A proposito di Raisins with almonds
Data: Mercoledì, 19 febbraio 2014 ore 08:15:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


È del tutto strano, se non incomprensibile, come un girovago nel campo della poesia alla ricerca di ispirazione possa essersi paracadutato in un minuscolo territorio noto con il nome di Sicilia, eppure è successo: quel folletto si chiama Stanley Barkan, e il suo frequente approdo fu la casa di Nat Scammacca posta alle pendici di Erice. Lo conobbi proprio in quella parte remota dell’isola, la città di Trapani, dove il poeta italo-americano autore di Due Mondi si era rinserrato dopo un lungo travaglio caratterizzato dall’incertezza dove alfine vivere e morire. Conobbi ivi altri poeti, tra stanziali; transfughi dalla civiltà edulcorata in cui viveva l’America in quegli anni; oppure anche loro affascinati dalla fuga verso confini inesplorati alla Jack Kerouac di On the road.

Ribelli all’ordine costituito; alimentati dal miraggio dell’eternità da conquistare attraverso poemi tipo omerico o semplici versi densi di malinconia o di speranza di un altrove dove trovare pace all’ansia – e amore imperituro – animarono l’ala più progressista degli isolani. Se ne fece portavoce Nat Scammacca sul settimanale Trapani Nuova. Si sentirono appagati e ritornarono negli States soddisfatti dell’esito di quello che sembrava essere stato il Gran Tour. Conservo ancora le loro cartoline scritte in inglese con brani di ricordi. Quasi tutti infatti erano passati da casa mia, oltretutto perché con me potevano parlare la loro lingua e sfogare la rabbia: quella che tra l’altro aveva dato origine alla Pop Art seppure in chiave squisitamente commerciale.
Se lasciarono un segno? Forse sì ma solo per poco tempo, essendo gli scrittori siciliani di versi restii ad alterare la propria struttura psichica e comportamentale: impregnati come da secoli sono stati di cantici e poemi di stile leopardiano o edipico; oppure di religiosità alla Ciullo d’Alcamo.

Resistette alla contaminazione da cultura autoctona, lo Scammacca. Tramite lui continuò il dialogo con quei colleghi (forse meglio confratelli) americani. In particolare egli coltivò il rapporto con Stanley Barkan, ospitandolo talvolta per lunghi periodi e facendogli conoscere non solo il miele delle api ma altresì quello dei frutti della campagna come l’uva (in siciliano “racina”), nonché la nostalgia: Scammacca per l’America lasciata ma non del tutto abiurata; Barkan la Terra Promessa, oggi Israele.
Sono stato ripetutamente, e ci ho anche vissuto, a New York. Sono stato ospite di Stanley: loquace come tutti gli ebrei che ho conosciuto a Los Angeles dove ho insegnato all’U.C.L.A. Dotati di witz; di senso spiccato dell’umorismo, seppure un tantino più grossolano di quello anglosassone; forbiti nel parlare quando impegnati in conversazioni colte; pragmatici quando invece il discorso attiene al transeunte. Sono pure stato in Israele più volte ed anzi ho scritto molto di Palestina, diaspora e Shoah. Il mio romanzo “Gilberte” è la testimonianza di ciò che ha provocato l’esodo: il desiderio del ritorno alla culla, se non l’alcova.
Questa forse la spinta emotiva che ha indotto il Barkan a stanziarsi mentalmente e poeticamente in Sicilia; questo il tormento di Scammacca nel non sapere più esattamente quale fosse la sua patria di origine né quella della fine.

Mi perviene un volume abbastanza consistente di versi scritti in inglese, tradotti in siciliano (come si trattasse di una vera e propria lingua compiuta ed estesa a tutte le branche del sapere) da Marco Scalabrino. Destinatari privilegiati risultano essere alcuni conoscenti ed amici di Stanley, tra cui io. Delizioso omaggio all’amicizia temprata dal comune interesse dato dalla letteratura: più propriamente la poesia se sopratutto impregnata di autentica poeticità vista quasi come seme della vita. Un percorso però à rebours, agli anni del mefistofelico amore per la verginità: la connotazione simbolica di cui gode quella parte dell’Isola che va da Mozia alle isole Egadi. E c’è poi la montagna ericina tanto cantata dallo Scammacca in un impeto di devozione alle divinità ctonie, la cui influenza si riversò sull’editore e poeta Barkan. Di tutto questo poeticamente narra il volume in esame, Raisins with almonds, curato da Gaetano Cipolla editore di Legas.
Dunque un prezioso documento tra nostalgico ed estetico; un canto lirico per l’isola immersa nel Mediterraneo che continua a nutrirsi di miti; che si astiene dall’entrare in competizione con la civiltà occidentale; che conserva una parte dell’innocenza adamita così spesso cantata dai suoi aedi.

Un libro comunque indiscutibilmente suscettibile di essere appropriato, goduto, recitato, cantato solo da chi conosca l’inglese o abbia dimestichezza con il dialetto siculo-trapanese. Per non dire della difficoltà a memorizzarne il senso.

Ignazio Apolloni - Ecodeimonti.it





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