Difendiamo l’italiano e gli istituti di cultura
Data: Giovedì, 20 febbraio 2014 ore 07:30:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Ogni tanto una bella notizia in mezzo alle catastrofi - vedi gli allagamenti in un Paese che non fa manutenzione, che costruisce scriteriatamente cementificando il territorio - una notizia che ci rallegra ma che ci fa anche arrabbiare, per il vuoto in cui cade e il conto che ne tengono i politici. Parlo della lingua italiana, da molti considerata una morticina, tanto malridotta da doverla rinvigorire infarcendola di termini stranieri considerati prestigiosi e innovatori. Arrivare a chiamare un ministero "Welfare" è veramente una forma di servilismo linguistico. Ebbene, le statistiche ci dicono che questa morticina è oggi la quarta lingua mondiale in fatto di richiesta di apprendimento. E la sua popolarità non nasce dalla potenza economica o militare del Paese, ma dalla sua prevalenza nel campo culturale.
Da questa popolarità possono venire molte risorse. Cosa trascuratissima dai nostri governanti, tutti intendi a chiudere le sedi degli Istituti di all'estero, quasi rappresentassero un atto di vanità nazionale e non un importantissimo strumento di diffusione della nostra cultura. La domanda di insegnamento dell'italiano all'estero è in crescita, come ha spiegato il sottosegretario Mario Giro in un vivacissimo convegno guidata da Marino Sinibaldi, tenutosi per volontà del ministro degli Esteri Emma Bonino pochi giorni fa alla Farnesina. Quello che manca, ha spiegato Simonetta Giordani, è il coordinamento fra i vari enti pubblici e privati che insegnano l'italiano ma lavorano ciascuno per proprio conto. "Voglio l'Italia", è stata chiamata da Marco Rossi Doria questa richiesta in crescita, ricordando che nel 2013 si è registrato un aumento del 5% delle visite nelle città turistiche. Da non dimenticare poi la nuova emigrazione intellettuale, che parla un italiano colto: scienziati, medici, ingegneri, architetti, artisti che si fanno apprezzare per la serietà del lavoro. Pensare di togliere loro un punto di riferimento come gli istituti di cultura è masochismo politico.
Solo in Francia, ha spiegato Fabio Cappelli, ci sono oggi 4 milioni di persone di origine italiana. Vogliamo dare loro l'orgoglio di una memoria storica che appartiene all'Europa ma affonda le sue radici nel suolo italiano? Insomma: bocciata in pieno la teoria del sangue. È un arcaismo inconciliabile con la globalizzazione. Non si è italiani per diritto di sangue, ma per diritto di linguaggio e di cultura, due cose che si apprendono e fanno parte del patrimonio di un pensiero elaborato e conquistato. E per chi crede che con la cultura non si mangia, un dato solo: gli studenti americani che si specializzano nella nostra lingua hanno speso l'anno scorso quasi 700 milioni nel nostro Paese. E siamo, come specifica Paolo Fallai, "il secondo esportatore di audiovisione in America dopo la Francia". Per non parlare della lirica, che come ha testimoniato Tosca, è popolarissima fra i giovani di tutto il mondo, salvo che da noi. Che dire se non: vogliamo smettere di piangere sul nostro ombelico per mettere il naso fuori? Abbiamo ricchezze immense che sistematicamente tentiamo di buttare dalla finestra.

Dacia Maraini (Corriere della Sera)





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