Gli ultimi apostoli
Data: Mercoledì, 05 marzo 2014 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


È affascinante inoltrarsi nel variegato panorama del ribellismo ottocentesco. E non dico della Santa Russia, madre di "demoni" e di principi convertiti all'anarchia, ma proprio dell'Italia e del confuso, candido, generoso popolo di mazziniani, garibaldini, anarchici e libertari d'ogni genere, da Carlo Pisacane fino all'utopia anarco-teocratica del "Cristo dell'Amiata" Davide Lazzaretti o alla cieca autoimmolazione dei regicidi o alle peregrinazioni di Cafiero e Malatesta sulle tracce di chimere insurrezionali, che avversarono non solo lo Stato sabaudo ma lo Stato in sé come forma inevitabilmente coercitiva e proprio per questo si distinsero dal socialismo organizzato e sedicente "scientifico", di cui intravvidero il fatale esito totalitario.

Un capitolo davvero romanzesco, e poco esplorato, di questa storia è quello della guerriglia nel Matese, tra Campania e Molise, dell'aprile 1877. Convinti, dopo tanti insuccessi e primo fra tutti quello della gloriosa Comune parigina, di dover agire in località isolate e impervie creando una moltitudine di focolai insurrezionali, uno sparuto gruppetto di anarchici quasi senz'armi né vettovaglie occuparono alcuni paesini di quelle contrade montuose, sciogliendone i consigli comunali e bruciando tutte le carte attestanti tasse e diritti di proprietà.
La cosa più sorprendente fu che i primi ad affiancarli e a sostenerli furono i parroci di quei villaggi, proclamandoli apostoli di Gesù e invitando la popolazione ad aiutarli. Di preti rivoltosi, si tratti di fiancheggiatori di Garibaldi o addirittura dei briganti, l'Ottocento abbonda soprattutto nel nostro Meridione: eredi di certi inflessibili anacoreti o di implacabili eretici, dei "pazzi di Cristo" o della santa collera degli Spirituali o d'un Savonarola, quei preti erano frutto d'una religiosità popolare che si ostinava a leggere i Vangeli, come si dovrebbe, alla lettera: cioè come un messaggio di amore ai reietti e di estraneità a qualunque istituzione o legge del "mondo".

Forse ai fatti del Matese si ispirarono i fratelli Taviani (oltre che allo splendido racconto di Tolstoi, grande anarchico cristiano, dal titolo Il divino e l'umano) per il loro film (il migliore) San Michele aveva un gallo.
In quel film un anarchico insurrezionalista, impersonato da un bravissimo Giulio Brogi, partecipa a un analogo blitz in un paesetto, con tanto di municipio occupato e falò di documenti. Arrestato, nel secondo tempo d'una storia scandita come gli atti di un melodramma, vivrà a lungo segregato in prigione, simulando ogni giorno per non ottundersi riunioni con i compagni e serate al teatro lirico. Trasferito dopo anni in altro carcere, in laguna la barca che lo trasporta s'imbatte in quella che ha a bordo un gruppo di giovani socialisti, anch'essi arrestati ma ormai tanto diversi da lui, immemori delle sue letterarie chimere e invece ottimisticamente, pragmaticamente operanti nella realtà sociale e istituzionale.
Non riconosciuto e non compreso, egli si tufferà nell'acqua per morirvi. Nell'indifferenza di quei giovani: la stessa che da un secolo e mezzo condanna all'oblìo o a un sorriso di commiserazione quella grande storia di uomi puri, di ultimi apostoli.

Antonio Di Grado - professore di Lettere Università di Catania
pubblicato su Ecodeimonti.it






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