Pedullà ripercorre la letteratura del ‘900
Data: Mercoledì, 18 dicembre 2013 ore 07:00:00 CET
Argomento: Recensioni


I grandi studiosi di letteratura con le loro opere saggistiche mostrano quanto profondi e indissolubili siano i rapporti tra la letteratura e la storia, tra i linguaggi della cultura e la rappresentazione della realtà. Nel suo saggio vasto e poderoso Walter Pedullà, uno dei maggiori studiosi e critici letterari del nostro Paese, descrive e interpreta nel suo libro, edito dalla Rizzoli ed intitolato “Modelli e Storie della letteratura del XX secolo”, quanto è accaduto nella cultura del Novecento. Il secolo inizia culturalmente con la crisi che sconvolge il panorama letterario nei primi anni del ‘900.   

A causa della crisi il naturalismo, che aveva dominato la cultura del secondo Ottocento influenzata dal romanticismo, entra in crisi. Questo accade perché, fa notare Pedullà nel suo libro, il meccanicismo positivista e determinista non aiuta più a capire la causa da cui gli eventi dipendono. Infatti con la nascita del futurismo, dovuta alla pubblicazione del manifesto di Tommaso Marinetti, inizia il fenomeno dell’avanguardia, il cui obiettivo artistico consiste nel ripudiare la tradizione letteraria contemplata dai canoni estetici del passato e nell’innovare profondamente i linguaggi della cultura. Con il futurismo si manifesta il fenomeno dell’avanguardia, nell’ambito del quale rientrano le correnti culturali quali il surrealismo, il dadaismo, l’espressionismo, il formalismo russo, lo sperimentalismo linguistico.

Luigi Pirandello ai primi del Novecento pubblica il famoso saggio sull’Umorismo, per mettere sotto accusa e smascherare la vacuità di fronte alla crisi della cultura legata alla vecchia logica e alla retorica del passato. La realtà non ha più un fondamento che consenta di cogliere il rapporto tra la causa e gli effetti dei fenomeni di cui l’uomo è testimone e osservatore. I pensatori del sospetto, come Nietzsche, Freud, Marx, dimostrano che la morte di Dio, la scoperta dell’inconscio e le trasformazioni dovute alla modernizzazione capitalistica, hanno modificato il panorama culturale, sicché i linguaggi della vecchia cultura entrano in crisi, collassano e si estinguono. Non è un caso che lo scrittore che meglio di altri nel Novecento ha saputo descrivere e rappresentare la crisi dell’uomo di fronte alla modernità sia stato Italo Svevo, autore del celebre romanzo “La Coscienza di Zeno”.

Questo autore e la grandezza della sua opera vennero riconosciute solo in un secondo momento, poiché al loro apparire le opere di Svevo non vennero comprese dalla cultura letteraria del tempo. Aldo Palazzeschi è autore di un libro straordinario “Il Codice di Perelà”, romanzo futurista, nel quale un uomo di Fumo scende dal camino per scrivere un nuovo codice con cui salvare un Paese in procinto di fallire, senza tuttavia riuscirvi. Nel libro ampio spazio viene dedicato alla figura di Giacomo Debenedetti, il più grande studioso di letteratura del Novecento. Debenedetti è autore del grande saggio intitolato “Il Romanzo del Novecento”, nel quale dimostra come le grandi narrazioni di Joyce e Proust, destinate ad influenzare la cultura del secolo, fossero basate sulla Epifania di Epifanie e sulla Intermittenza delle Intermittenze.

Questi termini usati da Debenedetti spiegano ed aiutano a capire il famoso flusso di coscienza ed il monologo interiore, registri espressivi che hanno profondamente modificato la forma del romanzo sul piano della struttura e dello stile, segnando una differenza ed una svolta tra il romanzo ottocentesco di impianto verista e naturalista e quelle novecentesco, sperimentale ed espressionista. Infatti per Giacomo Debenedetti gli scrittori del Novecento con l’occhio sinistro osservano e ritraggono la società, con quello destro scrutano i meandri misteriosi ed oscuri del proprio inconscio. Ampio spazio viene riservato nel saggio al ruolo che ha avuto Gabriele D’Annunzio nel formare una lingua letteraria magniloquente e retorica, con cui la realtà nel periodo fascista è stata reinventata artificialmente, senza essere tuttavia descritta e compresa.

