Vangelo, il futuro è oltre l'Europa
Data: Mercoledì, 25 dicembre 2013 ore 06:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


«Erano tempi belli, splendidi, quando l’Europa era un Paese cristiano, quando un’unica cristianità abitava questa parte del mondo plasmata in modo umano; un unico, grande interesse comune univa le più lontane province di questo ampio regno spirituale». Queste sono le celebri frasi introduttive di uno degli scritti programmatici più influenti del primo romanticismo tedesco, cioè del frammento Cristianità o Europa di Novalis, scritto nel 1799.

Una concezione del tutto particolare e del tutto nuova del passato, del presente e del futuro affiora dal suo suggestivo testo. Quanto al passato dell’Europa, esso viene immerso con il tono nostalgico delle favole in una luce che sa di età dell’oro; soprattutto il Medioevo appare retrospettivamente come un’epoca contraddistinta da una cristianità omogenea. Invece il presente è descritto in modo estremamente critico. In esso regnerebbero l’egoismo, un razionalismo soffocante e interessi materiali detterebbero legge. La causa principale di questa triste situazione e di queste perdite sembrerebbe risiedere nella secolarizzazione dell’Europa.

Quanto più desolato è il quadro del presente dipinto da Novalis, tanto più luminoso è lo sguardo gettato sul futuro. Egli prevede l’avvento di uno Stato europeo sovranazionale, che sarà tenuto insieme da un cristianesimo rinnovato, supererà la sua divisione confessionale e, con spirito cosmopolitico, non escluderà altre parti del mondo, ma inviterà alla pacifica convivenza. Molto importante è qui per lui il fatto che questo cristianesimo rinnovato non sarà più «irreligiosamente chiuso entro confini statali» , ma saprà mantenere la propria distanza dagli interessi di ogni singolo Stato.
Vale la pena di chiedersi brevemente come vadano giudicate oggi le tre affermazioni fondamentali di Novalis. L’Europa è stata mai omogeneamente cristiana? Oggi essa è completamente secolarizzata? Il suo futuro sarà il futuro di un cristianesimo rinnovato, oppure il cristianesimo emigrerà dai suoi confini?

Alla prima domanda mi pare che si debba rispondere con un chiaro «no». Nessuno oggi contesta più l’ininterrotta importanza della religione ebraica nella storia europea. E neppure l’islam è diventato una parte dell’Europa solo con l’immigrazione di manodopera nel corso degli ultimi decenni, ma ha al contrario una lunga storia europea soprattutto nella penisola iberica e nei Balcani. Inoltre, pratiche e idee religiose precristiane continuarono a rimanere vitali fin nel tardo Medioevo, soprattutto in vaste parti dell’Europa settentrionale e orientale. La cristianizzazione di alcuni Paesi, per esempio della Lituania, ebbe luogo solo nel XIV secolo. L’assimilazione del cristianesimo ha continuato a essere influenzata per lungo tempo, forse fino a oggi, dalla specifica religione precristiana della popolazione. Gli antichi politeismi (soprattutto quelli greci e romani) non hanno fatto sentire il loro influsso solo una volta nella storia europea della religione e della cultura, cioè nel Rinascimento , ma hanno rappresentato una continua fonte di ispirazione o una sfida.

Parlare di un cristianesimo unitario significa, inoltre, perdere di vista la sua intrinseca eterogeneità. Dalla Riforma protestante e dalla conseguente divisione della Chiesa in poi, il carattere drammatico del rapporto tra le diverse forme di cristianesimo è divenuto evidente. Più importante nel nostro contesto è il fatto che non sia stata solo la Riforma protestante ad avere la conseguenza non voluta del pluralismo. La separazione tra la cristianità ortodossa e quella latina era avvenuta già secoli prima. Inoltre, nel Medioevo la Chiesa latina fu caratterizzata da una notevole molteplicità interna e dovette far di continuo fronte ai cosiddetti movimenti ereticali. E, infine, l’avvento dell’«opzione secolare» (Charles Taylor), cioè la crescente possibilità di disporre di immagini del mondo indipendenti dalla fede religiosa, costituisce un passo in avanti sostanziale nella direzione del pluralismo, dato che la reazione alle nuove immagini secolari del mondo può imprimere a sua volta un’ulteriore spinta verso nuove secolarizzazioni oppure rendere le persone più disponibili ad adottare tradizioni religiose orientali – neppure in questo caso, quindi, abbiamo a che fare solo con la secolarizzazione.

Bisogna perciò immaginarsi l’Europa come un continente indubbiamente ricco di tradizioni di pluralismo religioso. L’Europa, si potrebbe dire in maniera riassuntiva, non è stata mai unitariamente cristiana, così come del resto il cristianesimo non è stato mai solo europeo. Quando ci si lascia prendere dall’entusiasmo per un Occidente cristiano, si dimentica facilmente che il cristianesimo non solo non ha avuto origine in Europa, ma anche che all’inizio esso si diffuse attraverso molteplici vie, alcune delle quali poste ai margini estremi dell’Europa o che conducevano lontano da essa (Armenia, Georgia; i copti; la diffusione verso l’India o dei nestoriani fino in Cina). Non è un caso che, oggi, nell’epoca della globalizzazione del cristianesimo, si prenda maggiormente coscienza di questa storia dimenticata o «perduta».

Alla seconda domanda – se l’Europa sia ormai ampiamente secolare – dobbiamo rispondere oggi affermativamente con più sicurezza di quanto non si potesse fare al tempo di Novalis. Guardando indietro rimaniamo sorpresi nel notare come, attorno al 1800, lo spirito del tempo vedesse la religione sulla difensiva in diverse parti d’Europa. La situazione odierna è estremamente eterogenea. Oggi l’Europa è effettivamente molto secolarizzata in alcuni Paesi e, fatte poche eccezioni, anche nei Paesi più secolarizzati parti consistenti della popolazione appartengono a raggruppamenti religiosi, condividono verità di fede e partecipano almeno occasionalmente a pratiche e riti religiosi.

Quanto al futuro, azzardo con grande prudenza alcune previsioni: soprattutto le dissoluzioni – ma anche le nuove formazioni – di ambienti animati da uno spirito religioso e la grande importanza della migrazione verso l’Europa per la situazione religiosa del continente. Ovviamente, altrettanto importante è anche il revival religioso in quei Paesi postcomunisti, in cui è possibile constatarlo (Russia, Romania). Va sottolineato il fatto che la messa in discussione dell’idea che la modernizzazione conduca necessariamente alla secolarizzazione dischiude senza dubbio nuove possibilità alla fede. In ogni caso, il futuro dell’Europa non sarà, nei prossimi decenni, il tempo di un rinnovato cristianesimo, anche se si dovesse arrivare a tale rinnovamento. Il futuro dell’Europa sarà un futuro multireligioso; ed esso dovrebbe essere caratterizzato da una nuova reciproca apertura dei credenti e dei non credenti, posto che essi concordino circa gli orientamenti fondamentali, in fatto di valori, dell’universalismo morale.

Avvenire.it





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