Piero Calamandrei e la Costituzione italiana. Un’intervista… possibile!
Data: Domenica, 09 febbraio 2014 ore 08:30:00 CET
Argomento: Redazione


Si definiva un "ingenuo capitano in un paese di furbi", lui che è stato docente universitario, giurista, giornalista, scrittore, politico, statista, ma soprattutto, poeta della Costituzione italiana e cantore della libertà e dei diritti dell'uomo. Piero Calamandrei, figlio di un avvocato, nipote di un magistrato, nato a Firenze il 21 aprile 1889, è stato uno dei padri nobili della Repubblica, membro dell'Assemblea Costituente che tra il 2 giugno 1946 e il 27 dicembre 1947, ha redatto la nostra "Magna Carta".

Professore ci racconti della sua giovinezza...
«Il mio è stato un mondo antico, mitico, quasi misterioso. Ricordo la mia casa tenebrosa, il nonno con la palandrana nera, l'ortolana, la sor'Assunta, lo zio Domenico, la bella Norina, don Prospero l'Imbalsamatore. Ricordo, soprattutto, i libri e la mia amata Firenze. Proprio allora m'è nato l'amore per la libertà, per lo studio del diritto... e per gli erbari!».

Soprattutto, l'amore per l'insegnamento...
«Dopo la laurea in Giurisprudenza, conseguita, nel 1912, all'Università di Pisa, volli continuare gli studi e la ricerca universitaria, così partecipai a vari concorsi universitari e, finalmente, nel 1915 vinsi la cattedra di Procedura Civile all'Università di Messina. La mia carriera universitaria è stata costellata di tanti sacrifici, ma anche di soddisfazioni, soprattutto, con i miei amati giovani studenti, con i quali ho instaurato sempre un rapporto quasi di filiale collaborazione e di stima reciproca. Poi, nel 1918, venni chiamato all'Università di Modena e Reggio Emilia, dopo due anni a quella di Siena ed infine, nel 1924, scelsi volontariamente di passare alla nuova facoltà giuridica di Firenze, dove tenni la cattedra di Diritto Processuale Civile. Poi, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, mi arruolai come ufficiale volontario, combattendo nel 218º Reggimento di fanteria; raggiunsi persino il grado di capitano e, successivamente, di tenente colonnello. Ma, a fine guerra, preferii lasciare l'esercito per proseguire i miei amati studi e l'insegnamento universitario».

Poi, purtroppo, venne il fascismo...
«Sin da subito capii la natura e la pericolosità del fascismo per il nostro fragile sistema democratico. E mi opposi con ogni mezzo! Infatti, subito dopo la marcia su Roma e l'avvento del regime fascista, divenni componente del consiglio direttivo dell'Unione Nazionale, fondata dall'amico Giovanni Amendola, e partecipai, insieme con Dino Vannucci, Ernesto Rossi, Carlo Rosselli e Nello Rosselli, alla direzione della rivista, di ispirazione azionista, "Italia Libera". Manifestai, da subito, e per sempre, la mia totale avversione alla dittatura di Mussolini e aderii, nel 1925, al Manifesto degli intellettuali antifascisti, di Benedetto Croce. Durante il ventennio fui uno dei pochissimi docenti universitari che non chiese la tessera del Partito Nazionale Fascista. Anche se, lo ammetto a malincuore, e me ne rammarico molto, collaborai con l'allora Ministro della Giustizia, Dino Grandi, per la stesura del Codice di Procedura Civile, del 1942, del quale contribuii anche a scrivere la relazione ministeriale di accompagnamento. Ma mi dimisi da professore universitario pur di non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che mi venne chiesta dal mio Rettore. E, inoltre, fui contrarissimo all'ingresso dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale a fianco della Germania, e nel 1941 aderii al movimento "Giustizia e Libertà" ed un anno dopo fui tra i fondatori del Partito d'Azione, insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri».

Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale lei ha scritto un libro molto originale, "L'inventario della casa di campagna". Perché? Forse, in quei terribili anni di guerra, per non pensare agli orrori del mondo, voleva chiudersi in se stesso?
«Ma non dica corbellerie! Ma davvero, caro amico, crede che la storia delle guerre e dei patiboli meriti più considerazione di quella delle nuvole e dei sentimenti? Passano i re e crollano gli imperi; ma i fiori, i funghi e gli uccelli, come se nulla fosse cambiato, tornano sempre al loro tempo. Questa mia storia è dunque più consolante della vostra: perché racconta che esistono leggi che non mutano col mutare dei regimi!».

Ma come le è nata l'idea di scrivere questo libro?
«L'idea è maturata dai ricordi della mia infanzia felice, vissuta a Montauto, a Montepulciano, con la scoperta della campagna, della madre terra, della natura, tra gli alberi arcigni e i funghi misteriosi. Ma i veri protagonisti del libro sono i cercatori di funghi, con le loro passioni, le loro tattiche, e le loro lievi follie. Ogni cercatore ha i suoi incantesimi, i suoi amuleti, le sue fobie. Ricordo ancora che fu una grande festa per me, quando, da bambino, trovai nel bosco il mio primo ovolo! Il libro, che sembra quasi un "trattato di micologia", parla, soprattutto, della mia vita e della mia infanzia. Il mio "inventario" vuole rappresentare un tempo inquieto, di contraddizioni, di battaglie, di aspettative... Il tempo della speranza!».

Cos'è rimasto del giovane "cercatore di funghi" nel Calamandrei  giurista, politico e scrittore civile?
«Per tutta la vita, in tutto ciò che ho fatto, mi sono sempre battuto con passione e convinzione,... senza risparmio alcuno! Sin dalla mia prima giovinezza, sino adesso,... quasi a guadagnare un tempo perduto, nel nome della libertà e dei diritti dell'uomo, della Costituzione e della Repubblica, ancora adesso minacciata e svilita. Anche da bambino credevo che la gente, quando andava nel bosco con il paniere, pensava alla giustizia e alle future generazioni... E invece, molti, pensano solamente... al proprio paniere!».

Prof. Calamandrei cos'è la nostra Costituzione?
«La nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte. In verità, è un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. È un testamento,... un testamento di centomila morti! La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lasci cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno metterci dentro il "combustibile". Bisogna metterci dentro l'impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, di assumersi le proprie responsabilità e di saperle portare a compimento, sino in fondo, con coraggio, dignità e rettitudine!».

Cosa direbbe ai politici d'oggi che vogliono "riformare" la Costituzione?
«Che la Carta costituzionale è la nostra strada maestra, il nostro faro, la nostra luce! Guai a distruggerla e ad offenderla! Da lì dobbiamo partire per costruire un'Italia più giusta e migliore. Dobbiamo pensare ai posteri, ai nostri nipoti, e consacrare quei principi che oggi sono soltanto velleità e desideri, ma che tra venti, trenta, cinquanta anni diventeranno leggi. Dobbiamo illuminare la strada a quelli che verranno dopo di noi!».

E cosa vorrebbe dire ai suoi amati giovani?
«Che la libertà è come l'aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare. Per cui, cari ragazzi, vigilate,... vigilate sempre! Non fatevi abbindolare dal... "grillo parlante" di turno! Studiate e amate la libertà e la Costituzione italiana!».
Sono trascorsi quasi settant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione, sono passate "bicamerali" e proposte di riforma (fallite), e quel "faro di luce"... dimostra di essere, ancora,... "la più bella del mondo".
Merito di uomini d'altri tempi,... di uomini come Piero Calamandrei.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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