Il 'Giovane favoloso', il film che fa rivivere Giacomo Leopardi
Data: Giovedì, 13 febbraio 2014 ore 07:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Pensieri e parole, Mario Martone apre lo scrigno dal quale si vedrà la breve vita del più grande poeta italiano, Giacomo Leopardi. Il titolo del film è "Il giovane favoloso", da un verso di Anna Maria Ortese. Il protagonista è Elio Germano, uno dei maggiori talenti italiani. Leopardi vive nei nostri ricordi scolastici, ma c'è uno stereotipo attorno alla sua figura. Germano, che idea aveva su di lui?
«Quella che abbiamo tutti, emana un grande fascino per la diversità letteraria rispetto agli altri scrittori che si studiano. È il primo poeta che parla di se stesso, mette l'esperienza personale al centro della sua ricerca, e gli studenti non fanno fatica riconoscersi in lui. Gli stereotipi nascono dall'idea del poeta costretto a casa, dalla sua deformazione fisica. A scuola Leopardi mi conquistò subito grazie a un ottimo professore di Lettere. Quello che più mi colpisce è la distanza dalle cose, questo vedersi distaccato dal mondo, che ritroviamo negli adolescenti di oggi».

Come si è avvicinato a Leopardi?
«Martone è un autore, la visione biografica che drammatizza certi aspetti va bene per una fiction, non ci perdiamo negli aneddoti. Certamente ho bisogno di qualcosa di fisico con cui confrontarmi, una metafora carnale. Prima di tutto ho cercato di riprodurre la sua scrittura, che dice molto del suo approccio, a quello che c'è dietro le parole. Aveva un'ossessione per la grafia pulita, sembra stampata. Nel tempo diventa meno pensata, nello Zibaldone scrive quaranta pagine al giorno, mette un sacco di "eccetera" per inseguire il ritmo del pensiero, ma la costruzione è logica e matematica. Uno scienziato dell'anima che analizza l'uomo con la lente di ingrandimento per mostrarne l'indecifrabilità, si accanisce per raccontare l'irraccontabile».

Avete girato a Recanati?
«Grazie agli eredi abbiamo girato nella sua casa, nella sua biblioteca, scorrendo i libri di cui si è nutrito. Ci sono leggende, come quella che Carmelo Bene di notte leggesse le poesie di Leopardi sul suo letto. Poi siamo andati nelle città visitate da Leopardi: Firenze, Napoli, Roma. in tutto dodici settimane, una rarità per un film italiano».

Fisicamente...
«Uno degli stereotipi è che si fosse ammalato per il troppo studio. La medicina ha accertato che soffriva del morbo di Pott, la tubercolosi ossea che aveva Gramsci, la distanza delle vertebre si riduce ed è come se il corpo si schiacciasse su se stesso. Ci siamo concentrati non sull'aspetto fisico ma sulla personalità multiforme. Leopardi poteva essere freddo e caldo, timido e sfrontato...».

Vita e, immaginiamo, opere: il film attraverserà anche i testi...
«Abbiamo letto le lettere, i Canti e le Operette Morali. Al premio della Crusca gli preferirono un illustre sconosciuto. Chi vive in un mondo di studi fatica a relazionarsi, aveva disagio nel comunicare la grandezza interiore, un'emotività che non riusciva a condividere. Sul set venivano docenti universitari. È stato il mio film più faticoso».

A quale dei temi leopardiani si sente più vicino? Il rapporto con la natura e con la scienza, la ricerca della felicità, il senso delle illusioni...
«Forse l'indecifrabile, il male e il bene, ciò che si oppone all'angoscia delle affinità della vita; dice che l'unica salvezza è nel fare la catena umana rispetto all'ineluttabilità del tutto. Ti affascina e ti spaventa. Io lo vedo come un Pasolini ante-litteram, un intellettuale scomodo. Ha anche scritto, da scienziato, un testo di astronomia che ha completato Margherita Hack».

La controversa figura del padre, Monaldo, l'amicizia con Ranieri?
«Il padre (che sarà Massimo Popolizio) lo ribaltiamo, quante gliene hanno dette a Monaldo... Probabilmente amava troppo suo figlio, una violenza psicologica può nascondere troppo affetto. E dietro la voglia di studiare del figlio c'era il desiderio di far innamorare suo padre. Ranieri (Michele Riondino) era più giovane di otto anni, ed era il suo opposto, prestante, atletico. I suoi amori, non si sa quanto immaginari o corrisposti, vivono sospesi in un dimensione onirica».

Perché nel mondo anglosassone stanno scoprendo Leopardi solo ora?
«Si riferisce alla prima traduzione dello Zibaldone? Ma lui soffre il problema della traducibilità, soprattutto nella lingua inglese, che è tagliata con l'accetta».

La poesia che le è più cara?
«A se stesso: è amarissima, una scultura che ha la violenza di una bestemmia».

Valerio Cappelli - Corriere della Sera





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