Settimana corta o lunga? Nella scuola la disfida del weekend
Data: Giovedì, 27 marzo 2014 ore 08:00:00 CET Argomento: Rassegna stampa
C’era una
volta il sabato a scuola, alle medie e alle superiori. Anche alle
elementari, se non si faceva il tempo pieno. Oggi, con l’autonomia
scolastica, il sabato è la coperta più contesa della programmazione:
c’è chi la tira, per dare più respiro alla didattica, spalmando le
lezioni su sei giorni. Chi la accorcia (cinque giorni di scuola e un
intero weekend libero), per permettere ai ragazzi di avere più tempo a
disposizione per se stessi, lo sport, le relazioni sociali; e alle
famiglie di organizzare meglio i tempi domestici. All’economia locale
di risparmiare sulle bollette dell’energia e sui costi dei trasporti
pubblici. E ai docenti di avere, finalmente, tutti il sabato libero.
Ma c’è chi vorrebbe che il sabato a scuola diventasse solo un ricordo,
per tutti. È quanto si augura l’assessore all’Istruzione della
Provincia di Milano, Marina Lazzati, che dopo aver suggerito, lo scorso
anno, ai presidi del capoluogo di rivedere l’orario delle lezioni,
introducendo la settimana corta, ha ora preso carta e penna rivolgendo
la richiesta al presidente del Consiglio, al ministro dell’Istruzione e
al responsabile della spending review, Carlo Cottarelli. «I tagli di
bilancio imposti alle Amministrazioni pubbliche - scrive - stanno
mettendo in seria difficoltà l’erogazione dei servizi essenziali per il
buon funzionamento delle istituzioni scolastiche. Problema che investe
pesantemente riscaldamento e spese di trasporto, per cui sono previste
per il prossimo anno scolastico ulteriori diminuzioni di spesa».
Lazzati propone di rendere «obbligatoria l’articolazione oraria
settimanale su cinque giorni per tutte le scuole di ogni ordine e
grado». Una scansione oraria che «comporterebbe un significativo
risparmio e renderebbe le nostre scuole autentici laboratori di
apprendimento, ottimizzando la qualità dell’insegnamento e l’utilizzo
delle risorse». Nessun taglio di ore in vista (già ridotte dalla
riforma delle superiori a un massimo di 30 nei licei e 32 per istituti
tecnici e professionali), ma una «diversa articolazione dell’orario».
Tra i presidi, c’è chi ha aderito giudicando la proposta «ragionevole»,
«fattibile», «in linea con l’Europa».
E chi, come il preside del classico Berchet, Innocente Pessina, l’ha
definita «una molestia didattica», soprattutto per i ragazzi del
triennio, che si troverebbero a sostenere giornate di sette ore in
aula, con materie pesanti come latino e greco. Ma anche chi ricorda che
le superiori non hanno la mensa, quindi i ragazzi dovrebbero mangiare
al bar, o a casa dopo le tre. Delle 105 scuole del territorio sono meno
della metà quelle che hanno aderito, consentendo risparmi, quantifica
l’assessore Lazzati, per circa tre milioni di euro.
A livello nazionale non esiste un’«anagrafe» dell’organizzazione del
tempo scuola, spiega Carmela Palumbo, della direzione generale per gli
ordinamenti scolastici del ministero. «Ogni consiglio d’istituto può
decidere - anche attraverso il voto delle famiglie - se optare per la
settimana corta». Ma certo, ammette, il sesto giorno di didattica è
sempre più raro, anche per ragioni di budget.
Verona, Cuneo, Novara, Bergamo, Roma: sono in tanti a cercare la strada
per gestire al meglio risorse sempre più scarse. La Provincia di
Ferrara ha calcolato che i benefici della settimana corta nei licei
cittadini consentirebbero un risparmio notevole: 120 mila euro l’anno,
il costo di un dirigente. Polemiche e dissensi tra insegnanti e
sindacati (che temono un aumento dell’insuccesso scolastico) e
studenti: «Grave che la scuola venga
guidata mettendo sempre la quadratura dei bilanci davanti alle
considerazioni di carattere educativo e didattico», dice Roberto
Campanelli, dell’Unione degli studenti. Settimana corta promossa a
pieni voti da Pier Cesare Rivoltella, ordinario di Tecnologie
dell’apprendimento alla Cattolica di Milano: il weekend libero funziona
da decompressione, favorendo l’apprendimento - sostiene -.
Ma va ripensato il nostro modo di insegnare. Per esempio? «Nella nostra
scuola è importante la didattica frontale, ma sei, sette ore con il
professore in cattedra e gli studenti seduti ad ascoltare sono troppe.
Occorrerebbe utilizzare tutte le opportunità di didattica, pensare a
momenti che si basano sull’esperienza, sulla collaborazione».
Anche guardare oltreconfine può aiutare. In Catalogna, suggerisce il
docente, è nato un «movimento
dell’educazione lenta», uno «slow food» applicato alla
didattica, che vede la riorganizzazione di ogni disciplina in moduli di
due ore, riducendo così il numero di materie (e il carico) affrontate
nella stessa giornata.
Antonella De Gregorio - Corriere
della Sera
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