanali in presenza degli allievi (i meno anziani solo per diciotto) guadagnando circa quattro milioni di lire italiane.
Camminava sempre con un dizionario sotto il braccio, diverso (il dizionario non il braccio) secondo la nazionalità dell'interlocutore. Insegnava letteratura francese, tedesca, italiana. Naturalmente utilizzando quelle lingue o, in misura minore, il francese. Ho anche scoperto che conosceva i problemi personali di tutti i circa ottocento alunni del suo Athené (il nostro Liceo) e ne parlava spesso con la moglie (biologa estranea alla scuola), ma questo non ha rilevanza per il problema in questione.

Che sarebbe questo: perché in Italia si insegna la lingua italiana con annessa letteratura per cinque ore settimanali e quella straniera (una sola) per due ore?
Altrove la lingua straniera si impara da piccoli. A tal proposito  dirò di un'altra esperienza.
In Burgos (Castiglia y Léon) certo Juan Carlos (provveditore agli studi e assessore locale alla educazione) insieme ad Amaja Fernandez del Castillo (docente universitaria e liceale di francese) negli anni di fine secolo scorso curavano "L'insegnamento della lingua straniera in età precoce" in particolare di francese e inglese rivolto a bambini dai due anni ai cinque con docenti di madrelingua, a spese dell'Europa, quindi con i nostri soldi.

Morale della favola: altrove la lingua si apprende da piccoli (a proposito, qualche anno dopo in Bucovina ho scoperto che i bambini rumeni parlano molte lingue perché le trasmissioni televisive, telenovelas ed altro, nel loro paese sono tutte trasmesse in lingua originale) e da grandi si apprende, nella propria o altrui lingua è poco importante, la letteratura e l'arte dei Paesi di cui si conosce la lingua.
Naturalmente le ore di insegnamento (fino al pomeriggio) non sono funzionali alle cattedre dei docenti, ma alla importanza e difficoltà di quanto si debba apprendere. La formazione dei docenti è quindi molto meno specialistica, ma ad ampio spettro per tale funzionallità.
Sarebbe come dire che da noi l'insegnante di Lettere nelle sue cinque ore settimanali potrebbe anche insegnare qualche letteratura straniera, lasciando che l'insegnante di Lingua insegni nelle prime classi la lingua straniera.
Del resto ho anche scoperto che gli insegnanti stranieri di lingua (ma una anche di storia) sono più esperti di glottodidattica che di letteratura. Ovviamente il cosiddetto madrelinguista non dovrebbe servire da supporto al docente liceale di lingua che si occupa di letteratura, ma dovrebbe insegnare ai bimbi l'uso quotidiano della lingua.

Se si immagina che tutto ciò richiede una rivoluzione basta cominciare con l'osservare cosa avviene altrove. Del resto una vera riforma della scuola in Italia (e sarebbe ora che si tentasse) non può evitare di operare qualche sconvolgimento e di coinvolgere la formazione universitaria dei docenti oggi operata con i "manuali Cencelli" dei potentati accademici.
Cito infine un docente universitario, di cui mi è sfuggito il nome, che stamane alla radio lamentava la nuova strampalata idea di porgere gli insegnamenti universitari specie tecnico-scientifici in inglese, quasi per sostutire la nostra lingua madre, mentre lui multilingue parlante cinque lingue straniere può testimoniare che molti scienziati stranieri (quelli che valgono almeno) apprendono ed usano al momento opportuno l'italiano. 

Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it





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