Lettera a Sant’Agostino (Parte I)
Data: Domenica, 12 gennaio 2014 ore 08:30:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Agostino d’Ippona, ti conobbi nell’età che più di tutte tormentò anche te, la giovinezza delle passioni che ci segna con le sue esperienze. Mi domando: possiamo il ragazzo che fui e il giovane che oggi vedo di fronte a me, lo studente dall’altra parte della cattedra, rispecchiarci in un uomo dell’antichità? In te Agostino, gigante del pensiero, ma prima ancora del vissuto umano alla ricerca inquieta della verità. Nascesti a Tagaste, nell’attuale Algeria, perciò oggi, a prima vista, saresti un extracomunitario, una faccia maghrebina tra le tante. A 17 anni eri già immerso nell’ozio e nella degenerazione morale; avesti una relazione illecita con una giovane donna e diventasti padre di Adeodato, Adeodatus, che chiamasti così perché lo consideravi un “dono di Dio”.

Eccolo qua, dispiegato attraverso 17 secoli, come un universale idealtipico nel tempo, il profilo del giovane di oggi: un piccolo dio di se stesso, intrappolato nella finitezza delle proprie pretese. Monco nella propria imperfezione ma nel frattempo anelante a qualcosa d’infinito. Così eri tu, Augustinus, grande retore, dotato di un’arte oratoria e sottigliezza psicologica fuori dal comune; entrambi sostenuti da un inarrestabile bisogno di conoscere. Tu, un emblema esistenziale nell’odierna crescente sfida educativa. Perché accanto a tutto il resto, noi come te, da sempre, mentre la viviamo ci poniamo la stessa domanda sul senso della vita. E perché poi? Perché da allora non è cambiato niente: anche se crede, l’uomo ha necessità di capire. Anche qui ci hai lasciato un insegnamento memorabile: “Prega per comprendere”.

Su questa esigenza di capire, di spiegare non si fa che citare quando dice Pietro nella sua lettera: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ed è sacrosanto, ma pochi aggiungono le parole che seguono: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza». Di questa dolcezza e rispetto, nel loro percorso verso il capire, hanno bisogno anche i ragazzi smarriti in cui ti rivedo oggi, Agostino. Persone che non si vogliono riconoscere negli “adulti” logori che li circondano e di cui si trascinano le sfiducie; nelle mamme ossessionate dai tacchi a spillo, nei padri afflitti dal tempo che passa a cui si oppongono con un patetico tentativo di fermalo. Come dargli torto?

Sono i ragazzi che “educo” in una scuola che si è lasciata intorpidire dalle pratiche trasmissive che mortificano l’originalità e la differenza, soffocando il confronto e la discussione; i tanti Agostino anonimi che urlano dietro fugaci post lasciati su bacheche virtuali di cui farebbero a meno se solo avessero una credibile alternativa sociale, familiare. Quando al contrario si dà spazio al confronto si crea relazione. I giovani sperduti nel nichilismo autolesionista sono i primi che ne avvertono il peso insostenibile. Infatti, non tutti si sono arresi; come non lo fosti tu. I ragazzi, più dei grandi, sono stanchi di formule e strategie, di strutture e contenitori; ricercano sorgenti che spargano acqua fresca sulle loro anime aride, non perché sterili, ma perché lasciate incolte. C’è in essi, come c’era in te, una domanda di ragioni a cui non si possono dare risposte preconfezionate. Sono afflitti da conformismo e pessimismo striscianti (camuffati dall’onnipotenza dei “subisci l’attimo fuggente”), nascosti dietro a un gioco di ruoli e maschere da cui nessuno può dirsi estraneo. Ma proprio perché è così, gli Agostino d’oggi, acuti osservatori ma indolenti nell’azione, rifuggono da chi non sa creare relazione; da chi non sa provare a tirare fuori il meglio da sé e dagli altri. Da chi non sa fare incontri, da chi non ama fermarsi e salutare, stringere la mano e sorridere con gli occhi, da chi non conosce la luminosità dell’incontro e non è portatore di buone notizie da raccontare. Il che è faticoso, sia ben chiaro. Di questo si accorgono in molti, perciò ci provano in pochi.

Anche tu cercavi risposte, Agostino, con coscienza, come quando fosti tra i manichei e dicesti: «Fu così che mi imbattei in uomini farneticanti nella loro presunzione, carnali e parolai. Il loro cuore era vuoto di verità. Ripetevano: “Verità, verità”. E me ne parlavano molti, ma non la possedevano; anzi, insegnavano falsità non solo su di Te, che sei la verità, ma anche sulla essenza del mondo». Tutti rifuggiamo dei falsi maestri, particolarmente i giovani che più degli adulti li riconoscono a pelle.   
Gesù diceva: «Guardatevi dagli scribi, che vogliono passeggiare in lunghe vesti e si compiacciono di essere salutati nelle piazze, di avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti; divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Infatti, non si può dare agli altri ciò che noi per primi non possediamo.

Alen Custovic - Tempi.it





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