Il Cantico dei Cantici volgarizzato, le versioni dialettali del testo biblico
Data: Domenica, 22 dicembre 2013 ore 07:45:00 CET
Argomento: Redazione


Sesso e mistica si mescolano in maniera inestricabile nel Cantico dei Cantici, un componimento considerato di sconvolgente bellezza dai credenti, che ne ravvisano il messaggio divino, sebbene l’Onnipotente non sia mai espressamente citato nel testo. Quest’inno sacro all’amor profano è stato interpretato in vario modo: come immagine dell’amore di Dio per l’Uomo, di Cristo per la Chiesa, simbolo di storia d’amore tra uomo e donna. Proprio quest’ultima ardita interpretazione ha messo in imbarazzo gli esegeti; e perciò, fin dai primi chiosatori, il Cantico dei Cantici è stato recepito dai più come testimonianza del rapporto d’amore spirituale con Dio. Autorevoli rabbini sentenziarono tale interpretazione, allo scopo di mettere a tacere i commentatori che, invece, interpretavano in senso naturalistico l’esplicita descrizione dei fremiti carnali.
L’umanista Ugo Grozio (1583-1645) ravvisò licenziosità nelle espressioni di fuoco del Cantico dei Cantici, i cui penetranti segreti dovevano esser ignorati dal popolo: difatti, l’Inquisizione spagnola imprigionò il frate Luis de Lèon (1527-1591) che lo aveva tradotto in castigliano.
Le eccelse elevazioni mistiche di Teresa d’Avila (1515-1582) si nutrirono della lettura del testo e la religiosa fu più volte invitata a dare alle fiamme le sue “Meditazioni sul Cantico dei Cantici”, che aveva scritto quasi clandestinamente (come testimonia visivamente un dipinto barocco, conservato nella Chiesa di Santa Teresa a Mantova).

In tempi più recenti, l’allegoria perpetua di Gesù Cristo con la sua Chiesa (in ambito cristiano) e la metafora del legame tra Iahvè e popolo di Israele (nella tradizione ebraica) continuano ad esser sottese al Cantico dei Cantici, che nel 1975 è stato ritradotto da Guido Ceronetti, noto per aver trasformato, con un radicale cambio di prospettiva, il testo biblico in sogno erotico, come impone di pensare l’immediata lettura del testo. Le inquietanti suggestioni ceronettiane, dopo aver avuto una vasta eco editoriale, sono state recentemente stemperate dal priore Enzo Bianchi, protagonista di letture pubbliche che consegnano il testo biblico all’attualità.

Quanto fin qui scritto basta per dimostrare che il Cantico dei Cantici ha ispirato pensatori e scrittori di ogni tempo, con innumerevoli traduzioni in ogni lingua e anche versioni in dialetto. Uno degli esiti più recenti si deve alla casa editrice Le Farfalle, di Angelo Scandurra. Il titolo, "Canticu di’ Cantici", non lascia dubbi sul contenuto del volume, che nella quarta di copertina riporta un brano espressivo (Mèntimi comu signaturi no’ to’ cori,/ comu signaturi ne’ to’ vrazza:/ picchì forti come la morti è l’amuri,/ pussenti comu l’infernu è ‘u disìu…). L’autore della versione in dialetto siciliano (misterbianchese, per la precisione) è Angelo Battiato, che - confrontandosi con “il più grande testo d’amore di tutte le letterature” - valorizza il suo territorio e storia, le sue origini e tradizioni, consegnando al vernacolo il ruolo di lingua dell’emozione, dell’identità e dell’appartenenza.

Angelo Battiato non è stato il primo a tradurre nella parlata locale il testo biblico. Già 150 anni fa Luigi Scalia volgarizzò in dialetto siciliano “Il Cantico de’ Cantici di Salomone” (London, Strageways & Walden, 1860, 19 p.). Il luogo di edizione non deve stupire. Il libro dello Scalia (patriota, inviato nel 1848, con il principe di Granatelli, in missione a Parigi e Londra dal governo rivoluzionario siciliano) fu finanziato dal dialettologo e mecenate Luigi Luciano Bonaparte (1813-1891), il nipote di Napoleone che, appena prima dell’Unificazione italiana, stampò a spese sue a Londra le traduzioni nei vari dialetti di testi biblici. Queste trasposizioni, di aiuto anche per ricerche filologiche, furono utili alla conservazione di lingue rare o in via di estinzione: il sardo, ad esempio, ebbe versioni nelle sub varianti regionali sassarese, gallurese di Tempio, logudorese ecc con l’adozione di una grafia adeguata. Oltre a fotografare lo stato dei dialetti italiani della sua epoca, Luigi Luciano Bonaparte commentò il “Vangelo secondo Matteo volgarizzato in dialetto siciliano da Luigi Scalia” (London, Strangeways & Walden, 1861, ristampato da CLUEB nel 1997).

Sarebbe interessante fare delle osservazioni linguistico - comparative tra il dialetto usato nel 1860 dallo Scalia (che era originario della Sicilia occidentale) e quello impiegato, oggi, da Angelo Battiato, analizzando la struttura fonetica-grammaticale e tenendo conto delle eventuali differenze nella trascrizione del siciliano. Al di là di questo aspetto morfologico -  linguistico, resta il fatto che il dialetto continua ad avere un rapporto vitale con la comunità, come dimostra anche l’esuberanza dell’odierna poesia amorosa vernacolare. Proprio alla sfera affettiva riporta lo spirito del Cantico dei Cantici, una composizione in cui uomo e donna - si badi bene - non si incontrano mai, nonostante il loro vicendevole desiderio di compenetrarsi. Enigma di un testo ambiguo. Ma, come diceva Ignazio Silone: "Per capire bene le parole sacre bisogna trovarsi in stato d’innocenza; anche allora, però, esse possono essere misteriose".

Francesca M. Lo Faro





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