Università, 3mila candidati per sei posti. Concorso annullato per le troppe domande
Data: Lunedì, 16 dicembre 2013 ore 05:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


L'Ateneo di Palermo ha ritirato il bando perché sarebbe stato troppo costoso allestire la prova, ma anche perché nel frattempo si è liberato un contratto a tempo indeterminato. Intanto alcuni partecipanti denunciano una "parentopoli".

Revocano un concorso pubblico per sei posti da precari e ne bandiscono subito dopo un altro per un posto solo, questa volta a tempo indeterminato. È polemica all’Università di Palermo che il 4 gennaio 2012 aveva messo a bando sei contratti annuali, eventualmente rinnovabili, per sei posti in amministrazione centrale. I candidati, coi tempi che corrono, non sono mancati: ecco quindi che all’università sono arrivate ben 3.202 richieste di partecipazione. Risultato prevedibile per uno dei pochi concorsi pubblici bandito in tutta l’isola negli ultimi anni.

I vertici amministrativi dell’ateneo però non erano preparati ad una simile ressa: e il 20 agosto scorso, il concorso è stato ritirato tra la delusione generale. Troppo costoso, per l’università, allestire la prova di concorso per più di tremila candidati. E pazienza se tutti avessero nel frattempo pagato i 10 euro previsti dal contributo di partecipazione: l’Università si è impegnata a rimborsare i candidati. Con quali tempi non è al momento dato sapere. “Non abbiamo ritirato quel concorso solo per le troppe richieste – spiega il rettore Roberto Lagalla - perché nel frattempo, nella programmazione dell’anno scorso, si è liberato un punto organico decimale, che in pratica sblocca un posto a tempo indeterminato. Abbiamo quindi bandito un altro concorso per un posto, dato che le altre sei posizioni a tempo determinato possono essere assegnate in base alla stessa graduatoria: in pratica abbiamo risparmiato le spese di un concorso”.

E infatti sul portale dell’ateneo è comparso un altro bando, quasi identico al primo, per un solo posto, questa volta a tempo indeterminato, che sarà assegnato al primo candidato in graduatoria dopo le prove scritte e orali. Per evitare la ressa precedente ecco spuntare anche una prova preselettiva. I candidati piazzati dopo la prima posizione, potranno poi ambire ai sei contratti di un anno, già banditi e poi ritirati in precedenza. Polemica finita? Neanche per idea. Perché alcuni partecipati al primo concorso (quello poi ritirato) fanno notare come tra i partecipanti al nuovo bando figurino cognomi noti all’interno dell’università. È il caso di Marcella e Roberto Madonia Ferraro, rispettivamente figlia e nipote di Giovanni Madonia Ferraro, segretario provinciale dello Snals, sindacato noto in ambito universitario, considerato molto vicino al rettore Lagalla. Sempre allo stesso sindacato appartiene Antonino Giunta, che ha invece il nipote Ernesto tra i pretendenti al posto fisso nella segreteria dell’Università.

“Mi risulta che il concorso si sia svolto in maniera regolare, con l’apprezzamento da parte di tutti: parenti di docenti e sindacalisti hanno il diritto, ma anche il dovere, di partecipare ai concorsi, basta che siano preparati”, si affretta a spiegare Lagalla. Più netto invece Madonia Ferraro, che ha visto figlia e nipote già ottenere un buon voto allo scritto: “È proibito partecipare ad un concorso? C’è una norma che lo vieta per parenti di sindacalisti? Per i figli, i nipoti, i cugini? Per le amanti? Non credo proprio. Se fossi componente della commissione o se parlassimo di chiamata diretta potrei anche capire, ma non mi sembra proprio questo il caso: tutto legale e alla luce del sole, dovreste occuparvi di cose più importanti”, dice.

Tra i partecipanti al bando, però, i malumori non si placano. “Ricordiamoci che siamo l’ateneo che mantiene in cattedra 100 famiglie” ricorda qualcuno, citando un vecchia inchiesta del quotidiano Repubblica. E in effetti nel 2008 avevano destato scalpore i dati della parentopoli dell’Università di Palermo: 58 parenti docenti alla facoltà di Medicina, 21 a Giurisprudenza, addirittura 129 ad Agraria. Non sarà certo reato, ma la consanguineità sull’ambiente di lavoro, quando si tratta di un ambito pubblico, solletica più di qualche veleno.

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Giuseppe Pipitone - Ilfattoquotidiano.it





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