Ma cosa fanno gli intellettuali?
Data: Marted́, 18 marzo 2014 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


"Succedendo ai chierici che parlavano in nome di Dio, hanno parlato in nome della ragione e della storia"(A. Touraine). Così il sociologo francese per tratteggiare la funzione degli intellettuali svolta fino all'altro ieri. Una funzione che ha voluto essere di guida dei processi storico-politici per l'assunzione, non sempre giustificata, della responsabilità e della capacità di interpertare la storia, di indicarne gli sviluppi. Gli intellettuali sono stati i cultori e i custodi delle weltanschaung che hanno indirizzato e orientato i movimenti sociali, le lotte politiche, le innovazioni di sistema.
Per un tratto della storia del Novecento gli intellettuali sono stati forti e ascoltati perchè ospiti, alleati o dirigenti di organizzazioni che avevano e volevano avere un progetto di società da realizzare o da difendere.
Ma le società, oggi più che mai, non sono riducibili a un'idea che le comprenda e le spieghi per intero."La società non ha più una sua unità e quindi nessun personaggio, nessuna categoria sociale, nessun discorso ha il monopolio del senso"(A. Touraine).
Non può darsi, pertanto, un unico progetto di trasformazione che ne interpreti le molteplici tendenze.
Si parla appunto di complessità, anche se a volte questa consapevolezza più che un gesto di sobrietà intellettuale sembra essere la rinuncia di molti a confrontarsi con la responsabilità di pensare la problematicità dell'intero, per accontentarsi comodamente di quache frammento della realtà umana.
La crisi dei partiti e il fallimento delle ideologie dell'età moderna hanno travolto la possibilità che per gli intellettuali, per un certo tipo di intellettuali, possa esserci nella società un ruolo pubblico come nel passato.

Non c'è istituzione della società civile che sembra interessata a raccoglierli, a dare spazio alle loro ricerche e alle loro riflessioni, a valorizzarli; non sono interessati i partiti, le aziende, i movimenti sociali che periodicamente emergono per rappresentare e tutelare nuove esigenze umane.
Solo parzialmente o casualmente svolgono questo compito la stampa, l'editoria e le Univesità. Non c'è un'organizzazione che li voglia rendere soggetti pubblici. Da custodi della coscienza storica, da profeti della società del futuro gli intellettuali si sono trasformati in consiglieri, se richiesti per le loro competenze, per particolari ambiti del sapere e delle pratiche sociali. Solo in quanto tecnici,...

Eppure c'è ancora uno spazio per un certo tipo di presenza intellettuale, uno spazio che si è venuto a creare proprio dopo la fine delle illusioni del secolo passato, che sono state accompagnate spesso da una scia di tragedie, di sangue e di rovine. E' lo spazio dei diritti inalienabili della soggettività, del significato intrascendibile della vita umana: valori che non possono identificarsi con i ruoli sociali assunti dalle persone e nemmeno col destino della nazione o di un progetto sociale.

In Italia solo la Chiesa ha mantenuto le caratteristiche antiche di centro di elaborazione di culture e di visioni della vita, disponendo di mezzi, luoghi e metodi per fare confluire le sparse riflessioni e le molteplici ricerche in un disegno unitario di guida e di orientamento dei comportamenti degli individui e della società.
Questo succede perchè è insediata in ogni strato della società e per la disponibilità di un patrimonio immenso (chiese, ospizi, collegi, residenze, università, televisioni, quotidiani, periodici etc) che ne fanno una potenza reale.
Succede perché ha uomini e donne quotidianamente impegnati in attività di servizio umano che vanno incontro alle molteplici esigenze dell'uomo(riti comunitari, ascolto, consolazione, assistenza, sostegno morale, cura, protezione, solidarietà guida spirituale). E in questi compiti gli uomini e le donne di chiesa sono praticamente soli: per gli aspetti più significativi, più importanti della vita e anche per quelli più reconditi si può fare affidamento su una una presenza cattolica. Assolvono il compito di ricomporre in senso comunitario, nella direzione della coesione i rapporti umani lacerati dalle relazioni economiche e dalle quotidiane condizioni di vita.

La centralità di questa presenza nella società ha alimentato e sostenuto atteggiamenti e strategie caratteristici di chi ha in mente un progetto di egemonia della società, o comunque lo si voglia nominare. Un progetto che non sembra in sintonia con quella cultura dell' attenzione e dell' ascolto che aveva contrassegnato la prima fase della chiesa post- conciliare. Per certi aspetti il mondo cattolico, o meglio alcune sue espressioni, scontando come irreversibile l'afasia del mondo laico, ha cominciato a sviluppare la volontà e la consapevolezza di essere l' unico depositario del diritto di parlare di valori e di principi. Ha avuto la tentazione di fare del cattolicesimo una religione civile, proposito che va al di là dell'intenzione giusta di valorizzare le tradizioni religiose come parte costitutiva della storia della nazione,come tratto indiscutibile della sua identità.

Nell'ampio campo dei costumi della nazione (civismo, bene comune, diritti individuali, etica della responsabilità, parità, giustizia etc) il contributo laico è stato disorganico; più polemico che costruttivo e comunque segnato da accenti di radicalismo borghese inadeguati ad essere accettati e compresi da vasti strati della società.
Viene da dire a volte che tutto quanto è stato creato a partire dai primi processi di autonomizzazione della società rispetto alla religione, dal Rinascimento ad oggi, nella politica, nell'arte, nella scienza, nella morale individuale e pubblica si sia dissolto una volta entrato nel frullatore della società dell'informazione, perchè non avrebbe avuto difensori e custodi convinti, incapaci di scandalizzarsi della loro riduzione all'insignificanza.
Si sono sentiti l'assenza o il silenzio degli intellettuali, anche se da soli non avrebbero potuto coprire il vuoto lasciato in questo campo dallo Stato, dalla scuola, dai partiti, dai sindacati, da ogni genere di associazionismo, sociale o culturale che sia. Nel momento in cui viene messo in discussione lo stesso concetto di società, gli intellettuali hanno la responsabilità di tracciare la linea di resistenza al disordine e all'arroganza del potere, sulla barricata delle libertà e della loro difesa contro tutto ciò che trasforma l'uomo in strumento, in oggetto del potere o in straniero nella propria terra.

prof. Raimondo Giunta





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