Sono memorabili per chiarezza e perspicuità le interpretazioni critiche di Pedullà volte a spiegare la poetica di grandi scrittori come Tozzi, Moravia, Savinio, Landolfi, Sciascia, Calvino, Primo Levi. Per capire la differenza di stile e di linguaggio tra questi grandi scrittori, è opportuno tracciare una distinzione, cara sempre a Debenedetti, tra l’epica della realtà, il realismo, e l’epica dell’esistenza, l’esistenzialismo e la fenomenologia. Tozzi narra nei suoi libri il conflitto tra padri e figli e la nevrosi da cui è posseduto l’uomo moderno. Moravia con il romanzo fenomenologico dà forma visibile all’alienazione nel mondo Borghese, si pensi al suo libro celeberrimo “La Noia”. Savinio e Landolfi con la loro prosa splendida sospesa tra atmosfere surreali e fantastiche narrano lo smarrimento dell’uomo in un mondo in cui si è soli e privati delle vecchie certezze del passato. Nel libro le pagini più belle e perspicue sono dedicate a Gadda.

Nel suo libro “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, Gadda racconta le peggiori turpitudini umane per rivelare la dimensione tragica dell’esistenza e per dimostrare che l’uomo agisce spinto dall’interesse e dal desiderio erotico. Proprio con i libri di Gadda irrompe nella scena letteraria italiana il nuovo linguaggio dell’espressionismo, che è basato sulla combinazione plurilinguistica tra stili diversi, sicché il linguaggio colto convive con quello popolare. A questo proposito Gadda parlò, a proposito della prosa espressionista, della deformazione integrativa della lingua letteraria.

Calvino è stato uno scrittore che nelle sua opere ha sperimentato diversi linguaggi culturali, da quello storico esistenziale, si pensi al “Sentiero dei nidi di ragno”, a quello sperimentale, con l’opera “Le Cosmicomiche”. Sciascia con opere mirabili, quali “Todo Modo” ed “Il Contesto”, ha indagato la dimensione occulta del potere mafioso e politico. Primo Levi, testimone della shoah, nella sua vasta opera ha descritto a quali livelli di abiezione può arrivare l’uomo, che sia condizionato dalla ideologia totalitaria. Nel libro si nota come la cultura nata nel secondo dopoguerra, quella che va dal 1945 al 1956, cade ed entra in crisi con la dissoluzione dell’illusione progressista, dopo che in Ungheria i militari sovietici repressero la rivolta popolare di Budapest.

Dopo questo evento storico e la crisi del marxismo, vennero accolte e celebrate le scienze sociali proibite durante lo stalinismo, come l’antropologia, la linguistica, lo strutturalismo, l’etnologia, il formalismo russo. È interessante notare come, e per averne conferma è sufficiente soffermarsi sulle opere degli scrittori del secondo Novecento, si hanno periodi in cui viene restaurato il linguaggio tradizionale ed altri in cui, come avvenne con la neoavanguardia degli anni Settanta, lo sperimentalismo linguistico modifica la forma e la struttura delle opere letterarie. Appartiene a questa stagione sperimentale l’opera di autori come Manganelli, Arbasino, Testori, Malerba.

Questo di Pedullà è un libro che gronda erudizione da ogni pagina, grazie al quale è possibile cogliere i rapporti esistenti tra le opere letterarie ed il contesto storico e culturale in cui vennero concepite e scritte dagli intellettuali. Alcuni di essi, come ricorda l’autore, furono prima fascisti e poi comunisti, assumendo atteggiamenti politici diversi e contraddittori a seconda dei momenti contingenti che hanno attraversato e segnato la storia novecentesca. Belle le pagine finali sui libri e la poetica di autori quali Volponi, Pasolini, Elsa Morante e D’Arrigo.

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