Managerialità 'vocazionalità' società scuola
Data: Domenica, 23 marzo 2014 ore 07:30:00 CET
Argomento: Redazione


Managerialità 'vocazionalità' società scuola
Vari problemi sono legati ai termini suddetti, alcuni consueti, un altro improprio o nuovo. Improprio ma significativo. Alcuni lavori infatti richiedono managerialità altri qualcosa di più odiverso.
Il manager (bravo) è colui che fa funzionare (bene) una struttura, una produzione, un servizio. Ad un supermanager potrebbe essere assimilato chi fa funzionare (bene) una Istituzione. Lo Stato, per esempio.
Il pensiero non può non andare quindi a Napolitano in Italia. Se un manager fa funzionare le ferrovie italiane, anche se dimezzate come servizio, dovrebbe soddisfare i bisogni se non le esigenze dell'utenza, non lasciare quindi a terra gli utenti specie se abituali (pendolari), tenere in ordine e puliti i treni, farli arrivare in orario e senza incidenti.
A quel punto (e non mi pare ci siamo da molto tempo ad oggi) potrà guadagnare un giusto stipendio che indicizzeremo in cento centesimi. Analogamente se il Capo dello Stato riesce a salvare la Nazione dal disastro, farla sopravvivere alle azioni distruttive di alcuni politici, mantenendo per il Paese una qualche stima internazionale nonostante tutto, potrebbe forse meritare un 200/100mi di guadagno.

Analogamente si può ragionare per altre numerose situazioni di "managerialità", pubblica o privata che sia.
C'è poi un'altra categoria che può essere tirata in ballo quando ci si riferisce a certi "servizi".
Quelli diretti alla persona, ad esempio l'assistenza al disabile o non autosufficiente, richiedono una propensione dell'addetto che va al di là del mestiere puro e semplice o, comunque, per essere ben espletati richiedono una certa quale, chiamiamola così, "vocazione".
Il termine mestiere indica in genere l'operare in un certo modo in base ad una certa competenza. Nella vecchia società prevalentemente artigiana per avere una adeguata stima sociale la semplice competenza non bastava o non si considerava completa se non era in qualche modo arricchita dall'amore al proprio lavoro.
Se si unisce quest'ultimo aspetto dell'attività lavorativa alla propensione succitata per il servizio alla persona si può avere un'idea di quello che insolitamente ho chiamato "vocazionalità" e che riferisco al servizio alla persona chiamato in termini generali "educazione".

Scopriamo ora le carte.
Sulla base di quale considerazione logica un degno e capace manager pubblico potrebbe pretendere di guadagnare quattro, sette, otto volte più di un degno e capace Capo dello Stato?
Altra considerazione.
Basta nella scuola una capacità manageriale a fare di un intellettuale (intendendo per ciò una persona che ha dedicato una parte significativa della propria esistenza ad una adeguata formazione culturale, genere non diffusissimo nelle nostre scuole) una persona capace di guidare una istituzione educativa come la scuola?
Ultimamente si sentono sempre più frequentemente critiche all'attività della scuola italiana intesa aprodurre progetti capaci di lucrare contributi straordinari, piuttosto che promuovere cultura, professionalità, formazione umana e sociale di alto livello.
Forse la vecchia figura del Capo di Istituto aiutava in questo compito, concependosi come colui che promuoveva, coordinava, controllava l'azione didattica e formativa e ne rispondeva all'utenza.
Tutto ciò bastava a dare un valore sociale alla scuola, una elevata dignità professionale ai docenti ed al Capo di Istituto che tradotti in stima sociale giustificavano stipendi all'altezza dei migliori professionisti, stima sociale che aveva alla base il risultato tangibile della loro azione formativa.

La società strutturata in vari ceti con relativamente variabili condizioni di benessere individuale e altissima mobilità sociale è stata soppiantata da una società appiattita su pochi ceti e svariatissime figure professionali che costituiscono una costellazione di infinite posizioni stipendiali o di guadagno libero, con pochissimi astri di grandezza infinitamente più grande, i cosiddetti supermanager sui quali dovrebbe reggersi il buon funzionamento della società, delle istituzioni, dei servizi, dell'economia, della finanza. Tutto ciò sia nel pubblico che nel privato.
Naturalmente lo sport (come spettacolo) e lo spettacolo (come divertimento) sono un mondo a parte.

È possibile trovare un equilibrio in tutto ciò senza dover tornare ad un buon tempo antico? Ovviamente non tutto il tempo antico era buono, anzi.
Penso basterebbe avvicinarci all'equilibrio di tanti altri Paesi dove il servizio pubblico funziona anche pagando meno i manager e la scuola prepara alla vita ed al lavoro, mentre i pubblici educatori guadagnano tre rispetto al nostro uno ed i loro capi quattro rispetto al nostro uno e mezzo, dove i giovani trovano lavoro accettandone uno quale che sia fino a quando la mobilità sociale esistente non consente loro di realizzare i propri sogni. Dove infine i treni camminano in orario, gli ospedali risolvono le normali emergenze di salute ed i politici si accontentano di normali retribuzioni cercando di ottenere la stima sociale.

Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it





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