Le leggi sul disagio mentale: dalle origini alla legge 180/1978
Data: Domenica, 02 febbraio 2014 ore 07:30:00 CET
Argomento: Redazione


Al fine di meglio capire l’attuale condizione dei malati psichiatrici è opportuno procedere ad un breve excursus storico sulla legislazione specifica in materia, che sta alla base dei diritti del malato mentale e dei loro familiari. La prima tappa è costituita dalla legge numero 36 del 1904, la quale disponeva che tutti gli individui affetti per qualsiasi ragione da una malattia di mente fossero coattivamente ricoverati in manicomio. In particolare, l’articolo 2 di questa legge prevedeva il ricovero manicomiale per le "persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé e agli altri e di pubblico scandalo". Tale concezione distorta del malato psichiatrico, quale alienato portatore di un pericolo sociale, legittimava la vigilanza sui manicomi pubblici e privati delle autorità di pubblica sicurezza: ministro degli Interni e prefetto (art. 8 legge cit.).
In questo testo normativo, che assume la medesima nozione di malattia psichica elaborata dalla scienza medica alla fine dell’Ottocento, il malato di mente è definito come alienato, ossia come soggetto irrecuperabile, in una condizione definitiva di alterità rispetto all’universo delle persone cosiddette normali. Di conseguenza, il disturbo psichico veniva indissolubilmente legato alla pericolosità sociale dell’individuo e la struttura manicomiale veniva legittimata quale unica risposta possibile in un’ottica meramente “segregativa” verso i soggetti ricoverati, laddove l’azione di custodia prevaleva nettamente su quella terapeutica. In altri termini, il cittadino ritenuto pericoloso per sé o per altri, o ritenuto di pubblico scandalo, veniva per ciò stesso internato dalla forza pubblica in ospedale psichiatrico, dove gli strumenti di cura più adottati erano la contenzione e l’elettroshock.
La situazione, determinata dall’applicazione della legge numero 36 del 1904, tende successivamente a consolidarsi, a seguito dell’entrata in vigore di nuove disposizioni che rinsaldano ulteriormente il sistema manicomiale in ragione del loro carattere repressivo. Si pensi all’art.153 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza, che sancisce l’obbligo, a carico degli esercenti le professioni sanitarie, di denunziare all’autorità di pubblica sicurezza le persone, da loro assistite, affette da malattie di mente o da gravi infermità psichiche, le quali dimostrino o diano sospetto di essere pericolose per sé o per gli altri.
Così nella stessa ottica, l’art. 604 del vecchio Codice di Procedura Penale (Codice Rocco del 1931) prevede l’annotazione nel casellario giudiziale delle sentenze di interdizione e di inabilitazione relative ai malati psichiatrici. A completare il quadro, l’art. 2 della legge 23 marzo 1957, numero 137, sospende il diritto di voto ai ricoverati nei manicomi. Tutto questo malgrado l’entrata in vigore, nel 1948, della Costituzione, che nell’art. 32, oltre a riconoscere in termini universali il diritto alla salute, quale bene di rilevanza non soltanto soggettiva ma anche collettiva, stabilisce espressamente che “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Dopo 20 anni dalla promulgazione di questo importante principio costituzionale si arriva alla legge n. 431 del 1968: “Assistenza psichiatrica e sanità mentale”, volta inizialmente a rifondare il sistema psichiatrico, ma successivamente naufragata, tant’è che il vecchio testo del 1904 resta pressoché intatto. Tuttavia, va ascritto a questo testo di legge il merito di aver, se non altro, indicato talune importanti linee guida, che troveranno applicazione, 10 anni più tardi, con il varo della riforma sanitaria. In particolare, essa abbozza un nuovo modello terapeutico e riabilitativo imperniato non solo sull’istituzione manicomiale ma anche su strutture extra – ospedaliere radicate sul territorio (i centri o servizi di igiene mentale, secondo l’art. 3 della legge in commento).
Il malato di mente viene sempre più avvicinato allo status di cittadino con titolarità di diritti e allontanato dall’aberrante concezione, anche giuridica, di alienato, talché viene, ad esempio, abolita la previsione dell’art. 604 del Codice di Procedura Penale che stabiliva l’annotazione sul casellario giudiziale dei provvedimenti di ricovero degli infermi di malattie mentali. La legge n. 180, approvata il 13 maggio 1978 col titolo, "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori", abolisce definitivamente l’istituzione manicomiale e contestualmente sul piano giuridico depenalizza la malattia mentale (l’art. 10 sopprime dal Codice Penale le parole “alienati di mente”), e dunque la funzione dell’ospedale psichiatrico quale difesa della società dal presunto concetto di pericolosità del malato mentale. La legge 180 oltre la chiusura dei manicomi prevede, per rendere effettivo il processo di deospedalizzazione, la parallela apertura di una pluralità di centri e servizi territoriali, destinati a garantire gli interventi terapeutici in un’ottica di rapporto costante con il territorio, spostando l’asse del lavoro degli operatori sul sociale, in una dimensione più vicina ai luoghi abituali di vita delle persone sofferenti.
Riportiamo, di seguito, alcuni degli articoli più significativi della sopracitata legge. Art. 6: “Gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi psichiatrici extra – ospedalieri […]”. Art. 7: “[…] E’ in ogni caso vietato costruire nuovi ospedali psichiatrici, utilizzare quelli attualmente esistenti come divisioni specialistiche psichiatriche di ospedali generali, istituire negli ospedali generali divisioni o sezioni psichiatriche e utilizzare come tali divisioni o sezioni neurologiche o neuropsichiatriche. […]”. Art.8: “[…] negli attuali ospedali psichiatrici possono essere ricoverati, sempre che ne facciano richiesta, esclusivamente coloro che vi sono stati ricoverati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge e che necessitano di trattamento psichiatrico in condizioni di degenza ospedaliera”. La legge 180, in attuazione dell’art. 32 della Costituzione, nell’art. 1, sottolinea la necessità di “accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso per quanto è possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”.

Pasquale Musarra, psicoterapeuta





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