Lettera a Sant’Agostino (Parte II)
Data: Domenica, 19 gennaio 2014 ore 08:30:00 CET
Argomento: Redazione


Anche tu godesti, Agostino. Del tuo passato dici: «Non c’era altro allora che mi piacesse più che amare ed essere amato, ma non sapevo stare nella misura… La mia anima era dunque malata, avida di avvilenti contatti con corpi materiali». Quanto hanno in comune i ragazzi di oggi con te! Anche per questo i giovani sono sempre alla ricerca di gente che li sappia trascinare con entusiasmo. Aiutarli a sfondare la loro sordità e a intravedere il senso delle cose nel fugace incedere della storia. E che cammino duro devono fare questi giovani, spesso soli nel deserto delle immagini e dei suoni festaioli…. Un giorno a lezione una studentessa mi dice: «Prof, sa che la pillola anticoncezionale non funziona sempre? Mia madre me lo ripete sempre…». Ma me ne vengono in mente tanti, ahimè. Come Ruben, il sudamericano dal collo tatuato e col berretto sempre in testa che dietro la durezza dei modi nasconde ferite inflitte da una famiglia frantumata. O Nicola, a cui è stato trasmesso il comandamento, “Ognuno nella vita fa quello che vuole”, figlio di una morale benpensante a cui sfugge il senso della misura e crea un’inflazione di libertà, che senza un raffronto credibile di paragone – come il tuo «Ama e fai ciò che vuoi» – finisce per arruolare nuovi adepti.

Mi chiedo: in chi si potranno rispecchiare i ragazzi? Lo stesso Gesù domanda: «Quando il Figlio del’Uomo verrà, troverà la fede sulla terra?». Dove sono i testimoni per questa nuova generazione di dubbiosi genetici tuttavia assetati di conoscenza? Mi pare non ce ne siano molti, proprio perché a molti “maestri” d’oggi sfugge la consapevolezza di cosa e come sia la natura profonda dell’essere umano. Mentre questo, Agostino, l’avevi afferrato bene, quando dell’uomo dicevi: «Certo che sono abiette anime queste che se ne vanno via, lontano da te, inseguendo i loro amori profani e sudici guadagni di cui riderà il tempo». Sebbene l’uomo sia uno che sbaglia, oggi c’è questa diffusa convinzione di una creatura che si basta da sé, che si autodetermina, e che in quanto tale si forgia una morale ad hoc. È tutto relativo qui, caro Agostino. Quante volte ci scontriamo con i ragazzi su questi temi! Per poi incontrarci nel riconoscere che il punto di arrivo di questa mentalità è caduco, perché lo afferma l’evidenza dei fatti. Eppure sembra avverarsi la profezia dell’antico sofista Protagora: «L’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono», ed eccone la conseguenza: la libertà umana come capacità di fare quello che si vuole.

E il risultato qual è? Un essere sempre più smarrito nella sua identità frammentata e nei suoi relativismi sfibranti.
Paradossalmente in questo pare celarsi un aspetto positivo, un tempo propizio per la buona novella. Se infatti da una parte l’uomo odierno attorno a sé sembra fare deserto, dall’altra nell’immagine della desolazione circostante emerge una cosa buona: l’uomo finalmente torna a percepirsi nella sua propria dimensione. Anzi, pare che, facendosi terra bruciata attorno, l’essere post moderno non possa più fare finta di non vedersi e di non sentirsi. E in questa aridità, imponente come un faro in mezzo alla burrasca, si erge quanto tu, Agostino, ci lasci in eredità sulla forza dirompente dell’amore: «Ama e fai ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene».
Alen Custovic Tempi.it





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