Il piacere di studiare
Data: Venerdì, 21 marzo 2014 ore 06:30:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Per molti ragazzi una frase del genere - piacere di studiare - va considerata una sorta di bestemmia, un’affermazione contro natura. Eppure la scommessa è tutta là: riuscire a far passare i bambini e gli adolescenti dalla posizione di chi pensa di essere sottoposto a un’ingiusta punizione alla scoperta gioiosa che, se la vita è un gioco, perfino, o meglio, proprio l’impegno dell’apprendimento può essere vissuto come un continuo mettersi in gioco. Indubbiamente questa è una transizione molto ambiziosa; ma, paradossalmente, è una missione impossibile più per noi adulti che per i piccoli. L’errore che facciamo un po’ tutti, genitori e insegnanti, è quello di ritenere che la strada da percorrere, per imparare, sia quella di formare le nuove generazioni al senso del dovere. Non che questo sia un male assoluto, ma credo che non sia il modo migliore per risolvere la questione: una persona acerba non riesce quasi mai a considerare il dovere un punto di riferimento fondamentale. Piuttosto, ha bisogno di lavorare intorno ad altri due elementi: io voglio, io posso. Io posso studiare, se soltanto lo voglio; ho voglia di apprendere, se mi convincono che posso farlo in modo efficace. Sto cercando di dire che il piacere di studiare è ben altra cosa del compito di imparare. Innanzitutto perché coinvolge tutta l’esistenza di una persona e non soltanto la sua intelligenza. Conoscere è una questione di cuore e non soltanto di testa. È un’impresa che ha bisogno di essere sostenuta più sul piano emotivo e affettivo, che non sotto il profilo tecnico; va da sé che tutte le nostre spiegazioni degli argomenti scolastici risulteranno incomprensibili a un bambino e non serviranno a niente, se non le porgiamo con amore, passione, dedizione, rispetto; capacità di incoraggiare e sostenere questa fatica; atteggiamento di stima verso chi la deve compiere.
Dobbiamo fare i conti, inoltre, con un’altra questione spinosa. Con preoccupante frequenza i figli ai genitori e gli alunni agli insegnanti chiedono a che cosa serve studiare certe materie. E noi, spesso, non sappiamo che rispondere, perché è verissimo che la vita va avanti anche se non conosco a fondo il teorema di Pitagora o chi era fra’ Cristoforo. Migliaia di generazioni prima di noi hanno convissuto con l’ignoranza, e questo non necessariamente le ha rese meno infelici. Anche l’affermazione che nel passato le società erano meno progredite meriterebbe una seria revisione: vi è maggiore senso di civiltà e di umanità in epoche che avevano minori opportunità e strumenti di conoscenza. Il problema è un altro: studiare può non servire a molto, ma può valere molto. È uno dei modi – non l’unico, ma sicuramente uno dei più importanti - per soddisfare l’esigenza umana per dare un senso alla propria realtà ordinaria. Sei ciò che sai, ma, soprattutto, è importante che tu sappia ciò che sei.

A questa prospettiva nessun ragazzo può resistere a lungo. Ha bisogno però che la scuola gli offra un sapere sapienziale e non soltanto un mucchio di informazioni più o meno ordinate. Anche in casa deve toccare con mano che suo padre e sua madre coltivano la conoscenza: ne hanno cura, la abitano, la venerano. Negli ambienti quotidiani un bambino deve poter riconoscere la presenza di adulti che ordinariamente fanno manutenzione della cultura: delle parole, innanzitutto, che veicolano e consentono di condividere le domande, i dubbi, le sfide, i confronti, le risposte; delle informazioni, che non sono un bene esclusivo da mettere in cassaforte, ma un elemento fondamentale da mettere a disposizione di tutti, da offrire a chi è povero di sapere; delle riflessioni capaci di dare qualità alla vita, che non possono essere mai definitive, ma che vanno custodite e protette dall’insignificanza del tempo che scorre. Il piacere di studiare nasce dove è evidente che la conoscenza è un tesoro, senza del quale l’esistenza umana rischia di perdere la propria direzione di marcia. Come il cibo, è una necessità, ma è anche qualcosa che si può gustare per rendere belle anche le giornate peggiori.

Marianna Pacucci





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