Volevano insegnato il valore della vita
Data: Domenica, 02 febbraio 2014 ore 07:00:00 CET
Argomento: Redazione


In una serata di follia collettiva, il 2 febbraio del 2007, moriva l'ispettore capo della polizia Filippo Raciti, colpito, nell'adempimento del proprio dovere di tutore dell'ordine, dalla barbarie di un tifo calcistico parossistico e tribale durante il derby Catania-Palermo. Il fatto suscitò dolore e sgomento, soprattutto fra i giovani studenti dello Spedalieri. I quali esposero per mezzo stampa sul quotidiano La Sicilia il loro sconforto e le loro perplessità, ponendosi domande sul senso e sul valore della vita in ordine ai fatti accaduti.
Ne nacque un ampio e interessante dibattito in tutte le scuole di Catania e nella società civile; in particolare al Liceo Spedalieri si organizzarono assemblee, conferenze, tavole rotonde, e discussioni e appassionati confronti e scambi risentiti di idee spesso tutt'altro che convergenti e concilianti tra docenti e alunni, ecc. ecc.
I giovani sgomenti ponevano domande sul senso e sul valore della vita e sul perché una semplice partita di calcio aveva potuto produrre tanta violenza fino all'omicidio.

Scrissero una lettera aperta al quotidiano "La Sicilia", insoddisfatti e delusi dalle risposte date dai loro insegnanti in quella tragica occasione. Io intervenni con un articolo ( pubblicato, poi, da "La Sicilia") che qui di seguito ora mi piace riportare, a testimonianza di quanto è stato (ed è ancora) forte in me il legame con i miei studenti e con la scuola. Ecco il testo nella sua versione integrale:

"Ma guarda un pò in che guai si son cacciati gli studenti dello "Spedalieri" per una semplice quanto garbatamente appassionata e sincera letterina scritta ai loro professori e pubblicata - ahimè - sul quotidiano La Sicilia, il 15 febbraio. E che? Non lo sanno 'sti ragazzi che con i prof. non si scherza mica e non si interloquisce così? Parlar loro per mezzo stampa non è poi il massimo della civiltà della parola! E poi, come è venuto in mente agli scolari di fare certe domande e per giunta in pubblico? Pensavano, forse, che la scuola sia il luogo di trovare risposte? E massime dai professori? O imperdonabile impudenza di giovanile candore!

Sto scherzando, ragazzi! Suvvia non ve la prendete. Lo so che non avete fatto nulla di male. Anzi: non è forse la democrazia discussione? Ed essa non nasce forse dal reciproco domandarsi del perché e del per come delle cose? Non è la scuola il luogo dove si pongono domande e - perché no - si aspettano risposte? Forse avete posto domande troppo impegnative e i vostri professori - almeno alcuni di loro, anche se i più volenterosi - non se la son sentita di rispondere, piuttosto si sono proprio incavolati e tanto annebbiata la vista da scambiare la vostra domanda di aiuto "a trovare il senso del vivere e del morire" in domanda di Verità con la V maiuscola! Da qui, forse, il traumatico disorientamento con risentita corrispettiva risposta. Cari colleghi, c'è un equivoco! Gli studenti che vi hanno scritto quella lettera sospettano di tutti i "profeti" veri o falsi che siano. I nostri giovani studenti non vogliono essere "i soldatini di piombo" di nessuna crociata cattolico-integralista o edonistico- consumistica, né tanto meno si "esaltano per le verità rivelate" - come dite voi - (La Sicilia, 4 marzo).
Vogliono più semplicemente essere persone prese "più sul serio". Quella che loro chiedono proprio non è la "Verità" che avete voluta intendere voi! Al contrario, codesta "Verità" rifiutano come quella che si esprime in "codici di credenze e comportamenti astratti, come i catechismi, cattolici o laici che siano" (G. Zagrebelsky).

La domanda di "felicità e di verità" che i ragazzi si sono vista censurare è quella che si incarna in ogni essere umano, che agisce dall'interno delle coscienze, che incalza, che spasima e che procede come ricerca del "senso della vita e della morte" che, tra tutte le domande, è la prima! E non è una domanda teologica ma filosofica, come quella, per esempio, che si chiede: Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla? Orbene, sentirsi rispondere da educatori: "Non possiamo, né vogliamo (sic!) darvi delle risposte", questa, per me, in verità è "barbarie": un farfugliare furbastro che non ha niente a che vedere con la "scuola pubblica, cioè democratica e laica". Una barbarie ideologica al limite della deriva nichilistica.
I giovani chiedevano, dopo la tragedia consumatasi allo stadio di Catania il 2 febbraio, di "avere bisogno di qualcuno che li aiutasse a trovare il senso del vivere e del morire", qualcuno che "non censurasse la loro domanda di felicità e di verità".
Chiedevano ai loro docenti educatori, alla scuola di spiegargli perché si debba morire per una partita di pallone, che senso ha più la vita quando manca il rispetto della persona, quando, nulla essendo più certo, tutto diventa lecito. E non è domanda questa teologica, ma struggentemente esistenziale, filosofica. Sentirsi rispondere da parte di educatori: "È meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione, il ragionamento, e che possono essere verificate e provate", questa per me è la risposta più generica e bassa come profilo culturale che la scuola come comunità educante possa dare a dei giovani in cerca della loro crescita umana e culturale. Volevano insegnato il valore della vita in un giorno in cui avevano visto la vita di un povero poliziotto sacrificata sull'altare di una partita di calcio, ma "la scuola pubblica democratica e laica", ha risposto che ognuno se lo cerchi per conto suo il valore della vita "tramite lo studio del cammino culturale dell'uomo sociale" (sic!). Parole queste sì da far perdere agli alunni "il gusto del vivere" a scuola"!

Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com





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